Lo spettro insistente della violenza domestica

Sempre pù spesso, ai notiziari, si sentono tragiche notizie di omicidi nei confronti dell'ex partner. Perché questa escalation? Quanto sono correlate violenza domestica e violenza di genere?

30 NOV 2021 · Tempo di lettura: min.
Lo spettro insistente della violenza domestica

Negli ultimi mesi, agli onori della cronaca, si stanno sempre più facendo consistenti le notizie di femminicidio, in un contesto di violenza domestica. Troppo spesso si leggono, sui quotidiani nazionali e locali, news che riguardano separazioni burrascose che, con una percentuale preoccupante, sfociano non solo nella violenza o nell'omicidio della ex-compagna, ma anche nell'infanticidio. Compito, forse presuntuoso, del presente articolo sarà quello di andare ad indagare tanto le motivazioni di questi tristi avvenimenti, quanto le motivazioni che ne stanno aumentando la frequenza.

Ritengo doveroso cominciare con una premessa fondamentale. Il compito della psicologia, in questi casi, non è quello di trovare attenuanti o giustificazioni, ma di comprendere un determinato fenomeno. Pertanto, verranno - giustamente, a mio avviso - bypassati completamente i giudizi morali sul partner violento, in quanto non è questa la sede, né tantomeno l'approccio corretto per effettuare un'analisi il più possibile scevra da colonizzazioni del pensiero. Non è mio interesse, pertanto, scrivere un'invettiva nei confronti di questi individui, ma cercare di comprendere il contesto entro cui avvengono queste dinamiche disfunzionali e tragiche.

1. Fattori pregressi

Si parta da un presupposto, ormai dato per assodato tanto dalla psicologia, quanto dalla sociologia: l'aumento di relazionalità violenta all'interno della famiglia nasce in seno ad un forte cambiamento a cui è andato incontro il nucleo familiare stesso nelle ultime decadi (Salerno, 2016). Da "porto sicuro" entro cui fare ritorno, per godersi la convivialità del focolare domestico, si è mediamente passati ad una concezione maggiormente limitante: le ansia e lo stress dovuto alle scadenze sempre più stringenti e soffocanti di affitto, spese, bollette, nonché la crescente paura di non riuscire a far fronte al costo della vita, sono solo alcune delle motivazioni che minano alle fondamenta la tranquillità ed il benessere della famiglia. La precarietà del lavoro e la paura di un futuro sempre più incerto stanno completamente eliminando il quieto vivere tra i familiari, trasformandolo in un nuovo paradigma del "vivere insieme" (Fruggeri, 2007).

La logica conseguente è che la famiglia si stia trasformando sempre più in un ambiente in cui si verifica una spirale di stress, disillusione e malessere. Tutto ciò, se portato all'estremo per un tempo prolungato, può incentivare una relazionalità tossica tra i membri.

Al fine di strutturare un'analisi critica di tali avvenimenti, sarà auspicabile affrontare il problema dal punto di vista ecologico, andando cioè a sondare ogni aspetto che contribuisce all'instaurarsi di queste interazioni disfunzionali, piuttosto che andare solamente a studiare la vita intra- e inter- psichica dei soggetti in campo (Levendosky & Graham-Bermann, 2014).

Ma come si fa a trascendere, passando da uno stato di malessere a quella furia omicida che, per esempio, il 18 novembre 2021 a Sassuolo - in provincia di Modena - ha fatto sì che un padre di famiglia decidesse di uccidere l'ex-compagna, la suocera e due figli, di 2 e 5 anni?

Per un'analisi dettagliata, occorre cominciare dai fattori pregressi. Si è scientificamente studiato come non sia tanto il contesto socio-culturale a fare la differenza in questi casi (Salerno, ibidem), quanto la presenza di abusi nelle famiglie di origine dei partner, lo status socio-economico, l'eventuale abuso di alcol e di sostanze stupefacenti, patologie psichiatriche o problemi con la legge (Olaya et al. 2010).

