La rabbia e le donne

Imparare a manifestare la propria rabbia in modo produttivo significa conoscere i propri reali bisogni e intrattenere relazioni più autentiche con le persone che ci circondano.

7 APR 2014 · Tempo di lettura: min.
La rabbia e le donne
La rabbia può definirsi l’emozione dell’autoprotezione per eccellenza, quando si va  in collera si attinge ad un desiderio primario di autoprotezione. Nonostante possa essere sicuramente utilizzata in modi malsani, la rabbia non è un emozione negativa come vuole il senso comune.

Il problema è che fin dalla tenera età ci viene insegnato che è cattivo e sbagliato esprimere la collera; ancora oggi questa emozione viene considerata inopportuna e irragionevole, associata all’aggressività o al capriccio. La gente è spesso spaventata dalla propria rabbia: teme che la spinga a compiere qualche azione dannosa e, di conseguenza, ci si rifiuta di prestare attenzione alla collera degli altri e si esita ad esprimere la propria.

In genere le persone si sentono sollevate nel comprendere che la rabbia ha uno scopo valido: quando si è addestrati a pensare alla collera in termini strettamente negativi può essere una rivelazione scoprire che è un bene, oltre che una necessità, guardare in faccia quello che ci rode. Nei colloqui psicologici con le persone che hanno difficoltà a gestire la propria rabbia non mi focalizzo sul fatto che la provino quanto su quello che ne fanno e come la gestiscono.

Come gestire la rabbia?

Quando insorge in noi la rabbia, dobbiamo essere consapevoli, innanzitutto, che si tratta di un energia e che possiamo trasformarla: la rabbia  è un energia trasformativa. Allontanarla è però una falsa soluzione: la rabbia non va repressa  e non è detto che debba essere ‘sfogata’ come tutti banalmente consigliano: in questo modo il problema viene solo spostato.  Ciò che deve cambiare invece è il modo di stare con la rabbia.  Ci sono molte tecniche creative che si possono utilizzare in ambito psicologico per imparare a sedersi accanto al fuoco della propria rabbia: può essere utile per esempio scrivere su un diario le nostre impressioni oppure tradurre la rabbia in immagini attraverso disegni, dipinti e mandala. Non sono modi per sfogare o allontanare la rabbia, ma per darle forma, conoscerla e prenderne coscienza. Come accade in fisica, anche nella psiche nulla si distrugge e tutto si trasforma: così la rabbia rimossa o repressa diventa una gastrite, una dermatite o anche un accumulo di grasso.

L’errore più comune è attribuire alla rabbia una causa (una relazione familiare conflittuale ad esempio). Ciò è vero solo in apparenza. Dal punto di vista della psiche, gli eventi sono solo il pretesto o la  circostanza grazie ai quali ciò che già abita dentro di noi (la rabbia in questo caso) inizia ad emergere, e possiamo così iniziare a vederlo e riconoscerlo come un lato naturale di noi stessi.

Per le donne già il semplice sentire la rabbia è  in sé un problema perché nella nostra società l’immagine di una donna aggressiva o piena di rabbia fa scattare una repulsione immediata e inconscia in tutti. Ancora oggi le bambine sono educate, in genere, censurando la libera espressione della loro rabbia e aggressività e scoraggiando la manifestazione di ogni comportamento apertamente competitivo e autoaffermativo. Questo stile educativo fa si che, da adulte, tendano ad evitare non solo l’espressione diretta della collera ma anche proprio l’esperienza emotiva del sentimento di rabbia. Preferiamo sentirci addolorate piuttosto che arrabbiate. Sentire l’emozione della rabbia è per molte donne molto difficile perché implica necessariamente il sentimento di separazione dall’altro: nell’attimo in cui siamo in collera, infatti, non ci sentiamo più moglie,  figlia o madre, ma ci percepiamo solo come persone. Le donne sono così spaventate da questa mancanza di connessione emotiva con l’altro che le loro espressioni di collera, se ci sono, molto spesso sono accompagnate da lacrime e senso di colpa; oppure somatizzano, inconsapevolmente, i vissuti emotivi legati alla collera e si autodistruggono, nel timore di distruggere l’altro.

Essere consapevoli della propria collera e avere la capacità di rimanere in contatto con essa, osservando l’emozione e le reazioni che suscita, e guardando senza giudizio i pensieri che attraversano la nostra mente, è il primo passo per riuscire ad andare oltre.

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Scritto da

Dott.ssa Forin Laura

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