12 GIU 2016
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Buonasera Valentina, sono d'accordo con la dott.ssa Codruta. Come mai le da fastidio che un esterno (addirittura il suo compagno, con il quale sarebbe lecito aspettarsi un livello di confidenza ed intimità tali da non sentirsi troppo in imbarazzo per questa sua modalità di auto-comunicazione) la giudichi su questa cosa? E poi, il timore di giudizio è solo su questa cosa, oppure può essere ampliato anche ad altri aspetti, eventi, momenti, emozioni, pensieri, etc.? Rispetto al fatto di parlare da sola, nella percezione sociale, questa è una modalità che viene, spesso, attribuita come comune soprattutto agli anziani. In realtà, il monologo interiore è comune a TUTTI ed il monologo interiore vocale è comune a tanti (ciò che può cambiare è la quantità di verbalizzato all'interno del quotidiano, non tanto se lo si fa o meno), anche se molti di questi lo negherebbero (ed anche per loro si dovrebbe riproporre la domanda appena fatta a lei). Infine, provo a farla riflettere su una questione: facendo finta, utopisticamente, che lei sia l'unica al mondo ad adottare una simile condotta, come mai pensa che questo abbia solo dei risvolti negativi? Personalmente ho ipotizzato giudizi negativi degli altri, ma si può anche pensare ad incipiente pazzia (?!?), disfunzioni cerebrali (?!?), singolarità del comportamento (?!?), etc.; lei, inoltre, ci ha parlato delle derisioni da parte del suo compagno, e così via. Ma non si potrebbe pensare anche ad un aspetto funzionale di questo comportamento di cui lei (inconsciamente) ha bisogno? Ad es., una migliore sequenzializzazione degli eventi che, attraverso il verbo, subirebbero una sorta di oggettivizzazione e certificazione che, solo nella sua testa, non avrebbero, facendole così emergere dei dubbi; oppure, un'abitudine ormai acquisita ma che, a livello di funzionamento globale del suo essere, non solo non l'ha danneggiata (o, per lo meno, non ne ha parlato di questo) ma, inoltre, le ha permesso (insieme a tante altre strategie emotivo-cognitivo-relazionali) di poter "stare" nel mondo in modo per lei vantaggioso. Insomma, se un qualcosa che noi pensiamo o facciamo viene giudicata buona o cattiva solo in base alle etichette esterne, il problema è, forse, l'importanza che viene data a queste etichette ed a chi le elargisce ed a quanto questo condiziona emotivamente il nostro quotidiano. Provi a riflettere con questi altri punti di vista e se si accorge, dopo attento auto-monitoraggio, che l'esterno, significativo o meno, le sembra troppo invadente ed intrusivo, allora forse è il caso di affrontare questo tema in un contesto psicoterapeutico che la possa aiutare a mettere un pò più di "spazio e tempo" (tecnicamente, demarcarsi) tra lei e questo esterno, facendo emergere più chiaramente i confini propri ed altrui.
Buona fortuna
dott. Massimo Bedetti
Psicologo/Psicoterapeuta
Costruttivista-Postrazionalista Roma