Rapporto terapeuta paziente dopo la terapia

Inviata da Sergio · 16 ott 2015 Orientamento professionale

Salve a tutti,

paradossalmente scrivo qui e vi chiedo aiuto perché ne ho già parlato in seduta, ma ho bisogno ancora di "sfogare".

Io provo un affetto per il mio terapeuta che ho chiarito perfettamente, il transfert non è assolutamente di tipo sentimentale o amicale, semplicemente provo un affetto "autorizzato" e visto come naturale da entrambi, come è giusto che si instauri fra due persone che si vedono settimanalmente e con una delle quali che racconta tutto all'altro. Rispetto anche perfettamente i ruoli, su questo non vi è dubbio.

Il tema però della fine della terapia è qualcosa che mi pone davanti al dubbio, reputato estremamente prematuro giustamente dal mio terapeuta, che il mio affetto venga dissolto, o comunque che il terapeuta diventi un "ricordo". Capisco che il fine della terapia sia l'autonomia del paziente, ma è impossibile per me da accettare che "interiorizzare" un terapeuta basti. Io non voglio che il mio terapeuta diventi un ricordo, ma neanche un amico, e ho chiesto di poter comunque rimanere in contatto anche solo per aggiornarlo sulla mia vita quando sarà terminato il tutto, vedere come sta, non perdere il ricordo, nella stessa modalità dei "convenevoli iniziali" della seduta, dove di certo non ci si psicanalizza.

A detta del terapeuta qualsiasi rapporto deve e dovrà essere sempre di tipo terapeutico e quindi questo che prospetto sarebbe non coerente con la fine della terapia e con il rapporto, nonostante io premetta di voler rispettare.

Io però l'affetto "ce l'ho" e ce l'avrò sempre, so già che quando farò qualcosa mi ricorderò di lui, non mi basterà "ricordarmelo', ma provando affetto vorrò sapere come sta, vorrò aggiornarlo, sentire ricambiato il mio affetto, QUEL tipo di affetto, nel pieno rispetto dei ruoli. Cosa dovrei fare a questo punto di questo affetto? Dovrei già pensare che è inutile da provare perché sarà oppresso dalla possibilità di risentire il terapeuta in modo "disinteressato" se non ogni X anni, come lui concede ai suoi ex pazienti?

Grazie.

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Miglior risposta 17 OTT 2015

Caro sergio, e' probabile che lei in questa fase della sua psicoterapia abbia incontrato qualche resistenza e, per questo, sia tentato a non volerla affrontare , magari pensando che non ne vale la pena provare affetto per il suo terapeuta se un giorno non potra' frequentarlo..e' come dire rinuncio a vivere oggi perche' tanto prima o poi devo morire..a mio parere dovrebbe parlarne con il suo terapeuta e farsi aiutare .. Vedra' che dopo iniziera' una fase meravigliosa della sua terapia quantunque avventurosa..

Dott.ssa Mariarosaria Grazioso Psicologo a Bari

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2 NOV 2015

Vorrei scusarmi con i moderatori, ma vorrei anche chiarire ulteriormente alcune considerazioni visto che leggo "curiosità" in alcune delle vostre cortesi risposte.

La questione per me è più semplice di come la si possa immaginare. Quando si è chiarito che il tipo di transfert non è "distorto", nel senso che non è erotico, o un "proiettare il padre" o cose simili (perdonate la scarsa terminologia), ma un semplice affetto fra due persone che si vedono settimanalmente, il tutto si pone in modo molto per me completamente naturale. Al di là quindi del farne strumento per la terapia, sentendomi tranquillo e "autorizzato" sulla natura del transfer, io lo vivo dividendo nettamente e naturalmente (non ne faccio una mia qualità, ma un dato di fatto) quello che è un discorso orientato alla persona da quello orientato al terapeuta e alla terapia.

Ciò che è orientato alla persona è una stretta di mano, un chiedere come sta, un parere rapido su di un film visto, il racconto breve di un viaggio, un souvenir, tutto questo rispettando le figure e trovando quindi perfettamente naturale il "non bilanciamento" del dialogo, riservato dal suo lato, e più aperto dal mio. Tutto questo succede penso a molti, per pochi attimi nella seduta, e questo mi fa sentire il suo affetto e di conseguenza mi rende felice di potergli donare il mio, per la naturalezza, la sincerità e il rispetto di ciò che questo comporta. Uno scambio impossibile con altre persona perché è possibile solo con un terapeuta, ma uno scambio che non voglio che si perda, a prescindere da tutto ciò che la terapia comporti, nel pieno rispetto di essa. In questo senso infatti lui è convinto che per esperienza e per la letteratura non sarà così, ovvero terminata la terapia si instaureranno meccanismi diversi da quelli che credo. Per me non si perderanno, ma sono aspetti che, concordiamo, si vedranno col tempo. Tutto il resto, ovvero tutto ciò che non rientra in quei casi orientati alla persona è invece per il terapeuta, per il professionista, è terapia ed è il suo servizio.

