Lo psicologo come Dispenser di risposte

Nel mio lavoro di psicologa, mi capita spesso di ricevere richieste in cui mi si chiede di trovare soluzioni immediate a delle questioni. Ma lo psicologo ha davvero in tasca le risposte?

23 GIU 2020 · Tempo di lettura: min.
Lo psicologo come Dispenser di risposte

Nel mio lavoro di Psicologa, mi interfaccio con un'enorme varietà di richieste di aiuto.

Le persone mi domandano supporto per motivi diversissimi e, spesso, mi stupisco di quanto le iniziali "ragioni" della richiesta di aiuto vengano sostituite, in un momento successivo, da delle motivazioni e da bisogni che non erano ancora mai stati prefigurati nella mente della persona, da obiettivi non ancora riconosciuti né considerati. I bisogni che abbiamo, infatti, non sono sempre chiari ed espliciti, ma spesso possono emergere nella loro rilevanza soltanto dopo un certo lasso di tempo, dopo che il lavoro su di sé è già cominciato e si crea "spazio di pensiero" nella propria mente.

Il lavoro psicologico è infatti capace di rendere pensabile ciò che, fino ad allora, era sempre stato impensato, non rappresentabile o ancora irriconoscibile. Questa "emersione" di bisogni sconosciuti, ma fondamentali, è un processo che da sempre mi affascina. Ma che cosa avviene prima?

In un step precedente a questo lavoro di consapevolezza, mi sono spesso interfacciata con un trend che accomuna tante persone, nel momento in cui chiedono aiuto: l'esigenza di avere subito una risposta.

Quali sono le risposte che ci si aspetta, generalmente?

In tantissimi casi, la persona arriva chiedendomi di trovare una soluzione immediata e pratica ad una questione anche estremamente complessa. Mi si chiede di dare una risposta magica e risolutiva, subito pronta ad essere dispensata, rispetto ad una questione troppo complessa per essere esaurita con una semplice indicazione. Altre volte, invece, la persona vuole implicitamente ricevere un preciso tipo di risposta da me, quasi in attesa di una conferma "esterna" che possa legittimarlo nelle sue azioni o che confermi la sua interpretazione della realtà. In questi casi, ci si aspetta di trovare qualcuno che possa rafforzare una decisione o un pensiero già presente, che possa dare una rassicurante conferma di essere nel giusto: ci si aspetta che la "soluzione" dello psicologo coincida con la propria.

Nel lavoro clinico, insomma, ci vengono continuamente poste delle domande dirette e pratiche. Tipicamente: Cosa dovrei fare in questa situazione? Qual è la scelta giusta?

Sollecitata da questo genere di domande, mi interfaccio continuamente con la consapevolezza che il mio compito non sia quello di dare delle risposte preconfezionate pronte all'uso, come spesso ci si può aspettare.

Infatti, le risposte che più rassicurano non sono sempre quelle davvero utili alla persona. Anzi, nel mio lavoro una risposta immediata (anche corretta) rischia di bloccare il pensiero del soggetto, ponendolo in una situazione passiva e non attiva. Infatti, se l'individuo ha già tutte le risposte "preconfezionate" fornite da altri, in che modo questa è un'esperienza trasformativa e di crescita? A volte il soggetto ci chiede di decidere per lui su questioni talmente rilevanti per la sua vita, che lo terrorizzano e lo lasciano spaesato.

Ritengo che sia importante riflettere su quale sia il vero obiettivo del lavoro psicologico. A volte si confondono il fine di "far comprendere" con quello del "far eseguire". Non sarà mai utile eseguire passivamente delle indicazioni fornite da altri.

Il ruolo dello psicologo, infatti, non è quello di far "eseguire" passivamente delle scelte sulla base dei propri valori, ma al contrario, lasciare che sia sempre il soggetto al timone della propria vita, con maggior consapevolezza della rotta da percorrere e dei pericoli che potrà incontrare, con più consapevolezza delle proprie risorse e dei propri punti fragili. È l'individuo che sceglie sempre la sua destinazione, non lo psicologo.

Le persone ci chiedono spesso aiuto aspettandosi una risposta pronta, facile e magica. Mi sono sempre interfacciata con l'impossibilità di dare una risposta immediata e con la consapevolezza di dover fare un lavoro totalmente diverso: aprire le porte, piuttosto che chiuderle.

Le risposte premature, infatti, rischiano di chiudere le porte del pensiero, mentre altre volte una risposta che l'individuo non è pronto a ricevere può ferire, bloccare o allontanare. Per questo è importante sottolineare che noi non siamo dei dispensatori di risposte, ma semmai dei facilitatori dei processi di pensiero.

Ma in che modo gli psicologi possono aiutare i processi di pensiero autonomi dell'individuo?

Più che fare i dispenser di risposte, è importante trasformare le domande dirette dei nostri interlocutori in delle riflessioni più ampie, che possano generare crescita ed innescare dei processi di pensiero nuovi. Tante volte il modo migliore per farlo è quello di saper porre le giuste domande, che solleciteranno il soggetto a trovare le sue risposte strada facendo. Ciò che conta sono le risposte che il soggetto, grazie al nostro aiuto, riuscirà a darsi in autonomia. A volte può essere frustrante ricevere delle domande in risposta ai propri interrogativi, specialmente quando sentiamo l'urgenza di avere delle risposte immediate. Ma il lavoro psicologico è differente dal dispensare soluzioni facili che non conducono ad un cambiamento. Sono infatti le domande che hanno molto più potere trasformativo delle risposte.

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