Avrei voluto il tuo corpo fosse un tempio, benedetta sarebbe stata l'anima mia

E' "violenza contro le donne" ogni atto di violenza fondata sul genere che provochi un danno o una sofferenza. Scopriamone insieme alcune delle sfaccettature.

8 SET 2020 · Tempo di lettura: min.
Avrei voluto il tuo corpo fosse un tempio, benedetta sarebbe stata l'anima mia

Essere donna. Oggi, è da qui che volevo partire.

Nella Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne, mi piacerebbe provare a ricostruire nella mia mente cosa voglia dire essere donna.

Dal principio, essere donna, significa essere stata bambina, possedere un passato, delle radici.

Non si può, dunque, non partire dalla prima relazione oggettuale, quella tra madre e bambina, coppia primaria che forgia la donna in quanto tale.

Dunque, essere donna significa altresì essere madre.

Recalcati fornisce un'incisiva definizione del materno, che è qualcosa d'altro rispetto alla mera genitrice biologica: "la madre è il nome dell'altro, che lascia che la vita cada nel vuoto, che la trattiene nelle proprie mani, impedendole di precipitare; è il nome del primo soccorritore".

Tale enunciazione consente di allontanarci dal concetto di madre intesa come genitrice biologica del figlio; dunque, la madre è l'Altro che si occupa di una vita umana che viene al mondo e alla quale deve restituire il senso.

La donna, dunque, in quanto madre, è apertura all'altro da sé. E' un tempio, è un terreno fertile, che fornisce nutrimento al mondo. È colei che non solo dà inizio alla vita, ma altresì colei che rende possibile la vita di un altro mondo, giacchè ne rappresenta il primo volto.

Cosa accade, dunque, quando il volto della madre non restituisce una risposta capace di riconoscere la vita?

Esistono tante forme di violenza sulle donne. L'obiettivo di tale riflessione è quello di andare oltre la violenza di genere perpetrata dall'uomo.

Certamente, una delle difficoltà, tra i limiti del pensiero femminista, è credere che il problema della violenza di genere sia un problema tra uomini e donne. E in alcuni casi, perfino tra un uomo e una donna. La realtà, io credo, è decisamente più complessa.

La violenza di genere riguarda altresì il sopruso di una donna, verso un'altra donna, di una madre verso una figlia.

Parliamo di violenza, altresì quando la parola di una figlia cade immancabilmente nel vuoto, quando il volto della madre non restituisce una risposta capace di riconoscere la vita, che non è desiderata, ma è straniera, rifiutata.

Siamo di fronte alla violenza quando il bambino non è accolto dallo sguardo materno e, tale mancanza, può perpetrarsi in forme di maltrattamento fisico e psicologico.

Quando il grembo materno cessa di essere un tempio, quando il suo terreno non è più fertile, quando il nutrimento diviene velenoso, altresì lì si annida la violenza.

Quest'ultima, pertanto, può essere agita dalla donna stessa, non solo dall'uomo.

Alla luce di ciò, oggi, 25 novembre, nella giornata nazionale contro la violenza sulle donne, consiglio a voi tutti la visione del film "Cosa dirà la gente" di Iram Haq, che mostra la complessità e la multi-componenzialità della violenza.

In particolar modo, la regista, insiste su come, spesso, non tanto la fede, quanto il conformismo sociale, possa spingere l'Altro, in questo caso il genitore, a non accettare la propria creatura nelle proprie particolarità uniche e insostituibili, tanto da violare l'individualità della stessa.

Concludo affermando che la violenza, in quanto tale, è necessario sia vista nelle sue plurime sfaccettature. Occorre iniziare a guardare la realtà sotto i suoi molteplici punti di vista, considerando e accettando che, spesso, l'offesa non è agita solo dall'uomo, dal padre, altresì dalla donna, dalla madre, ancora una volta, non mera genitrice biologica, ma l'Altro che dà vita al mondo intero e lo forgia nei suoi pregi e nei suoi difetti.

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Scritto da

Dott.ssa Marinunzia Fanelli

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