Tuttavia, è chiaro che questi fattori sono soltanto parziali, e occorre integrarli alla luce delle nuove scoperte in materia. Cosa passa nella mente di un uomo che decide di uccidere la propria ex-compagna, fino ad arrivare all'assassinio dei figli? Gli elementi da andare a valutare sono molto più complessi, e nemmeno di facile detezione.

2. Intimate partner violence (IPV)

Questa nuova entità sociale che si sta profilando con sempre maggior insistenza nel panorama familiare è un fenomeno attraverso cui si tende a stremare il partner attraverso soprusi fisici e psicologici. Tale fenomeno è meglio conosciuto con la locuzione di "violenza domestica", e si definisce come un insieme di «comportamenti aggressivi e coercitivi che possono includere danni fisici, abuso psicologico, violenza sessuale, isolamento sociale, stalking, intimidazione e minacce. Tali comportamenti vengono perpetrati da qualcuno (anche definito offender) che è o è stato in relazione intima con la vittima e hanno la finalità di mantenere o stabilire il controllo di un partner sull'altro" (Salerno, 2012, p. 43).

Si caratterizza per una forma di comportamento multimodale, che vede l'offender mettere in campo diverse strategie di intimidazione, per esercitare un controllo oggettivo sul partner, spesso utilizzando i figli a proprio vantaggio. Quello che si può osservare, è un'alternanza di comportamenti, da aggressivo-attivo a remissivo-passivo. Se dapprima si mettono in atto comportamenti volti alla sottomissione del partner, dall'altro lato si osserva un ritorno sui propri passi, per mezzo di scuse e promesse di non farlo mai più. Ciò è dettato dalla paura dell'abbandono, in quanto i confini relazionali divengono sfumati e privi di un contorno netto. Molto spesso, infatti, il partner violento vive una relazionalità disfunzionale fin dai primissimi momenti di vista coniugale. Di frequente vede le proprie libertà limitarsi man mano che avanza il tempo, con un conseguente aumento di responsabilità e di doveri familiari. All'interno di questo modello, il partner violento riesce ad esercitare un forte controllo, che non lo porta tanto a mantenere salde le redini della vita di coppia, quanto a detenere il potere degli stati di quiete e di quelli di terrore. Sarà sempre lui a decidere quando rompere la tranquillità familiare attraverso le violenze fisiche e psicologiche, dettando "i tempi della pace ma anche quelli del rinnovato terrore" (Baldry, 2006, p. 37).

3. Merce di scambio

Quale diventa, a questo punto, la "merce di scambio" per definizione, chiamata così in modo provocatorio? I figli. Questa triste definizione racchiude però un certo grado di aderenza alla realtà, quantomeno per quanto riguarda la realtà psichica percepita. Nel momento stesso in cui il partner violento si accorge di essere caduto nella spirale della violenza, e di conseguenza di non poter mai più riacquisire la fiducia nell'altro membro della coppia, allora continuerà a esercitare la propria morsa di controllo utilizzando i figli come, appunto, merce di scambio. È doveroso, dal principio, anteporre una premessa: quando i figli partecipano alle violente liti dei propri genitori, si parla di violenza assistita, ed è - comprensibilmente - un fattore che potrà minare per sempre il loro sviluppo psicofisico sano: "frequenti appaiono problematiche nel comportamento sociale, bassa autostima, scarse competenze relazionali, bullismo, disturbi d'ansia, presenza di sintomi da disturbo post-traumatico da stress - manifestati attraverso regressione a stadi di sviluppo precedenti, incubi notturni, giochi in cui viene riprodotto l'evento traumatico – difficoltà di concentrazione nelle performance scolastiche, ansia da separazione" (Salerno, 2016, p. 59; Kilpatrick & Williams, 1998).

