L'aggressività spiegata con un film "Funny Games"

Come mai i bambini sono aggressivi coi compagni di scuola? E come mai crescendo sembra che questa aggressività non smetta di decrescere?

7 SET 2020 · Tempo di lettura: min.
L'aggressività spiegata con un film "Funny Games"

Regista: Michael Haneke

Anno: 2007

Funny Games risalta per numerosi pregi. Primo fra tutti quelli del regista Michael Haneke abilissimo nel parlare e sopratutto descrivere cosa sia l'essenza della violenza, quella che apparentemente sembra essere senza motivi e giustificazioni.

Altro merito è quello della linearità della storia che di fatto non sminuisce la complessità dei protagonisti e in particolare modo dei due killer.

La violenza che i due ragazzi esibiscono è schiacciante, priva di misure. Appare con un'intensità che ben poche volte ho avuto modo di conoscere. Essa non ha direzioni precise eppure è agita sempre allo stesso modo: con dovizia, misura, freddezza, precisione matematica, senza distinzione di specie sia essa umana o animale.

Stupiscono le sequenze che portano all'uccisione delle famiglie, stupisce la loro educazione, i modi bambineschi con cui interagiscono tra loro, l'utilizzo dei soprannomi - Tom e Jerry - che si danno scherzosamente tra loro e che non possono non richiamare all'infanzia e dunque alle condizioni del loro stato mentale, agli sfregi che portano le loro vite, i loro ricordi di bambini, il loro passato la cui ricostruzione che tentano di dare alle vittime - che di li a poco massacreranno - è così tanto confusionale da sembrare proprio identificativo la loro instabilità senti-mentale.

In tal senso, come suggerisce Wilfred Bion, essa potrebbe essere la conseguenza di un mancato contenitore, - penso ad una madre - capace di neutralizzare, contenere e trasformare le loro "emozioni angosciose e brutali" che altro non fanno che accrescere gli impulsi distruttivi che fin dai primi momenti di vita prendono il sopravvento sull'intera struttura psichica: l'amore viene trasformato in odio rivolto verso il sé e verso la realtà (interna ed esterna) e in un intreccio aggressivo che lo psicoanalista un altro psicoanalista, Adler, dice essere compensativo dei sentimenti di inferiorità.

L'educazione, la loro garbatezza, la dolcezza delle loro voci sembrano essere tentativi di celare la forza, l'energia, la paura che loro stessi hanno della loro vera natura; una disperata modalità di annusare, come animali feriti, cosa sia il senso di una "famiglia"; un esperimento in cui a primeggiare c'è solo la loro insoddisfazione alla vita che nessuno è stato in grado di far indietreggiare con prove quali la condivisione, la protezione, la costruzione di un sé, la fiducia. La loro aggressività non è dunque un istinto autonomo ma un modo per gratificare quelle esigenze istintuali a cui nessuno ha dato il giusto peso, la giusta dignità, la doverosa importanza.

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Scritto da

Dott. Aldo Monaco

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