Parola d'ordine: cambiare! Ma come?

Il cambiamento nelle aziende libera nuove potenzialità, ma perché si concretizzi non bastano le buone intenzioni e le richieste calate dall'alto.

8 MAG 2023 · Tempo di lettura: min.
Parola d'ordine: cambiare! Ma come?

Giorgio è il responsabile produzione di una azienda che opera nel settore alimentare. Giovane ingegnere, molto curioso, svolge il suo lavoro con grande passione. Dopo aver partecipato ad un assessment per la valutazione delle sue soft skill, affronta il colloquio di feedback con Roberta, HR Manager e con Dario, Direttore Operation. "Dobbiamo lavorare sulla tua capacità di delega", afferma Roberta, dopo aver condiviso con Giorgio i suoi punti di forza. "Il problema è che tu ti carichi troppo, perdendo incisività, svolgi anche attività che potrebbero benissimo essere gestite dai tuoi collaboratori, anche i capi reparto potrebbero darti una mano", aggiunge Dario che, nel frattempo, ha anche raccolto numerose lamentele da parte dei collaboratori di Giorgio che rimarcano la sua tendenza ad accentrare su di sé molte attività.

Direttore di Produzione ed HR Manager chiedono quindi a Giorgio un cambiamento importante: delegare e coinvolgere i propri collaboratori e per aiutarlo gli propongono anche di partecipare ad un percorso di formazione.

Passano i mesi e nonostante il corso di formazione svolto, Giorgio non sembra aver cambiato di molto il suo comportamento, anzi alcune dimissioni nel suo gruppo di lavoro evidenziano la sua persistente difficoltà a coinvolgere e far crescere le persone.

Perché cambiare è così difficile? Perché nonostante la formazione il comportamento di Giorgio sembra essere sempre lo stesso?

Proviamo ad approfondire la questione. Innanzitutto possiamo affermare che in ognuno di noi c'è un po' di Giorgio, nel senso che il nostro cervello per garantirci la sopravvivenza tende a privilegiare la stabilità delle esperienze vissute, la certezza della loro prevedibilità. Hai sempre fatto così ed è andata bene, perché devi cambiare? Questa è la voce del nostro cervello, che ci mette in allerta ogni qualvolta il contesto ci stimola a cambiare un comportamento consolidato. Per non parlare delle nostre abitudini. Un recente studio, citato nel bellissimo libro di Kegan e Laskow Lahey dal titolo "Immunità al cambiamento", evidenzia che quando i cardiologi comunicano ai loro pazienti, ad alto rischio d'infarto, che potrebbero morire se non cambiano stile di vita, solo uno su sette mette davvero in pratica le indicazioni mediche. Uno su sette!

Se neppure il rischio di perdere la vita ci spinge diffusamente a cambiare, come possiamo pretendere di agire il cambiamento nelle nostre organizzazioni dove è in gioco qualcosa di importante, ma sicuramente non così essenziale come la nostra vita?

Perché si generi un cambiamento concreto, sono necessarie almeno quattro precondizioni:

  • -La prima, essere consapevoli e convinti che il cambiamento ci porterà vantaggi concreti, che ne vale la pena, ma non perché qualcuno ce lo chiede, ma perché quel qualcuno o qualcosa che ci stimola ci fa pre-gustare la felicità, le emozioni e i sentimenti che il successo, determinato dal cambiamento, ci potrà generare. Nel nostro esempio, si tratta di aiutare Giorgio a immaginare un'altra realtà, a delineare quali miglioramenti per lui stesso e per l'organizzazione possono essere generati da un diverso esercizio della delega.
  • -La seconda, entusiasmo e convinta perseveranza nell'esercizio di un nuovo comportamento. Il cambiamento dipende dalla neuroplasticità del nostro cervello, ossia dalla sua capacità di creare nuove connessioni fra neuroni, cambiare vuol dire modificare il repertorio delle azioni automatizzate nelle reti cerebrali. Per migliorare il suo processo di delega, Giorgio dovrà esercitarsi, con tenacia e forza di volontà, in nuovi comportamenti: solo così potrà generare nuove connessioni neurali e quindi nuove "abitudini" registrate nei solchi dei circuiti cerebrali.
  • -La terza, mettersi in discussione, fare un lavoro introspettivo. Dobbiamo capire perché fino ad oggi abbiamo agito comportamenti opposti ai nostri nuovi obiettivi. Se non ci domandiamo il perché dei nostri comportamenti, non andiamo oltre la punta dell'iceberg, il nostro processo di cambiamento non ci coinvolgerà totalmente, ma lo subiremo. Giorgio dovrà domandarsi a che obiettivi risponde il suo comportamento accentratore, la sua tendenza a non delegare, a non responsabilizzare le persone. Dovrà scavare dentro di sé fino a capire quali siano le sue convinzioni latenti generatrici di obiettivi nascosti e quindi di comportamenti controproducenti. Potrà scoprire, per esempio, che il suo non delegare dipenda dal fatto di credere che sporcarsi le mani ed essere anche operativo sia oggetto di stima da parte dei suoi collaboratori, che evitare loro problemi sia caratteristica di un buon leader, che delegare significhi perdere potere, prestigio, rischiare di sbagliare perché si perde il controllo. Si dovrà lavorare con Giorgio per fargli conquistare la consapevolezza che per lui non delegare è un aspetto che lo fa stare bene, perché si sente importante quando gli altri lo vedono come un tuttofare, risolutore di problemi. Sarà quindi fondamentale aiutarlo a sviluppare un nuovo sistema di assegnazione di significati ai suoi comportamenti.
  • -La quarta, un contesto aziendale libero dalla paura. Molti leader credono ancora nella forza della paura come agente del cambiamento: cambia o avrai queste conseguenze. Nulla di più errato: la paura inibisce l'apprendimento di nuovi comportamenti, mentre la sicurezza psicologica lo favorisce.

Cambiare è possibile, ma dobbiamo essere consapevoli dei meccanismi che generano il cambiamento, per poterlo orientare, governare, concretizzare. Non basta un generico corso di formazione per attivare un concreto processo di cambiamento. Come abbiamo visto, serve di più. Servono senso e significato condivisi per creare entusiasmo, lavorare sul sé per agire e ripetere consapevolmente nuovi comportamenti che si consolidino in nuovi pattern di attivazione neuronale. Da alcuni anni, in Sesvil, stiamo affrontando il tema del cambiamento nelle organizzazioni secondo un approccio olistico, con risultati molto incoraggianti. Il processo investe in primis sull'ascolto e analisi delle esigenze di cambiamento, anche attraverso assessment per la valutazione delle soft skill, al fine di sostenere la diagnosi anche con informazioni e dati oggettivi. Seguono poi un percorso laboratoriale per applicare la metodologia che affronta tutti i nodi che abbiamo sopra esposto, ed un percorso di coaching individuale per aiutare la persona a superare quegli ostacoli che la stessa vede frapporsi fra sé e gli obiettivi di cambiamento. Ne risulta un percorso molto coinvolgente, operativo, con l'utilizzo di modalità didattiche di tipo esperienziale, in grado di liberare nuove potenzialità, per un cambiamento condiviso, concreto, duraturo, utile. Perché il cambiamento dipende da noi, è dentro di noi, nessuno può pretendere di imporcelo, ma può aiutarci ad esplicitarlo.

Massimiliano Bergomi

Riproduzione riservata©

Riferimenti bibliografici

Kegan, R. Laskow Lahey, L. (2018). Immunità al cambiamento. Milano, Italia: Franco Angeli

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Scritto da

Dott. Massimiliano Bergomi

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