ho raggiunto un grande obiettivo... e ora sono più triste di prima, perchè?
Buongiorno, vi contatto per il seguente motivo: sono profondamente triste, passo le mie giornate cercando di "sopravvivere", torno a casa e mi assale un senso di vuoto, di mancanza di scopo e significato, accompagnati da un enorme senso di colpa. Ho sempre sognato di fare il dottorato, di intraprendere una strada per diventare ricercatrice universitaria e dopo tanto lavoro ce l'ho fatta, al primo colpo. I miei professori mi hanno sempre incoraggiato, con stima e simpatia (anche se quando ero più piccola ero così fragile che nessuno ci avrebbe mai creduto. Sono stata in terapia per otto lunghi anni per un problema di anoressia e bulimia). Dovrei essere felice, ora, sono guarita e ho raggiunto i miei obiettivi, mi piace viaggiare da sola, ho vissuto per 7 mesi all'estero, lavorando da sola in un contesto nuovo, sono guarita dalla mia malattia, ho smesso di dubitare delle mie abilità e invece? Il fatto di esserci riuscita mi ha mandato completamente in tilt, la mia vita sembra senza scopo, mi sento in colpa nei confronti della mia famiglia (i miei genitori sono gli unici ad aver studiato, sono entrambi medici anche se mio padre è mancato 10 anni fa). Il resto dei miei familiari (zii, cugini ecc invece hanno sempre vissuto in un piccolo paese, dedicandosi ai figli e alla famiglia). Io ho cercato con tutta me stessa di crescere e di raggiungere una certa indipendenza emotiva e intellettuale, di svincolarmi da visioni della vita che ruotano unicamente intorno a figli, famiglia, cibo, lavoro, marcate da insofferenza, insoddisfazione e mancanza di libertà. "Tutto per la famiglia". Ora i miei familiari (che mi hanno sempre affettuosamente preso in giro, dicendo che sono una persona distratta e sempre "on the moon") mi guardano con rispetto e senso di inferiorità, nonostante io sia consapevole che mi vogliono molto bene e che farebbero di tutto per me. Io non mi sento superiore a loro, mi sento solo diversa, sono anche "figlia del mio tempo" e della mia città, e se penso che certe cose non facciano per me non significa che penso che loro siano inferiori o persone meno degne di me. Penso semplicemente che siano cresciuti in un contesto e in un'epoca molto diverse dalla mia, in cui non c'era spazio per scegliere, ma si poteva solo replicare il modello che si conosceva meglio.... Il mio modo di vedere e di vivere la vita ha inevitabilmente messo, in modo molto sottile e implicito, un marcatore negativo sulla loro... questa cosa mi uccide, MI UCCIDE DENTRO... vedo questo senso di inferiorità nei loro occhi, vedo fastidio quando mi vedono e io sto malissimo... non so che cosa fare.... loro sono persone semplici, vissute sempre in un piccolo paese, mentre io sono cresciuta in città (Milano) e sono stata esposta a tante realtà diverse e a modi di pensare molto lontani da questo. A questo si aggiunge che purtroppo ho fatto l'errore di condividere le mie paure con mia madre, che è figlia di quel contesto e che ha deciso di rinunciare alla cosidetta "carriera" per crescere me e le mie due sorelle.... Ho condiviso con mia madre le mie paure, dicendole che io non voglio arrivare a 40 anni con un lavoro che odio e con l'unica fonte di soddisfazione individuabile nella possibilità di "mettere su famiglia" e lei, che ha un rapporto quasi simbiotico con i miei zii, sicuramente glielo ha rivelato). Per raggiungere il mio obiettivo (il dottorato, l'indipendenza, un senso di stabilità interiore che mi è costato carissimo) mi sono anche dovuta allontanare da chi mi mortificava, amici che senza troppi peli sulla lingua mi sconsigliavano di provarci, diecendo che secondo loro non ne sarei stata in grado, e che i traguardi che ho raggiunto li avrebbero raggiunti tutti visto che la mia famiglia mi ha sempre mantenuto durante gli studi senza pretendere che lavorassi (cosa che i miei amici invece facevano). Mi sento triste, sola e incompresa, mi sento molto in colpa nei confronti della mia famiglia, ho paura di averli feriti .... e so che queste riflessioni sconclusionate potrebbero sembrare delle "paranoie senza fondamento", ma io sono bravissima a leggere tra le righe, ho una sensibilità molto spiccata, nel bene e nel male (la mia psicologa diceva che è quasi impossibile mentirmi perchè io me ne accorgo subito). Questa sensibilità quasi ipertrofica mi è stata di aiuto in alcune occasioni, sia negli studi, ma anche per riconoscere di chi potermi fidare davvero (ho anche degli amici che mi hanno incoraggiato e che mi apprezzano molto, ma vivono nella città in cui ho studiato e non a Milano), ma mi ha reso anche molto difficile vivere i rapporti umani con spontaneità e naturalezza, agli esami mi paralizzavo per l'ansia e iniziavo a balbettare, in situazioni di stress il mio cervello inizia a processare tutti i più piccolidettagli con una scrupolosità che mi spaventa.
Sono in cura da due mesi con Paroxetina, e mi sta aiutando molto per l'ansia, ma allo stesso tempo mi sento come ho descritto e uno psicofarmaco non può cancellare l'origine del malessere. Sono stanca, ho fatto per anni un percorso di psicoterapia dove ho meticolosamente ricostruito e approfondito i pattern disfunzionali che si ripresentano nella mia vita e non so se sono in grado di rimettere in discussione tutto iniziando un'altra "fase" di terapia... perfavore aiutatemi... mi sento morire