Perchè incolpiamo le vittime? il victim-blaming come strategia di difesa psicologica

Attribuire la responsabilità di un crimine o di una disgrazia alla vittima come strategia mentale per proteggerci dalla paura dell'ignoto

26 MAG 2020 · Tempo di lettura: min.
Perchè incolpiamo le vittime? il victim-blaming come strategia di difesa psicologica

Con l'espressione "victim-blaming" (colpevolizzare la vittima), ci si riferisce alla tendenza ad attribuire alle vittime di un crimine, incidente o altre disgrazie, la responsabilità di ciò che è successo loro, imputando loro la colpa in modo parziale o totale.

Il concetto di "victim blaming" è stato utilizzato per la prima volta nel 1976 dallo psicologo William Ryan nel libro "Incolpare la vittima" come risposta alle dichiarazioni di chi in quel periodo sosteneva che le cause della povertà di una certa fascia della popolazione fosse da imputare unicamente al comportamento dei singoli individui. Ryan sosteneva invece che le cause delle difficoltà di tale comunità erano da trovarsi nella struttura della società stessa, che tiene parti della comunità ai margini, dando poche o nessuna possibilità di crescita e riscatto sociale.

Il testo di Ryans' è una critica alla mentalità che ci porta a incolpare i poveri per la loro povertà e gli impotenti per la loro impotenza. e, possiamo aggiungere, le vittime per la loro condizione.

Da un punto di vista esterno, incolpare le vittime per la situazione in cui si trovano è un modo semplice per affrontare situazioni difficili, permette ad esempio di ignorare il problema in quanto è responsabilità della vittima trovare il modo di risolverlo o imparare a conviverci.

Ciò che William Ryan ha affermato nel suo libro sulla struttura della società, in riferimento alle persone in condizione di povertà, può essere applicato anche alle vittime di reati (in particolare alle vittime di violenza domestica e crimini sessuali) e gli immigrati. Per lungo tempo e tristemente spesso al giorno d'oggi, le donne (e gli uomini) vittime di violenza domestica sono ritenute essere le cause della loro sofferenza perché le aggressioni sono spiegate come il risultato di un comportamento provocatorio o qualsiasi altra dinamica che rende l'avvenimento spiegabile all'interno del concetto di causa-effetto.

Riprendendo il concetto della psicologia sociale di errore fondamentale di attribuzione è possibile spiegare il processo di colpevolizzazione delle vittime come una scorciatoia mentale di attribuzione della responsabilità di un avvenimento alle caratteristiche interne e stabili delle vittime, piuttosto che a cause esterno e/o circostanze imprevedibili. Questa tendenza generale porta a sopravvalutare la disposizione mentale della persona coinvolta in una situazione e allo stesso tempo a sottovalutare i fattori situazionali, indipendenti dal comportamento e dalla volontà della vittima.

Questo atteggiamento può essere inteso come una strategia per dare senso alla realtà e proteggere noi stessi dalla paura dell'ignoto e dell'imprevedibile. Quando osserviamo qualcuno in una situazione negativa è più facile concentrarsi sulle caratteristiche individuali piuttosto che prendere in considerazione tutti i fattori sociali e situazionali coinvolti in tale situazione. Dal momento che la nostra mente tende a semplificare le situazioni complesse, è più facile supporre che la vittima stia causando la propria sofferenza con il suo comportamento o le proprie caratteristiche individuali.

Il pensiero che una vittima di un reato sia in qualche modo la causa dell'evento stesso, per esempio a causa del suo comportamento deviante o provocatorio, è confortante poiché comporta il pensiero che se io non mi comporto così, non mi accadrà quel determinato evento. Incolpare la vittima della sua sorte, dunque, ci permette di sentirci liberati delle responsabilità e di alleviare la paura di diventare noi stessi una vittima.

L'ipotesi del mondo giusto, o credenza in un mondo giusto (The Belief in a Just World, BJW) proposta da Lerner nel 1980, ci aiuta a comprendere il processo psicologico del "victim-blaming". Secondo Lerner le persone hanno la tendenza a pensare che tutti ricevano ciò che si meritano, al fine di mantenere nella loro mente l'idea di vivere in un mondo giusto, una società in cui un cattivo comportamento (o caratteristiche personali negative) sono "ricompensate" con incidenti e disgrazie, mentre i buoni comportamenti possono solo portare a risultati positivi.

Il victim-blaming non è un atteggiamento mentale innocuo, può essere un ostacolo per le vittime quando è il momento di chiedere aiuto (per esempio una vittima di stupro può decidere di non segnalare ciò che è successo per paura di essere giudicata e ritenuta responsabile dell'accaduto), ciò può portare a un mancanza di sostegno sociale ed anche ad una scadente assistenza legale e medica.

E' compito di ciascuno di noi allenare un pensiero critico rispetto al victim-blaming, rapportandoci alle persone che si trovano ad essere vittime di crimini o disgrazie in modo indipendentemente dalle loro caratteristiche personali, senza giudizio e senza basarci su stereotipi, essendo consapevoli che ogni situazione è diversa e che ogni evento negativo riguarda la vita di una persona reale, che merita di essere trattata con rispetto e dignità.

 

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Scritto da

Dott.ssa Valeria Barale

Bibliografia

  • Ryan, W. (1976). Blaming the victim. New York: Vintage Books.
  • Lerner, M. (1980). The belief in a just world. A Fundamental Delusion. New York: Plenum Press.
  • Kaplan, H. (2012). Belief in a Just World, Religiosity and Victim Blaming. Archive for the Psychology of Religion, 34(3), 397-409.

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