Lo spazio incorporeo di internet

La diffusione di internet ha rivoluzionato il modo con cui comunichiamo e recepiamo informazioni ma è anche alla base di nuove forme di disagio mentale. In particolare la dipenden

3 MAR 2017 · Tempo di lettura: min.
Lo spazio incorporeo di internet

Negli ultimi 15/20 anni si è avvertita la necessità di raggruppare in nuovi disturbi psichici una serie di condotte spiccatamente psicopatologiche legate allo sviluppo di nuove tecnologie e a cambiamenti sociali, economici e culturali su vasta scala, i cui esiti, non sempre prevedibili, hanno comportato la produzione di un "residuo" in termini di disadattamento e patologia.

Questo è il caso del disturbo da dipendenza da internet. Come si manifesta?

In primo luogo attraverso il fattore tempo, chiaramente. Stare incollati su internet per 5 o 6 ore e più significa non solo sottrarre tempo ad altre necessità vitali per l'essere umano, ma anche tentare di usare internet come un surrogato per queste necessità. Questo criterio è un po' il discrimine tra chi vi passa molto tempo, spesso per motivi di lavoro, e chi invece ha sviluppato una vera e propria dipendenza: quindi accanto alla quantità di tempo passato su internet va presa in considerazione anche la qualità di quel tempo. In questo senso dipendente da internet è colui che preferisce alla vita reale una vita virtuale. Così le amicizie si trovano su internet e in particolare sui social network, gli amori e il sesso sulle chat online, la conoscenza passa attraverso wikipedia, i vuoti di tempo vengono riempiti dalle applicazioni e dai giochi spara-tutto etc.

Il punto è però che ogni cosa deve rimanere confinata nell'universo d'internet e non può uscire, un po' come accade al protagonista del mondo virtuale nel film Tron. La dipendenza da internet si manifesta anche attraverso sintomi di natura neurovegetativa, come disturbi del sonno, della motricità fine, dell'appetito e così via: ciò in ragione del fatto che il corpo umano è adattato alla realtà e non alla finzione e questa lo sollecita secondo modalità che non ne rispecchiano la natura. Il mondo virtuale comporta lo sviluppo di una nuova identità di Sé che pian piano sostituirà quella reale: questa identità virtuale, tuttavia, sorge sulle radici biologiche e psicologiche di quella reale di cui erediterà bisogni e desideri. E allora sarà suo compito cercare delle gratificazioni nell'universo parallelo di internet.

L'imperativo categorico è allora non uscire mai dall'universo di internet perché è andata smarrita la capacità di incontrare gli altri nella realtà. La realtà ha dei limiti che gli sono imposti, in fondo, dalle modalità con cui io ne faccio esperienza: il mio sguardo arriva solo fino all'orizzonte, il mio udito cattura voci a non più di qualche centinaio di metri da me, il mio olfatto ha una portata ancora minore per non parlare del tatto e del gusto che non si staccano mai dal corpo. Così l'esperienza la si fa più o meno intorno a noi e il nostro mondo è, a dire la verità, un mondo dai confini piuttosto angusti, ma internet ci dona l'illusione di essere dappertutto con un solo click e in un attimo spazza via qualsiasi limite. Non cambia solo la percezione dello spazio su internet ma anche quella del tempo, perché se nella realtà c'è bisogno di tempo per qualsiasi percorso, su internet tutto è istantaneo.

Non solo, ma anche il corpo su internet non è più un problema perché di esso rimane solo l'occhio senza più lo sguardo: quest'ultimo, infatti, implica anche l'influenza esercitata dall'osservatore sullo scenario, non è mai cioè un guardare dietro le quinte, mentre su internet noi siamo solo dei voyer i cui corpi sono esclusi dalla scena. A questo punto si capisce cosa ci accade quando non riusciamo a staccarci da internet: lo spazio e il tempo si fanno infiniti e il corpo non ha più limiti perché non esiste più. Internet è cioè il luogo dell'onnipotenza: non mi piace quell'amicizia? Con un click la cancello. Voglio conoscere una nuova ragazza? Con un click la invito a chattare. Non so come passare il tempo? Con un click mi scarico qualche gioco etc. Una volta un mio giovane paziente che chattava con una ragazza mai conosciuta ma che sosteneva le piacesse, al mio invito a incontrarla di persona rispose: "Macché scherza, e se poi è una trippona?". Con ciò il ragazzo esprimeva esattamente quello che è contemporaneamente l'essenza del fascino esercitato da internet e il suo aspetto demoniaco: l'illusione di potersela sempre cavare senza pagare mai lo sconto per le proprie decisioni e dall'altra l'incapacità di fare fronte a situazioni dolorose che non piacciono. La nuova generazione, quella nata più o meno sul finire degli anni 90', di fatto non ha dovuto scoprire l'universo di internet, come accaduto alle generazioni precedenti, perché vi si è trovata immediatamente all'interno.

Ciò obbliga a porsi degli interrogativi importanti legati a come, di fatto, la diffusione planetaria di internet abbia modificato la vita in tutte le sue sfaccettature e se tali cambiamenti non costringano alla fine a mutare ciò che fino ad oggi è considerato patologico in ciò che domani sarà ormai normale.

Il rischio a mio avviso sta nel fatto che la normalità prodotta da internet abbia esclusivamente una valenza statistica, corrisponda cioè alla norma dei comportamenti senza tuttavia avere più alcuna capacità di produrre salute mentale. Per quanto internet, come dicevamo, da l'illusione che la fatica, il dolore, la paura possano essere eliminati una volta per tutte dalla vita, rimane però un punto fermo su cui nemmeno l'onnipotenza virtuale di internet può: la morte. Che non è solo esperienza della morte ma è, da un punto di vista metaforico, quel limite posto dalla natura alla vita stessa percepito ogni giorno sul nostro cammino e che ci obbliga a un confronto continuo, confronto che dischiude sempre nuovi orizzonti di crescita.

In fondo senza quella siepe che esclude lo sguardo, metafora del limite posto al potere dell'uomo, Leopardi avrebbe potuto immaginare lo sconfinato orizzonte che v'è dietro e avvertire lo spavento e insieme il dolce naufragar in quel mare?

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Scritto da

Dott. Gianfranco D'Ingegno

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