Il partner violento non è a conoscenza di questi fattori? Probabilmente no, ma è sicuramente consapevole del fatto che a nessun bambino faccia bene vedere il padre che mette le mani addosso alla madre. Le conseguenze diventano atroci, in quanto l'infante assiste ad un proprio oggetto di amore che agisce violenza sull'altro oggetto di amore primario, andando a creare una forte confusione circa le proprie figure significative. Il contesto diventa ambiguo e ambivalente, e odio e amore cominciano a compenetrarsi senza soluzione di continuità.

Per meglio comprendere ciò che abbiamo appena sostenuto, esiste una bella frase di Paolo Bertrando, riferita ad un suo caso clinico. Si riferisce ai figli quando sostiene che ciò che non potevano fare era "prendere posizione per l'uno o l'altro dei genitori, perché farlo avrebbe significato essere sleale verso l'altro. La lotta senza quartiere fra i genitori rendeva impossibile per loro stare dalla parte dell'uno o dell'altro senza diventare simultaneamente un traditore" (Bertrando, 1997, p. 69).

Perché, allora, l'offender agisce così, se rischia di compromettere la felicità e la salute psichica della propria prole? Questo fenomeno, al momento, non trova ancora una spiegazione definitiva. Le ipotesi che si possono avanzare sono tante: la più probabile è che egli voglia tentare una sorta di "ultima spiaggia", in cui si prova a controllare con la violenza ciò che non è più possibile controllare con la propria presenza ed il proprio ruolo. Questo risvolto, già patologico di per se, rischia di diventare ancor più grave se dovesse verificarsi la perdita di interesse, o addirittura l'odio nei confronti del bambino stesso, in quanto potrebbe essere considerato un'estensione della donna che, in quel momento, si odia.

4. Una prospettiva dinamica

Se trovare una risposta definitiva per spiegare questi meccanismi sarebbe complicatissimo, possiamo quantomeno avanzare le ipotesi più probabili, sempre considerandole col giusto peso.

Laddove si verificano fenomeni di grandi privazioni psichiche, spesso la persona reagisce con un fortissimo ritorno su di sé, che è un concetto evolutivo (Beneduce, 2010). Arrivati a questo punto, l'unica cosa che continua a rivestire una certa importanza è l'individuo stesso: tutto il resto diventa periferico, marginale, fino talvolta a diventare addirittura insignificante.

In quest'ottica, patologicamente parlando, il partner violento cessa di preoccuparsi degli altri e delle conseguenze che le proprie azioni possono avere sui propri familiari. Si verifica un vero e proprio distacco: si considera che la battaglia sia persa e che niente e nessuno possa riportare i fasti dei tempi andati, quando la famiglia funzionava, non vi erano separazioni all'orizzonte e i bambini avevano appena qualche mese di vita.

Pertanto, quelli che una volta venivano visti come gli oggetti del proprio amore, ora vengono considerati unicamente fonte di delusione, disillusione e dolore, e pertanto - nella loro mente oramai compromessa - non solo non importa se vivono male o nella paura, ma si può avere la percezione che possano meritarselo, per non essere stati all'altezza delle aspettative e aver disintegrato il sogno di una famiglia felice. Ovviamente, questa perversione del pensiero è qualcosa di estremamente prossimo al delirio, ma ciò che è importante cogliere è che questa percezione è sufficientemente forte da poter esercitare violenza non solo sul proprio partner, ma anche sui propri figli, non rendendosi immediatamente conto della gravità dell'accaduto, e posticipando il senso di colpa, che arriverà solo quando sarà ormai troppo tardi.