Questi piani scorrono per me paralleli, ovviamente quello della terapia ha acceso e mantiene viva la fiamma sul piano della persona, fiamma intesa come affetto, ma è un un fuoco, che per me non finirà mai essendo la persona così importante. Su questo per me non si discute. Se la persona è importante già da ora, perché non dovrebbe esserlo in futuro quando i passi fatti saranno sempre più importanti? Per me è assolutamente insensato pensare il contrario, e su questo si può citare qualsivoglia esperienza o letteratura.

Quando io dico che finita la terapia, e rispettati tutti i tempi, voglio risentire questa persona, è semplicemente un qualcosa di rivolto, appunto, alla persona in se, non al terapeuta perché quest'ultimo lo terrò dentro come mi è stato più volte prospettato, come compito finale della terapia, e lo terrò "pronto", in termini di "servizio", in caso di necessità future..

Mi rendo conto che il fatto che io abbia oggi questo dubbio, ad un punto tutt'altro che finale della terapia, possa suonare alquanto strano e particolare, e su questo vi do ragione e ovviamente lo stiamo affrontando, ma una volta sviscerata la questione e capito che il tutto sarebbe rispettoso dei ruoli, della terapia e dei suoi tempi, del rapporto, ho iniziato oramai a pensare che io "non dica nulla di male", pertanto siamo arrivati al risultato secondo cui solo il tempo ci dirà. Ma posso metterci la mano sul fuoco, che se un giorno mi troverò a pensare alla terapia come uno strumento per superare "i problemi", ci sarà anche un momento in cui, nel ricordo degli strumenti della terapia, si passerà al ricordo della PERSONA e alla voglia di rivedere la stessa.

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2 NOV 2015

Vorrei intanto ringraziare tutti per le vostre risposte.
Vorrei inoltre chiarire che la terapia è tutt'altro che finita, ma che è in una fase centrale. Di questo argomento abbiamo parlato a fondo, io ho chiarito che la natura del mio affetto è e sarà sempre quella, sempre rispettosa dei ruoli e della terapia, in quanto voglio che lui possa essere il mio terapeuta eventualmente in futuro, ma anche se lui dice che per sua esperienza e letteratura non sarà così, io voglio poterlo anche solo salutare di tanto in tanto e aggiornarlo sulla mia vita una volta terminato il tutto, e lo faccio rivolgendomi a lui come persona, non come terapeuta. Raccontargli di un viaggio, portare un souvenir, parlargli di una bella esperienza, vedere che sta bene, questo mi basta. Mi rendo conto che la terapia mi cambierà, che saprò elaborare la separazione e dovrò camminare con le mie gambe, io voglio rispettare tutto questo, ma so che un giorno mi verrà la voglia di salutarlo, e sarà un giorno dove avrò elaborato la separazione, ma in un momento non tanto lontano come anni. Solo questo. Non voglio rimanere in eterno in terapia, rispetto tutto, ma non voglio che questa persona rimanga "un bel ricordo di un regalo o di un periodo". Una persona che ha fatto tanto per la propria vita oramai è dentro, e io non voglio che diventi un ricordo, ma una persona comunque presente nel pieno rispetto di entrambi e della terapia terminata.

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21 OTT 2015

Carissimo Sergio,
"leggerti" mi ha molto incuriosita e tra le molteplici domande che mi sono posta, le prime due sono state la tua età e la motivazione che ti ha portato a intraprendere un percorso psicoterapeutico.
Soddisfatta la personale necessità di renderti partecipe di alcune delle mie curiosità, ora "giungo" a te, credo sia fondamentale continuare a "lavorare" col tuo terapeuta, oltre che su altre tematiche, su temi centrali come la Separazione.....la Perdita......la Conquista..... che significato hanno per te, come le giudichi, come le vivi, che emozioni provi, che fantasie hai....!
Nel frattempo non "perderti" il presente rifuggiandoti nel futuro, da cosa stai scappando?
Buon cammino.
Dott.ssa Varvazzo Alessandra

