Relazione andata male

Inviata da Anonima40 · 29 apr 2024 Terapia di coppia

Buongiorno, sono una donna di quasi 40 anni e vi scrivo in riferimento ad una relazione che ho avuto. Premetto che non ho avuto mai relazioni "ufficiali" né particolarmente durature.
Ho conosciuto quest'uomo in un sito di incontri. Non ci trovavamo nella stessa città, ma a 1000 km di distanza, una distanza che io ho vissuto come difficile da superare perchè ero appena rientrata nella mia città dopo un lungo periodo di assenza e i miei anziani hanno manifestato problematiche per cui ho sentito il "richiamo della patria". Invece lui, che era separato da pochi mesi, cercava subito una relazione importante e possibilmente una convivenza.
Ho fatto, anche con il supporto del terapeuta che mi seguiva, tutte le considerazioni delle difficoltà di un tale progetto di vita.

A me però rimangono molte domande irrisolte: soprattutto sul mio non essermi messa in gioco (a sufficienza), o essere stata più aperta. Di carattere sono molto frenata, chiusa e quindi anche solo l'idea di aprirmi ad una relazione per me è stata un traguardo immenso. Solo che se per me era un traguardo psicologico, a lui serviva la concretezza che andassi molto oltre, quindi c'è proprio una discordanza sugli intenti di ciascuno.
Quello di cui soffro adesso è principalmente il fatto che la persona con cui adesso sta, dal mio punto di vista, ha un contesto molto diverso dal mio che le da molte più possibilità di realizzare ciò che io ero arrivata solo a sognare o immaginare e che il mio mettermi in gioco non sia servito a niente, oltre al fatto che in fondo a lui non interessava tanto questa mia evoluzione psicologica, ma il fatto che fossi disposta a trasferirmi.

Avverto quindi due sensazioni: una è quella che mi sia stata sottratto, un po' troppo velocemente, un progetto o un' idea che fino a quel momento era rimasta a livello principalmente astratto e che non mi sia stato concesso di avere gli strumenti per realizzarlo, come un seme al quale non viene dato sufficiente nutrimento per venire alla luce, ma che sta iniziando a germogliare e sul quale si cominciano a fare dei sogni. E l'altra e che io stessa mi sia preclusa la concretizzazione di questa idea, con il mio carattere chiuso, per cui magari fare uno sforzo in più di apertura mi avrebbe aiutato, se non a concretizzare i progetti di vita che c'erano in cantiere, ad essere maggiormente possibilisti. Ed in ogni caso a non rimanere io con dei rimpianti, a non essere la solita "io" fifona, che si tira indietro di fronte alle difficoltà (quante volte avrei potuto prendere un treno od un volo in più). Preciso questo perchè più volte anche incontrarci in presenza è spesso stata un'impresa, a volte per freni miei, a volte per degli ostacoli pratici anche dovuti, seppure involontariamente, a lui.
Se poi fosse dovuta comunque finire, magari lo avremmo capito con maggiore serenità e ce lo saremmo detti con maggiore maturità.
Adesso che, purtroppo per un mio limite, mi scorre davanti la vita di questa nuova coppia che si è formata, vivo il doppio dilemma sia di vedere i manifesti che questa donna sta mettendo, sia il fatto che il mettere i manifesti era proprio l'oggetto del desiderio di quest' uomo che ho frequentato. Quindi non mi passa davanti solo il dato di fatto che c'è una nuova coppia, ma anche il fatto che questo dato di fatto sia espresso, manifestato e messo in luce, cosa che io non ho fatto. Cioè non ho tirato fuori, espresso, ufficializzato.

Si pone oltretutto il problema delle scelte riguardanti la mia vita: nella mia testa viveva un conflitto di scelte di vita per cui scegliere un trasloco comporta rinunciare a stare nella mia città, e qui subentrano sensi di frustrazione, colpevolizzazioni ("odio questa città ed i legami che ho ci ho creato"). Questo si mescola anche alla mia visione della mia città di origine che è sempre stata il mio porto sicuro, il mio faro, quando io me ne andavo in giro per il mondo a viaggiare o lavorare, come una sorta di viandante spensierato. Ma il faro c'era sempre.
Adesso purtroppo ancora non riesco ad elaborare questo distacco, perché vivo un senso di ingiustizia, come se dovessi avere diritto ad un trattamento più giusto, o ad avere una possibilità in più. E, dentro di me, spero di avere ancora qualche possibilità, ma allo stesso tempo avverto che un'eventuale speranza a questo rapporto la debba dare io, o l'avrei dovuta dare io. E siccome non ho dato questa speranza quando ancora potevo, adesso mi tocca subire questa sorta di legge del contrappasso per cui adesso sono io quella che non ha (più) diritto ad un riconoscimento ufficiale che non ha voluto dare quando poteva, e che avrebbe magari voluto raggiungere avendo tempo o energie in più (conoscere i suoi genitori, vivere tutte quelle tappe che loro hanno vissuto, ma che io avrei voluto vivere, vedendo un'altra donna a vivere questi momenti, oltretutto con il carico da 90 che sono stata la prima donna che ha conosciuto dopo la fine del suo matrimonio, quindi magari mi sarebbe piaciuto essere presentata così alla famiglia di lui).
E purtroppo, anche nelle comunicazioni con lui, c'è una porta, comprensibilmente, chiusa. Ho pensato di tutto, che forse avrei dovuto contattarlo e dirgli che, nonostante abbia avvertito una responsabilità mia nella fine di questa relazione, non avrei fatto alcun atto dimostrativo perché pensavo che comunque avrebbe dovuto aiutarmi a prendere questa scelta. Invece mi sono solo riversata addosso delle colpe, anche a causa di alcune accuse che lui mi ha rivolto. Magari lui si aspettava un atto dimostrativo ed io non ho detto/fatto nulla che in lui potesse fargli capire che da sola non ce la potevo fare.
Nonostante sia di mia comprensione che dovrei essere focalizzata su me stessa, non sempre riesco: su lui avevo sicuramente riversato anche delle proiezioni, delle aspettative.

Nonostante tutte queste riflessioni, io nutro la speranza di un ritorno e quella di dare un significato più positivo e costruttivo a questa relazione, che tante volte mi è stata criticata e demolita, mentre io in alcuni aspetti ci avevo creduto. Direi che il punto focale che vivo è tutto ciò che mi è rimasto dentro, che io ho vissuto, ma che è rimasto inespresso o non manifestato ne' ufficializzato, a volte per una mia volontà mentre lui in fondo la possibilità me l'aveva data.

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