Conoscere l'ex terapeuta una volta finito tutto?

Inviata da Chiara · 26 nov 2015 Orientamento professionale

La mia è una domanda semplice.
E' possibile che, una volta finito il percorso terapeutico e messo un punto, ex paziente ed ex terapeuta intrattengano un rapporto di semplice conoscenza al di fuori, diciamo, nella vita vera?
Se davvero il rapporto professionale è concluso e determinate cose sono state risolte, allora mi chiedo e Vi chiedo: Sarebbe davvero così "immorale" conoscersi, fare una passeggiata, parlare del più e del meno e, chissà, stringere un'amicizia col tempo?
Grazie in anticipo per l'attenzione.

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Miglior risposta 30 NOV 2015

Cara Chiara
io credo che il paziente, una volta terminata la terapia, sia una persona completa e sia in una posizione simile a tutte le altre e questo anche rispetto al proprio terapeuta; stesso vale per il terapeuta.
Terminata la terapia il terapeuta è una persona e il paziente è una persona e come tali sono "nuovi" nel presente.
Se dovessero conoscersi come tali e presentarsi le affinità tra loro che rendono possibile una amicizia ...nulla di strano.
La cosa invece potrebbe essere problematica qualora ci sia ancora una forma di "immaturità" nell'ex paziente o un residuo di ruolo nel terapeuta e che, con la scusa dell'amicizia, vogliano prolungare la relazione fuori del setting.
In questo caso, semplicemente, le due persone starebbero prendendosi in giro e, nonostante il codice non lo vieti, sarebbe un rapporto falsato e come tale poco positivo.
Però io credo che, qualora la terapia abbia realmente funzionato e sia realmente stata portata a termine, la persona non debba continuare a pensarsi come ex-paziente di quel terapeuta, così come il terapeuta non debba continuare a pensarsi come ex- terapeuta.
Nelle cose umane il fatto di continuare a considerarsi e definirsi ex (es. tipo ex- fumatori, ex- tossici, ex-amanti, ecc) sia un modo per essere ancora in quella storia; non è superata, non è finita...almeno non completamente, non psicologicamente.
Spero aver dato qualche spunto di riflessione.
Un caro saluto e grazie per l'interessante domanda.
Dott. Silvana Ceccucci Psicologa Psicoterapeuta

Dott.ssa Silvana Ceccucci Psicologo a Ravenna

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29 NOV 2015

Cara Chiara, la relazione d'aiuto psicoterapeutica è una relazione " sbilanciata" nel senso che appunto vi è una persona che soffre e chiade aiuto. Quando, al termine della psicoterapia, e tutto è veramente risolto, è possibile ma difficile che la relazione diventi amicale. Inoltre, se questo accade, per reciproco apprezzamento, non sarebbe poi più possibile "tornare indietro". Comunque questo è successo, più volte, per esempio il famoso fisico Pauli, che aveva lavorato in analisi con Jung ne era poi diventato amico ed avevano scritto insieme importanti libri sulle risonanze tra fisica quantistica e psicologia dinamica. Molti psicoterapeuti non saranno probabilmente d'accordo. E certo non è una situazione comune. Ma io credo che nel campo delle relazioni umane ci sia spazio anche per questo. Cordialmente. Marco Tartari, Asti

Dott. Marco Tartari Psicologo a Roatto

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28 NOV 2015

Buongiorno, il terapeuta per definizione deve essere terapeutico. Per quanto la psicoterapia possa essere condotta in modo informale, quindi anche includendo aspetti personali del terapeuta, il senso della relazione terapeutica è proprio quello di curare. Di accompagnare la persona con cui si lavora per una parte della vita e ridare la possibilità al paziente di camminare sulle proprie gambe. E' sicuramente un momento difficile e faticoso quello in cui ci si saluta; sicuramente un traguardo riuscire a lasciare andare le relazioni importanti quando hanno esaurito il loro focus. Se ne ha ancora bisogno per qualche motivo è ancora il suo terapeuta, se non ne ha più bisogno forse è proprio questa l'ultima fatica prima di poter tornare ad esplorare la vita senza una guida. In bocca al lupo!