Dott.ssa Varvazzo Alessandra Psicologo a Castellucchio

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19 OTT 2015

Ciao sergio, anche io mi sono trovata nella tua stessa situazione circa un mese fa.
mi volevo staccare da lei emotivamente un po alla volta per poi sentirmi pronta quando arriverà quel giorno. mi sono messa a piangere e le ho detto tutto il bene che le voglio. come mi aspettavo mi ha capito in pieno tanto che sono stata in seduta anche mezzora in più.Cercavo da lei una risposta su dopo come sarebbero andate le cose.mi disse che lei capisce questo mio sentimento autentico verso la sua persona non verso il suo ruolo. non ha tirato fuori transfert o robe simili e lei stessa mi ha detto che sa che non è così, ma che lei non mi può dire ora che cosa prova o che cosa succederà tra x tempo.non mi ha respinta ma mi ha lasciata nel dubbio.ho lasciato decantare per una settimana,e ho capito molto. ho capito che non si può voler meno bene, perchè i sentimenti non si controllano.mi sono chiesta,amerei meno una persona se sapessi ipoteticamente che sta per morire? no mi sono risposta di no, l amerei forse di piu godendo e imparando da ogni istante con lei. alla seduta dopo le ho detto questo..aggiungendo che io so che anche in terapia c'è amore che lo sento e che non importa quello che lei "non mi dice". ho concluso dicendole che continuerò ad abbracciarla e baciarla quando mi , ci andrà..ma che quando arriverà la fine della terapia non tornerò mai più da lei come paziente,se dovessi averne ancora bisogno mi cercherò un altro professionista, perchè io le ho lanciato questo messaggio d amore e poi starà a lei vedere cosa vuole fare...io lascerò la mia porta aperta. mi ha ringraziata di queste parole...e la nostra terapia va avanti alla grande.
Spero caro Sergio di poter esserti stata utile in qualche modo con la mia esperienza!

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19 OTT 2015

Gentile Sergio,
l'argomento che lei porta è seriamente interessante. Seriamente perché il distacco viene sicuramente vissuto a volte difficoltoso sia per il cliente che per lo psicoterapeuta e interessante in quanto è estremamente dibattuto nella letteratura psicologica.
Un percorso psicoterapeutico è sempre originale e unico e quindi non è possibile dire che a tutti i clienti avviene un' ansia di separazione così come non sempre c'è un'affezione al proprio cliente. Infondo parliamo di rapporti interpersonali in ambiente "controllato" ma che subiscono le stesse leggi di tutti i rapporti.
Quando una storia "d'amore" giunge a termine ognuna delle parti coinvolte rielabora a proprio modo la separazione. Poi c'è chi non ha bisogno di elaborare in quanto non ha capacità per farlo o non sente un affetto genuino.
Quindi penso che il suo terapeuta, che sicuramente è in grado di elaborare i suoi lutti compreso la separazione da lei, lo abbia fatto all'interno delle proprie possibilità e coi propri tempi. Se lei sente la necessità di continuare un rapporto di conoscenza oltre quello di psicoterapia non può non prendere in considerazione il punto di vista dell'altro. La volontà e la possibilità dell'altro di poter ancora investire energie in un rapporto con lei. Infatti anche se l'altro non fosse, come in questo caso, il suo psicoterapeuta, accetterebbe un rapporto unidirezionale? Dove l'interesse esiste solo dalla sua parte? Spero di non essere frainteso...con mancanza di interesse non intendo semplicemente la mancanza di qualcosa che piace ma l'esaurirsi dell'energia motivazionale utile per superare i momenti di sofferenza e per riaprire rapporti che, per almeno una delle due parti in causa, sono terminati.
Le consiglio di proteggere invece il buon ricordo del suo terapeuta e del suo percorso come un regalo che vi siete fatti in un certo momento della vostra vita (sua e dello psicoterapeuta) ma che non può essere ripetuto in quanto sono cambiate le circostante.

Spero di esserle stato utile in qualche modo,
Un saluto
Dott.re Lorenzetto Claudio

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19 OTT 2015

Carissimo Sergio,
c'è sicuramente qualcosa in questa richiesta, in questa necessità che le relazione continui anche dopo la conclusione che non riguarda espressamente il terapeuta, sebbene egli ne prenda il posto.

Il mio suggerimento é quello di continuare ad affrontare questo tema con il Suo terapeuta, cercando di considerare cosa per Lei significa una conclusione. Partendo da qui presumibilmente si apriranno altri orizzonti.

