Dipendenza da Internet: Come può influire?

Internet è diventato oramai fondamentale nella vita di tutti i giorni. E' però sotto gli occhi di tutti come la rete possa trasformarsi velocemente in un arma a doppio taglio, arrivando ad una dipendenza.

28 LUG 2023 · Tempo di lettura: min.
Dipendenza da Internet: Come può influire?

L'OMS definisce la dipendenza come "quella situazione psico-fisica che si crea dall'interazione tra un essere vivente ed una sostanza che porta a reazioni comportamentali ed emotive".

Esiste una dipendenza da Internet?

Nel 1995, Goldberg, aveva introdotto la terminologia "Internet Addiction Disorder", ossia il disturbo da dipendenza da Internet. Internet nasce negli anni '70 ma, essendo poco fruibile e molto costoso, ha spopolato unicamente dagli anni '90 in poi. Emergevano però, già allora, le prime implicazioni e complicazioni dovute a questo nuovo fenomeno.

Gli autori citavano alcuni dei criteri per definire la dipendenza da Internet, criteri che ricalcavano le dinamiche delle dipendenze più "classiche" quali la tolleranza (il bisogno sempre maggiore della sostanza/comportamento), l'astinenza (nervosismo, tensione, irritabilità), gli effetti sull'umore (usare le sostanze/la rete per placare i propri stati spiacevoli interni) etc. Tuttavia, nonostante l'aumento esponenziale di fruitori di internet, questa definizione di patologia rimase molto discussa e non approvata all'unanimità.

Tuttavia, già nel 1995, Goldberg aveva descritto diversi tipi di dipendenza da Internet quali la visione compulsiva di video (Compulsive Watching o Internet Videos), la dipendenza da rapporti sessuali virtuali (Cybersexual Addiction), la dipendenza da rapporti amorosi/amicali virtuali (Cyber Relational Addiction), il sovraccarico da informazioni (Information Overload) ed, anche, la dipendenza da social Network (Obsessive Social Networking).

Bisogna aspettare l'inizio degli anni 2000 (Griffith, 2005) per assistere ad una prima rivoluzione. Gli autori hanno proposto una rivisitazione del concetto di "dipendenza" poiché, come si evince dalla prima definizione dell'OMS, questa è intrinsecamente legata all'assunzione di sostanze tossiche. Questa nuova definizione aggiunge il concetto di "dipendenze comportamentali", ossia quelle condizioni in cui, l'interazione tra un individuo ed un comportamento "normale" diventa patologica, affiancando alle solite dipendenze, anche la dipendenza da lavoro, lo shopping compulsivo, la dipendenza da sesso e da cibo e, infine, il gioco d'azzardo o l'uso della rete.

Queste dipendenze comportamentali vengono descritte sulla base di sei criteri quali tolleranza, influenza sull'umore, la salienza (la priorità/pensiero costante), l'astinenza, i conflitti intra ed inter personali (riduzione degli interessi e ripercussioni in ambito sociale) e, infine, i tentativi di controllo dell'emissione del comportamento che, spesso, falliscono.

La prima "sindrome" di dipendenza non da sostanze ufficialmente inserita nel manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali è stata la dipendenza da gioco d'azzardo (A.P.A., 2000). Nel 2013, con la nuova edizione del suddetto manuale (DSM 5) (A.P.A., 2013) è stato proposto di inserire l'"Internet Gaming Disorder" tra le etichette bisognose di ulteriori approfondimenti.

Esiste una dipendenza da Internet?

Vi sono comunque diversi autori che non sono d'accordo sull'esistenza di una dipendenza esclusivamente di internet. Ad esempio, alcuni sostengono che la dipendenza da Internet sia unicamente dovuta ad una patologia preesistente che si slatentizza tramite la rete oppure c'è chi concepisce internet semplicemente come un "luogo" in cui le persone danno sfogo a loro dipendenze.

Usiamo Internet in modo sano?

Ad ogni modo, è chiaro che l'utilizzo di Internet stia diventando sempre più problematico per alcune persone e il loro coinvolgimento nella rete e nel mondo virtuale sempre più totalizzante. Anziché parlare di dipendenza da Internet, possiamo utilizzare la terminologia adottata da Davis (2001) in cui si parla di uso sano e uso disfunzionale dove, la distinzione, fondamentalmente è lo scopo per cui si usa. Nell'utilizzo sano, il navigatore ne fa uso per uno scopo preciso, per un tempo ragionevole relativamente al compito da svolgere e ha chiara la distinzione tra comunicazione del mondo reale e quello virtuale. L'autore introduce infatti il concetto di PIU: Problematic Internet Use (utilizzo problematico di Internet).

Altri autori si sono poi focalizzati sul determinare quali fossero invece gli aspetti che potessero predire un eventuale utilizzo disfunzionale e quali fossero gli aspetti che mantenevano tale condizione. Tra i criteri citati in precedenza, vengono sottolineati l'influenza sul tono dell'umore, tipo l'irritabilità dovuta al non poter usare il dispositivo, e la perdita di interessi in attività che precedentemente erano piacevoli. Inoltre, gli autori pongono l'attenzione sul fattore che, più tutti, gioca un ruolo fondamentale nel mantenere l'utilizzo disfunzionale, ossia l'uso di internet come gestione di stati spiacevoli.

Quest'ultimo fattore sottende il funzionamento di ogni sostanza: noi, esseri umani, cerchiamo di porre fine alle sensazioni spiacevoli che, fisiologicamente, viviamo. Tendiamo a cercare il metodo più facile, veloce ed efficace. Ad esempio, il cellulare e le molteplici applicazioni che lo abitano, possono offrire immediata distrazione dai pensieri e emozioni. Ripetere più e più volte il comportamento altro non fa che rinforzare l'associazione tra emozione spiacevole – cellulare e distrazione veloce. Tuttavia, va detto che non sempre nella vita è utile o necessario dover evadere da stati non piacevoli (Yee, 2016).

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Scritto da

Dott. Giuseppe Campagna

Bibliografia

  • American Psychiatric Association (2013) DSM-5 Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, TR. IT. Raffaello Cortina, Milano;
  • Davis R. A. (2001) A cognitive-behavioral model of pathological Internet Use, Computers in Human Behavior, 17(2), 187-195.
  • Goldberg I. (1995) Internet Addiction disorder-diagnostic criteria, Cyberpsychological Behavior, 2:403-12;
  • Griffith M. D. (2005) A "components" model of addiction with a biopsychological framework, Journal of Substance Use; 10(7), 191 – 197;
  • Yee N., (2006) Motivations for Play in Online Games, Cyberpsychology e Behavior, 9(6), 772-775.

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