E come si spiegano gli omicidi? Questa realtà dei fatti si viene a verificare quando ormai l'offender non sente di aver più motivo di vivere. Tristemente, sono molto frequenti, infatti, i casi di omicidio-suicidio, proprio come quello avvenuto a Modena con cui abbiamo aperto il presente scritto. Laddove un uomo vede disintegrarsi la propria famiglia, dopo aver riposto in essa molta speranza e fiducia, allora pensa di non aver più niente da perdere, e con una logica puramente egoistica, fa ritorno unicamente su di sé, arrivando alla conclusione che se lui non potrà avere la sua famiglia, allora non potrà averla nessuno. Se lui sta male, tutti devono stare male. Se lui è infelice, nessuno - nemmeno i figli - potranno mai essere felici.

5. Familiarità e attaccamento

Quello che seguirà è un paragrafo che farà storcere il naso a più di qualche persona, nel senso che tratterà un tema estremamente complicato e divisivo. Anche in questo momento, urge fare una premessa: la psicologia si occupa della comprensione del fenomeno, non della moralità dello stesso. Il nostro obiettivo è quello di rendere scientificamente chiaro un determinato fattore di studio, spiegandone il processo e prevedendone gli esiti. Pertanto, è necessario affrontare anche la familiarità di un compagno abusante con gli abusi subiti, a sua volta, nell'infanzia.

Ormai è ampiamente dimostrato come un bambino che abbia subìto abusi fisici in tenera età sia molto più portato a diventare a sua volta un marito o un padre abusante (Di Blasio, 2015). Questo è di fondamentale aiuto per comprendere non solo la materia che stiamo studiando, ma anche di prevederne gli eventuali outcomes negativi. Ciò non giustifica che un uomo maltratti la propria famiglia sia giustificato soltanto perché ha vissuto un'infanzia di privazioni, ma è interesse della psicologia assicurare il benessere di tutte le persone, in quanto tutti gli esseri umani hanno eguale dignità di vivere. Di conseguenza, esistono percorsi di recupero non solo per i partner e i bambini vittime di abusi, ma anche per recuperare quelli abusanti.

Come sosteneva John Bowlby (1989), le relazioni primarie con i caregivers significativi sono in assoluto le più importanti, e forgeranno la personalità dell'individuo nell'incedere del tempo. Queste relazioni, specialmente quelle del primo anno di vita, verranno interiorizzate ed utilizzate dal bambino per spiegarsi il funzionamento del mondo, interagendo con le persone proprio come queste hanno interagito con loro. Perciò, un infante che vivrà unicamente condizioni di scarsa attenzione, assenza di empatia, percosse, insulti, anaffettività, distacco emotivo, punizioni corporali e psichiche, non riuscirà ad incamerare nient'altro che questo tipo di modello, e a relazionarsi con questo in tutte le relazioni future. Non tutti gli individui sono abbastanza forti da riuscire ad andare in controtendenza: alcuni persisteranno in questo modus operandi.

Questa piccola nota non vuole significare massima tolleranza e comprensione nei confronti di chi esercita una relazione violenta: a quel punto non avremmo mai colpevoli, e basterebbe qualche sofferenza in tenera età per giustificare qualsiasi cosa. Tuttavia ritengo che ci sia una differenza sostanziale tra il partner che vuole dettare legge per manifestare il proprio predominio, e il partner che non è capace di comportarsi in nessun altro modo in quanto la relazionalità con tutte le persone care della sua vita sono state fonte di sofferenza. Purtroppo gli esiti spesso sono i medesimi, e l'obiettivo primario è e sarà sempre la salvaguardia del coniuge e dei bambini. Ma se il primo sarà quasi irrecuperabile, il secondo potrebbe essere "salvato" attraverso un percorso con un terapeuta, in cui tornare a prendere contatto con le proprie emozioni, rivivendo e risolvendo con il suo aiuto quelle relazioni significative tossiche che sono andate a minare lo spettro di personalità.