Un caro saluto.
Dott.ssa Fornari Daniela

Dott.ssa Daniela Fornari Psicologo a Iseo

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17 OTT 2015

Gentile Sergio,
credo che sia possibile, addirittura normale, che s'instauri un legame tra terapeuta e paziente, si tratta di una relazione, no?! Però da paziente rifletterei sulla necessità che avverte ora, a terapia in corso, di continuare a sentire il terapeuta una volta terminata la terapia. Come se lo spettro della separazione la stesse spaventando? Come mai? È possibile che ci sia una qualche forma di dipendenza, che forse sarebbe opportuno elaborare? Ne parli ancora con il suo terapeuta, quando si sentirà in grado di camminare con le sue gambe, in maniera indipendente ed autonoma, nn si porrà più questo problema, ma le rimarrà il semplice piacere di rivedere e salutare una persona che per lei è stata significativa, quando le capita di rincontrarla, nella realtà e nei suoi ricordi! Buona fortuna!

Dott.ssa Scilla Battiato Psicologo a Pulsano

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16 OTT 2015

Caro Sergio,
come mai proprio ora? Come mai proprio ora che la terapia ha tutti i presupposti per proseguire, il suo pensiero va alla conclusione?

Lasci evolvere la relazione e i suoi sentimenti. Non può sapere che pensieri ed emozioni vivrà quando la sua terapia sarà conclusa. Organizzare ora, sulla base di ciò che lei è ora, non solo sarebbe prematuro, ma le farebbe anche sprecare energie.

Un saluto
Dott.ssa Francesca Fontanella

Dott.ssa Francesca Fontanella Psicologo a Rovereto

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16 OTT 2015

Gentile Sergio,
penso che il quesito che lei pone sia più unico che raro perchè è molto più frequente che i pazienti che chiudono una terapia durata anche anni non sentano neanche il bisogno di ringraziare il terapista per tutto quanto ha fatto per loro.
E' anche vero che lo stesso terapista è più allenato a reggere eventuali frustrazioni di questo tipo e comunque svolge questo lavoro con passione ma senza coltivare particolari aspettative di ricevere gratificazioni esterne.
Ad ogni modo credo che invece di farne un problema di grave portata, lei, una volta completato il percorso di psicoterapia con raggiungimento degli obbiettivi terapeutici, può riservarsi di chiedere una seduta trimestrale o quadrimestrale come forma di follow-up raggiungendo il duplice scopo di non perdere il contatto mantenendo vivo il suo "affetto autorizzato" e verificare la efficacia di quanto appreso in terapia.
Non credo che il suo terapeuta non accoglierebbe eventuali richieste di sedute o consulenze occasionali dopo un percorso completato.
Cordiali saluti.
Dr. Gennaro Fiore
medico-chirurgo, psicologo clinico, psicoterapeuta (Salerno).

Dott. Gennaro Fiore Psicologo a Quadrivio

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16 OTT 2015

Grazie per la risposta, ma vorrei aggiungere che in realtà l'argomento è definito come prematuro proprio perché la terapia è tutt'altro che terminata, e giustamente il terapeuta mi chiede di non preoccuparmi e di procedere su argomenti più utili.

Io concordo completamente con lui, capisco anche il saluto finale sarà impostato in modo da sembrare giusto e naturale, così come il successivo distacco per validare l'autonomia, come elaborazione giusta e come successo della terapia. Solo che è proprio il periodo dopo l'elaborazione del distacco in cui vorrei che l'affetto venisse vissuto, con tutt'altri tempi e frequenze rispetto alla terapia certamente, sempre rispettando i ruoli, ma non facendo sì che io mi dimentichi il suo viso vedendolo una volta ogni X anni.

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16 OTT 2015

Buongiorno Sergio, io sono d'accordo con il suo terapeuta. Mi perdoni la franchezza, ma il fatto che lei non riesca a gestire il ricordo o l'interiorizzazione del terapeuta, è un problema suo. Anzi, vista tale difficoltà, sicuramente la terapia è terminata rispetto gli obiettivi iniziali, tuttavia potrebbe non esserlo rispetto a questo che potrebbe essere il vero ultimo obiettivo: il termine della terapia. Perché, secondo me ed in altre parole, lei sta dicendo questo: non riesce a gestire il termine di un contesto relazionale dove poteva, legittimamente, esplicitare o meno, il suo affetto per il terapeuta. Forse, se lavoraste ancora qualche seduta solo su questo, avrebbe meno difficoltà a rivedere il suo terapeuta dopo x tempo.
Buona fortuna,
dott. Massimo Bedetti,
Psicologo/Psicoterapeuta Costruttivista Postrazionalista-Roma.

Dott. Massimo Bedetti Psicologo a Roma

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