Autolesionismo di alcune pratiche identitarie e annichilenti: PARTE 4

Quarta e ultima parte del breve saggio sulla sovrapponibilità dei riti identitari.

19 SET 2016 · Tempo di lettura: min.
Autolesionismo di alcune pratiche identitarie e annichilenti: PARTE 4

Ho trattato i tatuaggi data la loro estendibilità a altre pratiche simili. Per i piercing si valuterà il tipo e la zona corporea interessata: ma sicuramente saranno più semplici da indagare analiticamente considerato il più basso grado di investimento emotivo che comportano, anche se si possono fare dei distinguo quando le zone interessate sono sensibilmente erogene, andando a ricordare le motivazioni ancestrali delle prime pratiche di perforazione corporea tese a stimolazioni sessuali o a messaggi erotici.

Per quanto riguarda lo scaring (comprendendo le diverse varianti) penso sia possibile inserirlo in una zona di confine tra gli atti autolesionistici identitari e gli atti autolesionistici annichilenti: possiede tratti esclusivi dell'impatto della loro espressione, sia degli uni che degli altri. È una pratica legata all'ostentazione e alla fissazione dell'emozione come il tatuaggio, con la differenza che, in questo caso, si cerca la distruzione dell'emozione, la sua rimozione. Inoltre è connotata di una violenta auto - aggressività ad altissimo impatto sociale: anche in questo tratto si discosta dalla categoria dei tatuaggi - piercing in quanto più accettati (sono più "visibili": inteso come mentalizzazione).

Tutto ciò farebbe supporre chi è il padrone di casa: il Thanatos. Ma sempre di un continuum stiamo trattando: in questo caso lo traccerei partendo appunto dal Thanatos verso l'Eros, dalle pratiche annichilenti fino a quelle identitarie. Ed è bene tenerlo a mente onde evitare strumentalizzazioni estremiste del concetto che invece va dosato e calibrato caso per caso.

Tossicodipendenze

Le differenze tra le due pratiche, autolesionistiche identitarie e annichilenti, sono evidenti. Ma sospetti sono i legami con i quali queste due condotte si assecondano temporalmente senza diritto di precedenza. Ora verrà da obbiettare che le condotte tossicologiche forse sono tirate un po' per i capelli nelle pratiche autolesionistiche. Mi sento però di poter ribattere facendo notare che nella nostra società come in quelle affini c'è una componente informativa determinante: chi abusa di sostanze psicotrope nella quasi totalità dei casi è a conoscenza della loro pericolosità.

Il Thanatos è presente, la fa da padrone, ed è molto potente non fosse solo per la ricerca della perdita di controllo. Sarebbe quindi possibile definire le tossicodipendenze una manifestazione dell'autolesionismo. Per non parlare dell'eroina che definisco personalmente un suicidio differito. È un problema di grado e non di qualità. Vorrei però aggiungere una riflessione su una qualità dell'uso delle sostanze psicotrope che credo di poter riscontrare anche nelle nevrosi: la loro caratteristica di essere la migliore delle soluzioni possibili, in questo caso lenitiva, creando comunque dei problemi al soggetto, quindi nel male.

Credo di poter terminare così la breve analisi delle condizioni psicosociali scatenanti per potermi soffermare sull'aspetto autolesionistico personale di tali pratiche.

Autolesionismo

Come precedentemente detto il corpo viene vissuto come un fardello, una prigione ma al contempo dispensatore, se esattamente stimolato, di piacere. L'unico dolore dal quale non si riesce a fuggire e che infonde una percezione di penosa ineluttabilità, rimane sicuramente quello psichico. Ma l'attribuzione di responsabilità o comunque l'eziologia presupposta è esogena. Ed il corpo viene percepito come esogeno. Le scissioni interne hanno la loro onda lunga nella scissione corpo – mente. Il corpo viene punito come specchio nel quale questi soggetti si confrontano nella realtà. E tentano di sfuggirne, di differenziarsi. Vedono un persecutore, lo attaccano. Lo specchio li inganna: non è altro da Sé.

La mancata elaborazione del lutto riguardo la perdita di parti infantili, a favore di sovrastrutture imposte, spiana la strada ad attività mortifere. L'equilibrio tra l'istinto di vita e il Thanatos viene meno e si ha uno sbilanciamento verso l'attitudine già strutturalmente avvantaggiata. Definendo il suicidio come un estremo tentativo di richiesta di aiuto basterà anche in questo caso posizionare sullo stesso continuum una data pratica. Quindi non ci dovrà interessare quanto sia pericoloso oggettivamente un comportamento, ma quanto lo sia nella volontà psichica: è chiaro che un piercing è decisamente più innocuo di una tossicodipendenza da eroina. Ma è sempre una profanazione violenta del proprio corpo e come tale va analizzata. Nonché spesso si associa ad una predisposizione alla violenza, allo scontro fisico e in generale a condotte potenzialmente pericolose aprendo le porte a considerazioni sulle strutture sadico - masochistiche interessate.

Come tutte le condotte patologiche, ad esempio la nevrosi è la migliore delle soluzioni possibili; nostro malgrado, come già sottolineato, questi comportamenti hanno una loro qualità vitale. Una precisazione: non è in contraddizione con quanto detto, visto che stiamo parlando di un contesto di equilibrio dinamico. Alterato, ma sempre di un sistema meccanico regolato da leggi fisiche, dove c'è uno zero ed un uno ma solo nella loro tendenza, alle quali non sfuggono le strutture psichiche.

Qual è l'aspetto vitale? Il tentativo di autoindursi piacere. Per alleviare le proprie pene. Non approfondirò il come le sostanze psicotrope possano indurre piacere (è lapalissiano), ma indagherò più approfonditamente altri comportamenti più enigmatici.

