Se mi tratti bene mi sento attaccato: perché?

Può succedere che se qualcuno ci tratta bene sentiamo avversione nei suoi confronti. Com'è possibile? Perchè attaccare o allontanare chi ci mostra vicinanza? In questo articolo racconto alcune spiegazioni dal mondo della psicoterapia.

28 LUG 2023 · Tempo di lettura: min.
Se mi tratti bene mi sento attaccato: perché?

Può succedere che se qualcuno ci tratta bene sentiamo antipatia, dispetto, disprezzo, rabbia. O forse conosciamo qualcuno che mostra atteggiamenti ostili nei nostri confronti proprio quando cerchiamo di essergli vicini. Sembra paradossale, ma la psicologia si interroga per dare risposte sempre più accurate a fenomeni come questo. Un'interessante chiave di lettura (in linea con Liotti, Gilbert ed altri) è quella che voglio qui raccontare.

Perché ci sentiamo così?

Se qualcuno si prende cura di noi, ci sorride amorevolmente, è gentile, usa un tono di voce caldo riattiva in noi un bisogno di cura, , cioè il sistema di attaccamento. Ma se in passato abbiamo ricevuto risposte inadeguate nel momento in cui avevamo bisogno di cura (es. derisione, abbandono, attacco, indifferenza) sarà normale possa riattivarsi un disagio.

Tale disagio può portarci a percepire l'altro come cattivo (abusante, abbandonico...) come in effetti ci successe in passato! O in certi casi, ancora nel presente. E allora potremmo trovare, nell'altro benevolo, difetti che giustifichino il nostro fastidio, scuse per allontanarci, somatizzare la rabbia... oppure attaccare finchè l'altro effettivamente ci risponda con rifiuto, così da confermare e dare senso a quello che stavamo sentendo!

La sequenza sarebbe:

Percepisco segnali di cura >>> attivazione inconsapevole del bisogno di cura >>> attivazione inconsapevole dei vissuti spiacevoli avuti in passato (vergogna di non sentirsi degni d'amore, tristezza, paura, rabbia) >>> percepisco l'altro come nemico >>> rabbia/fastidio/disgusto e tendenza all'attacco o al distanziamento >>> bisogno razionale di dare un senso alla percezione spiacevole dell'altro >>> (eventuale) autocritica secondaria: "Diamine, sono cattivo!".

Come affrontare questa sensazione?

È importante e coraggioso riconoscere queste dinamiche dentro di sé se accadono. La cura a un cuore ferito è un cuore riparato. Se qualcuno si prende cura di noi, sforzandosi di capire come ci sentiamo, può trovare la sintonia che non desti in noi il meccanismo del rifiuto/attacco.

Come affrontare questa sensazione?

Si può anche provare a riconoscere il meccanismo quando accade, trovando un modo per distanziarsi dalla dinamica di attacco/rifiuto prendendo contatto compassionevole con le emozioni più profonde e vere, del tipo: "Aspetta, sto percependo Tizio come un mostro? In effetti sento molta rabbia nei suoi confronti nonostante non mi abbia trattato male. Ma non è lui, è il mio contrattacco che sta cercando di proteggermi... provo vergogna per questi sentimenti di rabbia, ma è OK, non sono cattivo... a ben sentire... mi sento non amato... vorrei il suo affetto". Se sentire i vissuti profondi è un terreno troppo difficile sarà fondamentale che qualcuno ci aiuti a prendervi contatto in modo non sovverchiante.

Il risultato finale è concedersi di sentire l'affetto (verso sé stessi, verso l'altro) scorrere nel corpo. Tali sentimenti curano stabilmente perchè sono incompatibili con il "disamore" da cui parte il tutto (non possono cioè albergare contemporaneamente nel corpo). Solitamente, anche dar voce alla rabbia e alla tristezza per i maltrattamenti subìti è una parte importante del processo curativo.

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Scritto da

Dott. David Maddalon

Bibliografia

  • Liotti, G., e Gilbert, P. (2011). Mentalizing, motivation, and social mentalities: Theoretical considerations and implications for psychotherapy. Psychology and Psychotherapy: Theory, research and practice, 84(1), 9-25.
  • Pos, A. E., e Greenberg, L. S. (2012). Organizing awareness and increasing emotion regulation: Revising chair work in emotion-focused therapy for borderline personality disorder. Journal of Personality Disorders, 26(1), 84-107.
  • Greenberg, L. S. (2010). Emotion-focused therapy: A clinical synthesis. Focus, 8(1), 32-42.
  • Pascual-Leone, A., e Greenberg, L. S. (2007). Emotional processing in experiential therapy: Why" the only way out is through.". Journal of Consulting and Clinical Psychology, 75(6), 875.
  • Pascual-Leone, A. (2018). How clients "change emotion with emotion": A programme of research on emotional processing. Psychotherapy Research, 28(2), 165-182.

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Commenti 1
  • Emilia Scala

    Ho 67 anni, sono andata in pensione da poco. Vivo e ho vissuto quotidianamente la sensazione di sentirmi attaccata, sia in famiglia che fuori. In realtà non si è trattato di sentimento, ma di attacchi veri e propri ogni volta che ho tentato di affermare il mio punto di vista, o rivendicato un diritto, anche solo di dire la mia opinione. Di conseguenza, nel tempo, per evitare, mi sono rinchiusa in me stessa, elaborando l'idea che non ne valeva la pena, perché i benefici nulli, provocavano costi molto alti. Ma la cosa più grave è che, involontariamente, mi sono fatta manipolare pagando altri pesanti costi. Oggi, essendo mancata mia madre, avendo trovato tra i documenti una causa mai risolta, devo affrontare la questione spinosa di un'ingiustizia subita in un tempo lontano. Ho chiesto una consulenza legale e sembra che ci siano i presupposti per rivendicare il diritto. Andrò avanti, senza sapere come finirà e i costi a cui andrò incontro. Di questo non posso, non riesco a parlarne né a mio fratello (abituato solo a chiedere e prendere ai miei genitori), né a mio marito, che culturalmente mi considera un essere inferiore e come mio fratello utilizza aggressività verbale e silenzi ricattatori. Ho tanta paura, non riesco a dormire, se mi addormento faccio brutti sogni, al risveglio sono ancora più preoccupata e scoppio in lacrime. Da notare che, dal 1998, anno in cui mi è successo un fatto gravissimo, non sono più riuscjta a piangere. Ora si apre una diga. Quale chiave di lettura? I risultati delle mie "mosse", daranno un ultimo scacco matto? Ho paura. Non mi fido e anche la gentilezza mi sembra un altro modo di attaccare o manipolare. PS: la psicoterapia ha avuto scarsi benefici, se non nel supporto avuto in ospedale durante la malattia e l'esito infausto di mia madre. Ho incontrato una brava psicoterapeuta, ma hanno tolto la convenzione e lavora in altra regione. Grazie per volermi rispondere

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