La psicoterapia del trauma

Come viene trattato il trauma in psicoterapia? Sistema nervoso autonomo, teoria polivagale e fasi del trattamento: dalla regolazione dell'arousal all'elaborazione del ricordo traumatico.

3 FEB 2023 · Tempo di lettura: min.
La psicoterapia del trauma

Il trauma è l'esperienza personale diretta di un evento che causa, o può causare, morte o lesioni gravi o altre minacce all'integrità fisica. Tuttavia, questo concetto deve essere esteso agli aspetti relazionali: cioè, gravi minacce non all'integrità fisica, ma alle relazioni di una persona.

Ad esempio, uno dei traumi più gravi è l'abbandono: la trascuratezza emotiva di un bambino da parte di chi lo accudisce. Un altro aspetto da tenere presente è che il trauma, sebbene possa avere caratteristiche di oggettiva gravità, deve sempre essere definito in relazione alla capacità della persona di sopportarne le conseguenze.

Sono molti i sintomi che possono essere attribuiti a un trauma irrisolto: ricordi intrusivi o sogni sull'evento traumatico, reazioni dissociative, intensa sofferenza psicologica e marcate reazioni fisiologiche all'esposizione a fattori che hanno caratteristiche simili a quelle del trauma e che possono quindi agire da fattori scatenanti.

Cosa ci succede quando siamo esposti a un evento traumatico?

La teoria polivagale di Stephen Porges, neuroscienziato americano, ci aiuta a capire. La visione classica della neurofisiologia divide il sistema nervoso autonomo in simpatico e parasimpatico. Il primo comprende un insieme di strutture che ci predispongono a comportamenti difensivi, mentre il secondo è coinvolto nei meccanismi di riposo e di restituzione dell'energia.

La teoria polivagale di Porges stabilisce un'altra distinzione all'interno del sistema parasimpatico, dividendolo in due parti: il dorsale-vagale e il ventro-vagale. Quindi, ricapitolando, ci sono tre parti del sistema nervoso autonomo che regolano i nostri stati di eccitazione: il sistema simpatico, il sistema parasimpatico dorso-vagale e il sistema parasimpatico ventro-vagale.

Ma in quali condizioni ciascuno di questi sistemi viene attivato e quali sono le conseguenze di tali attivazioni?

Tutti noi, soprattutto a livello del tronco encefalico, possediamo neurorecettori in grado di valutare (in modo del tutto inconsapevole!) le condizioni di sicurezza o di pericolo del nostro ambiente. In base al risultato di questa valutazione, il nostro cervello modifica il suo funzionamento e la configurazione corporea corrispondente.

Se l'ambiente è percepito come insicuro, si attiva il sistema simpatico: la frequenza cardiaca aumenta, così come la pressione sanguigna e la contrazione muscolare, i polmoni si dilatano, la respirazione diventa più rapida, l'attività gastrointestinale viene inibita... in breve, i nostri livelli di eccitazione aumentano, consentendo al nostro organismo di trovarsi nelle condizioni ottimali per fuggire dal pericolo o per combatterlo (la famosa reazione "flight or fight"). Se il sistema simpatico è iperattivato, si verifica uno stato di iperattivazione che può portare al congelamento e all'immobilità tonica.

Psicoterapia di trauma

Tuttavia, quando i nostri recettori ritengono che l'ambiente sia sicuro, si attiva il sistema parasimpatico ventrovagale. Se il nostro cervello ci dice che non c'è pericolo, non abbiamo bisogno di essere ipervigili per essere pronti a fuggire o a combattere: possiamo passare il tempo a fare qualsiasi cosa ci faccia stare bene.

In effetti, in queste situazioni, le attività che vengono stimolate riguardano la socializzazione, il gioco, l'esplorazione e l'attaccamento. Questa condizione è senza dubbio la più auspicabile, in quanto permette al nostro sistema nervoso di maturare e crescere, attraverso i meccanismi della neuroplasticità cerebrale, oltre a favorire lo sviluppo delle capacità cognitive e il corretto funzionamento del sistema immunitario.