Effetti collaterali

Nei comportamenti autolesionistici propriamente detti (tatuarsi, inserire oggetti sotto pelle, bruciarsi) gli effetti collaterali connotati piacevolmente sono ascrivibili a tre ambiti.

  1. Fisiologico.

La produzione di endorfina successiva alla pratica induce nel soggetto una sensazione corporea particolarmente piacevole che lo ricompensa del coraggio investito. Basta considerare che in alcuni casi le zone scelte sono quanto mai particolari. A questo si aggiunge l'oggettiva qualità antidepressiva di tale sostanza endogena.

  1. Sociale.

La possibilità di far parte di un "oggetto contenitore". L'approvazione gruppale proporzionata all'estremismo della scelta. Quindi leadership, accettazione, inclusione. Da non sottovalutare il piacere indotto dalla volontaria, in quanto ostentata, emarginazione sociale data dalle spiccate differenze comunicative estetiche.

  1. Psichico.

È naturalmente la gratificazione più ambita ed è suddivisa su due piani. Il primo interessa il livello di malessere interiore percepito: grazie all'endorfina, dalle note proprietà antidepressive, diminuisce significativamente fino ad arrivare a derive megalomaniche (es.: la famosa frase "mi sento vivo…"), compensatrici di pulsioni di morte. Il secondo è puramente intrapsichico. Si perde nei meandri delle sfaccettature del masochismo. Il comportamento "attuato" è una punizione auto - inflittasi tesa a depotenziare i sensi di colpi dati da pulsioni aggressive. Queste, altrimenti indirizzate verso oggetti non pensabili (e qui ritorna il sadismo), e perdendosi in un limbo tra il conscio e l'inconscio, manifestano tutta la responsabilità percepita della propria inadeguatezza. È un contenuto psichico difficilmente valutabile quello che c'è dietro a tali pratiche: l'unico dato certo senza un'analisi del particolare è il passaggio coatto all'atto, la presenza di un oggetto persecutorio interno che viene fantasmaticamente proiettato fuori su oggetti ad hoc.

Interessanti sono anche le consuetudini sessuali adottate da tali soggetti sicuramente fuori dalla normalità: oltre ad intervenire, in alcuni casi, sui genitali o altre zone erogene, danno un quadro chiaro della confusione identitaria e di conseguenza sessuale, o viceversa (auto – punizione: sento la presenza di Edipo Re, solita aggiungerei). L'altro viene percepito come oggetto disintegrando ogni possibile relazione degna di questo nome dando il via a sperimentazioni perverse: nella sessualità dovrebbe trovare l'acme relazionale ma invero nella realtà l'annientamento.

Si instaura un circolo vizioso: al dolore fisico si ha una gratificazione fisica più una sociale (es.: compensa il coraggio delle parti anatomiche scelte, li fa accettare dal gruppo) più due psichiche: una data dal diminuito senso di colpa percepito (di pratiche masochistiche si stà parlando) e una dalla diminuzione di percezione della depressione di fondo data dalle qualità chimiche della sostanza entrata in circolo massicciamente. E si continua nel dominio della coazione a ripetere, nella permanenza dello stato dell'essere.

Conclusioni riassuntive

Nelle conclusioni inizierei subito con il dire che non sono delle vere e proprie conclusioni. Sono piuttosto un quadro riassuntivo delle caratteristiche più rilevanti che, con ragionevole fiducia, si andranno ad incontrare nel trattamento di soggetti aventi comportamenti autolesionistici identitari ed annichilenti. Le conclusioni penso siano più adeguate ad un caso clinico.

Quindi troveremo probabilmente un soggetto disorientato nel suo equilibrio interno rispetto alla pulsione di morte e di vita: quali le derive eclatanti? Masochismo? Sadismo? Quale il persecutore interno? Quale maschera sostitutiva dell'identità? Frammentazione patologica o di passaggio? Possibilità di accedere ad un contenitore oltre quello analitico? Importantissima la, probabilmente, avviluppante relazione materna, valutare qualitativamente quanto super – egoica è quella paterna. Attenzione alla relazione terapeutica che vista le tendenze seduttive e manipolatorie di questi soggetti (a livello statisticamente significativo personalità orali) può ingannare anche nel controtransfert più controllato. Il narcisismo aleggerà come collante.

Naturalmente facendo questa breve panoramica dei punti chiave non avrò aggiunto niente di nuovo all'idea che vi sarete fatta autonomamente, ma ho corso il rischio di annoiarvi per dare più visibilità agli aspetti clinici magari un pò troppo diluiti nel testo. La finalità era fissare quelli che penso siano gli aspetti focali. Ripeto e mi rendo conto comunque che senza un caso specifico possano suonare un po' sterili. Sperando di essere stato chiaro nel mio intento.

Lo scorpione

Mi piacerebbe in conclusione citare un comportamento che ci viene direttamente dal mondo animale e se volete potete divertivi a posizionarlo sul continuum precedentemente citato: lo scorpione, se minacciato dalle fiamme e valutata l'assenza di via di fuga…si punge mortalmente.

Ti sei perso le parti precedenti? Eccole!

Parte 1: https://www.guidapsicologi.it/articoli/autolesionismo-di-alcune-pratiche-identitarie-parte-1

Parte 2: https://www.guidapsicologi.it/articoli/autolesionismo-di-alcune-pratiche-identitarie-parte-2

Parte 3: https://www.guidapsicologi.it/articoli/autolesionismo-di-alcune-pratiche-identitarie-e-annichilenti-parte-3

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Scritto da

Dott. Simone Nifosi

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