Dott. Davide Livio Psicologo a Cantù

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27 NOV 2015

Gentile Chiara,
le risponderò altrettanto in maniera semplice.
La questione non è se sia morale o immorale che, finita la terapia , paziente e terapeuta possano stringere una amicizia. Probabilmente non è immorale ma è solo fuori luogo e senza senso.
Tutte le interazioni possibili tra paziente e terapeuta sono state esperite all'interno della relazione terapeutica ed è fuori luogo cambiarne la natura e trasportarle come continuum nella vita privata.
E' chiaro che la sua domanda è formulata sotto forma di ipotesi ma credo che sia una ipotesi poco realistica perchè sono convinto che nessun terapeuta professionalmente serio accetterebbe una operazione di "trasformismo" di questo tipo.
Altra cosa, ovviamente, è fare due chiacchiere di occasione o prendere un caffè al bar se al terapeuta càpita casualmente di incontrare un ex paziente.
Cordiali saluti.
Dr. Gennaro Fiore
medico-chirurgo, psicologo clinico, psicoterapeuta a Quadrivio di Campagna (Salerno).

Dott. Gennaro Fiore Psicologo a Quadrivio

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27 NOV 2015

Gentile Chiara,
di sicuro non è immorale che ex paziente ed ex terapeuta abbiano dei contatti anche dopo la fine della terapia e non è nemmeno vietato dal codice deontologico.
Parlando personalmente non mi è mai capitato di frequentare ex pazienti, di sicuro però se ci si incontra capita di scambiare due parole in generale... Ma iniziare un'amicizia o una conoscenza sarebbe strano, perchè durante il percorso di terapia si affrontano spesso argomenti delicati di cui appunto si sceglie di trattare con un estraneo, tutelati dal segreto professionale e dalla relazione terapeutica. Trovarsi in un secondo momento in un contesto di vita sociale credo che sarebbe quanto meno imbarazzante.
Sottolineo che questa è assolutamente un'opinione personale, ma spero di esserLe stata utile fornendoLe il mio punto di vista.
Cordialmente
Dott.ssa Annalisa Caretti

Studio Dott.ssa Annalisa Caretti Psicologo a Verbania

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27 NOV 2015

Buongiorno Chiara,
alla sua domanda, per quanto possa sembrare semplice, non è facile dare risposta senza appellarsi acriticamente alla deontologia o ai codici personali di condotta.
Alcuni orientamenti, all'interno dell'universo della psicoterapia, sono più possibilisti sull'ipotesi di poter mantenere rapporti cordiali e informali col terapeuta al termine del percorso condiviso, altri invece preferiscono che al momento della conclusione le due parti non intrattengano rapporti al di fuori dello studio (o del Servizio). Personalmente faccio parte di questa "scuola" , e penso sia una forma di tutela nei confronti del paziente e della qualità dell'intervento fatto ; a mio avviso il terapeuta dovrebbe mettere quanto meno possibile di personale nello spazio dedicato al paziente, evitando di trasformarlo in un contesto di interazione amichevole. In aggiunta, sarebbe interessante chiedersi come mai si possa ipotizzare una relazione che perduri anche dopo la conclusione di un percorso (es. desiderio di capire qualcosa della vita personale del terapeuta? sensazione che la terapia si sia svolta in un clima troppo impersonale? difficoltà nel gestire una separazione da una figura divenuta importante?). La questione "moralità versus immoralità" quindi andrebbe forse trasformata in "utile per il benessere del paziente" o "non utile", fermo restando che anche le psicoterapie più rigorose e più attente al contesto si svolgono in un clima di vivo interesse per la persona, di curiosità focalizzata e di cordialità.
Un saluto

Dott. Alberto Idone Psicologo a Torino

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