Disagi alimentari o disturbi alimentari?

Proviamo a dare un senso a: disagio alimentare - disturbo alimentare – messaggio – anoressia – bulimia – obesità – relazioni familiari – relazioni interpersonali

10 DIC 2014 · Ultima modifica: 15 OTT 2015 · Tempo di lettura: min.
Disagi alimentari o disturbi alimentari?

La differenza fra il termine "disagio" e "disturbo" può essere abbastanza intuitiva nella lingua italiana, ma ugualmente spero possa risultare interessante fermarsi un secondo a cogliere alcune sfumature.

Partiamo dai lemmi dei dizionari, ad esempio, ne troviamo di diverso tipo: etimologico, della lingua italiana, di psicologia, di medicina e di psicoanalisi.

Parlando di "disagio" abbiamo, innanzitutto, la sensazione di una maggiore leggerezzarispetto al termine "disturbo", tant'è che adoperiamo questa voce abbastanza di frequente. Quando utilizziamo il termine "disagio" facciamo comunemente riferimento, anche sfogliando i dizionari, ad una mancanza di agio, di comodità, ad un malessere, ad un senso di pena provato per l'incapacità di adattarsi ad un ambiente (familiare, amicale, lavorativo, …) o ad una situazione. Tanto è vero che, in relazione a questo termine, fra clinici intendiamo, per prassi,forme meno gravi di anomalie comportamentali, frequenti nei bambini e negli adolescenti, quindi quadri non ancora stabilmente strutturati, quindi transitori, che non rinviano a patologie più articolate e gravi come le psicosi, ad esempio.

Nei neonati e nei bambini piccoli possiamo notare con frequenza la comparsa di un disagio alimentare questo semplicemente perché il cibo è il primo e più facile strumento a disposizione del piccolo per lanciare un messaggio ai suoi genitori che qualche cosa non va, che sta vivendo un momento di difficoltà, che si sente, appunto, a disagio per qualcosa.

In genere queste forme di disagio si caratterizzano per essere transitorie, non si tratta infatti di situazioni rigide, di estrema gravità o già cronicizzate nel tempo. Ugualmente però ci troviamo dinnanzi a quadri, anche se di minor gravità, che necessitano di fermarsi e riflettere in quanto si configurano come un campanello d'allarme, un messaggio che viene lanciato eche necessita di essere accolto, decodificato e interpretato al fine di fornire una risposta.

Parlando di "disturbo", invece, le nostre sensazioni cambiano e notiamo facilmente un senso di maggiore pesantezza rispetto al termine "disagio". Quando utilizziamo il termine "disturbo" facciamo comunemente riferimento ad un malessere più intenso, ci vengono in mente i dottori magari, e lo associamo immediatamente a binomi quali "disturbi mentali", "disturbi psichici" e, nel nostro caso, "disturbi alimentari". Non è un caso infatti che leggendo l'indice del DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), redatto dall'American Psychiatric Association, si incontri solamente la voce "disturbo" declinata in diversi modi in base ai differenti quadri sintomatologici e non quella di "disagio".

Il termine "disturbo alimentare" ci rimanda quindi a dei quadri di maggiore gravità, caratterizzati da una maggiore stabilità e dove l'opposizione e il rifiuto del cibo ovvero l'attività fisica estenuante e le condotte evacuatorie sono più rigide, cristallizzate, ma soprattutto determinate. È inoltre possibile notare una maggiore compromissione delle relazioni familiari e interpersonali che il soggetto fatica a portare avanti.

All'interno di questi quadri rientrano i ben noti disturbi del comportamento alimentare quali anoressie, bulimie e obesità ed è possibile notare un'importante produzione di sintomi e di segnali di malessere (ad es. un forte dimagrimento in un periodo di tempo relativamente breve, un aumento ponderale significativo, una dispercezione della propria immagine corporea, …).

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Scritto da

Dott.ssa Valentina Carretta

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