Ma cosa succede quando ci troviamo in una situazione di pericolo di vita? In questo caso, né l'attacco né la fuga sono opzioni praticabili, perché la minaccia è insormontabile. L'unica opzione che abbiamo è quella di facilitare la via dorsale-vagale con le sue strategie di evitamento passivo, come la sottomissione, la dissociazione e la morte apparente. Se il sistema dorsale-vagale è sovrastimolato, rischiamo di entrare in uno stato di ipoarousal, caratterizzato da gravi stati dissociativi, perdita delle sensazioni somatiche e perdita di coscienza.

Per capire meglio cosa succede in queste tre diverse situazioni di attivazione, può essere utile il concetto di "finestra di tolleranza" proposto da Daniel Siegel. Provate a pensare a una finestra, uno spazio immaginario in cui il nostro livello di attivazione neurofisiologica si sposta nel tempo. Quando siamo nei limiti della nostra finestra, il sistema parasimpatico ventrovagale è attivo: ci sentiamo sicuri, possiamo stare tranquilli e socializzare.

Se percepiamo un pericolo, ci spostiamo oltre il davanzale superiore della finestra e il nostro sistema simpatico si attiva: le nostre risorse corporee si spostano per prepararci a risposte di fuga o di attacco. Quando, invece, percepiamo una situazione di pericolo di vita, ci spostiamo oltre il cornicione inferiore della nostra finestra e si attiva il sistema parasimpatico dorso-vagale: il risultato è una sorta di "blackout", come se crollassimo.

Va notato che l'ampiezza della finestra di tolleranza non è uguale per tutti: può infatti variare a seconda dell'età, delle esperienze precedenti, dell'umore, delle condizioni fisiologiche...

Il primo obiettivo della terapia del trauma è insegnare al paziente a rimanere all'interno della finestra di tolleranza, in modo che non si verifichino episodi eccessivi di disregolazione emotiva e si promuova il funzionamento della corteccia prefrontale. Ciò avviene con l'aiuto di tecniche di mindfulness, psicoeducazione e interventi centrati sul corpo.

Una volta acquisite le capacità di stabilizzazione, il paziente può passare alla fase successiva del trattamento: l'elaborazione del trauma. Si tratta di ricordare il trauma stesso in modo intenso, come se lo stessimo rivivendo. Nelle parole di Giovanni Tagliavini: "(...) nel momento in cui il paziente osserva in modo sufficientemente consapevole e attento le sensazioni corporee legate a un ricordo traumatico e raggiunge, senza diventare inconsapevole, uno stato di arousal simile a quello sperimentato in quel momento, si attiva uno specifico pattern di stato psicofisiologico che funge da chiave appropriata per "aprire le porte" della memoria procedurale legata a quel particolare evento traumatico".

Rivivendo il trauma nell'ambito di una buona terapia, il paziente sarà in grado di compiere quelli che Pierre Janet ha definito "atti di trionfo": in parole più semplici, si tratta di liberare, di lasciare che si svolgano, quelle azioni difensive e protettive che, in passato, erano state bloccate dall'evento traumatico. La messa in scena di questi movimenti, come ci insegna la psicoterapia sensomotoria, può avere grandi effetti terapeutici.

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Scritto da

Dott.ssa Viola Adragna

Bibliografia

  • "La teoria polivagale. Fondamenti neurofisiologici delle emozioni, dell'attaccamento, della comunicazione e dell'autoregolazione", S.J.Porges, ed. Giovanni Fioriti, 2014.
  • "Guarire la frammentazione del sè. Come integrare le parti di sè dissociate dal trauma psicologico", J.Fisher, ed. Raffaello Cortina, 2017.
  • "La mente relazionale. Neurobiologia dell'esperienza interpersonale", D.J.Siegel, ed. Raffaello Cortina, 2021.
  • "Modulazione dell'arousal, memoria procedurale ed elaborazione del trauma: il contributo clinico del modello polivagale della psicoterapia sensomotoria", G.Tagliavini, Cognitivismo Clinico (2011) 8,1, 60-72.

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