6. Consigli

Laddove vi sia una richiesta di aiuto da parte di una donna maltrattata dal proprio compagno, spesso viene dato un consiglio che non mi sento di sottoscrivere in pieno: "allerta le forze dell'ordine". Ovviamente deve essere fatto, ma non subito. La prima cosa da fare è contattare un Centro Antiviolenza, in cui poter prima di tutto trovare riparo per sé e per i propri bambini. L'elemento fondamentale di questi centri è la fortissima rete che hanno alle spalle, oltre alle operatrici e agli operatori che troppo spesso vengono visti unicamente come "brave persone", quando in realtà sono professionisti estremamente preparati. Sarà questo il momento in cui denunciare: lo si farà seguendo il consiglio di gente molto esperta, che avrà già visto situazioni simili centinaia di altre volte, e riuscirà a suggerire i movimenti migliori da mettere in campo. Tra l'altro, denunciare da soli, oltre ad essere un atto che può lasciare spazio alla paura di ritorsioni, è anche un gesto estremamente pesante: segnalare alle autorità la persona che si pensava di amare non deve certo essere facile. Quindi, ci sentiamo di sconsigliare in toto qualsiasi iniziativa solitaria: la rete sociale esiste e funziona, sarebbe un peccato non sfruttarla.

Concluderò questo discorso con una bellissima frase di Malcolm X, che spero possa illuminare la via di quelle tantissime donne che vivono quotidianamente le angherie del proprio partner senza denunciare: "Se qualcuno ti mette le mani addosso, assicurati che non metta mai più le mani addosso a nessun altro".

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Scritto da

Dr. Luca Dominianni

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Bibliografia

  • Baldry, A. C., Dai maltrattamenti all'omicidio. La valutazione del rischio di recidiva e dell'uxoricidio, Franco Angeli, Milano, 2006, p. 37.
  • Beneduce, R., Archeologie del trauma. Un'antropologia del sottosuolo, Editori Laterza, Bari, 2010.
  • Bertrando, P., Nodi familiari, Feltrinelli: Campi del sapere, Milano, 1997.
  • Bowlby, J., The role of attachment in personality development and psychopathology. In S. I. Greenspan & G. H. Pollock (Eds.), The course of life, Vol. 1. Infancy (pp. 229–270), 1989. International Universities Press, Inc. (Reprinted from "American Journal of Psychiatry," 1987, Vol. 144; and from "American Journal of Orthopsychiatry," 1982, Vol. 52)
  • Di Blasio, P., Violenza all'infanzia: fragilità dei legami familiari, risorse e percorsi di intervento. In: La famiglia, (49): 189-204, 2015.
  • Fruggeri, L., Il caleidoscopio delle famiglie contemporanee: la pluralità come principio metodologico, in P. Bastianoni e A. Taurino, Famiglie e genitorialità oggi. Nuovi significati e nuove prospettive, Unicopli, Milano, 2007.
  • Kilpatrick, K. L., Williams, L. M., Potential Mediators of Post-Traumatic Stress Disorder in Child Witnesses to Domestic Violence, "Child Abuse and Neglect", XXII, 4, 1998.
  • Levendosky, A. A., Graham-Bermann, S. A., Parenting in Battered Women: The Effects of Domestic Violence on Women and their Children, "Journal of Family Violence", XVI, 2, 2001; A. Salerno, La violenza intorno. IPV, pratiche di parenting e fattori di resilienza, in M. Garro e A. Salerno (a c.), Oltre il legame. Genitori e figli nei nuovi scenari familiari, Franco Angeli, Milano, 2014.
  • Olaya, B., Ezpeleta, L., de la Osa, N., Granero, R., Domènech, J. M, Mental Health Needs of Children Exposed to Intimate Partner Violence Seeking Help from Mental Health Services, "Children and Youth Services Review", 32, 2010.
  • Salerno, A., Bonura, M. L., Di Vita, A. M., Narrowed Family Spaces: Interlocking Couples in Intimate Partner Violence, "Interdisciplinary Journal of Family Studies", XVII, 1, 2012.
  • Salerno, A., Psicodinamica delle relazioni violente. Aspetti psicologici, clinici e sociali. Mimesis, Milano, 2016.

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