Sentimenti contrastanti e incertezze del mio futuro.

Inviata da clarity9 · 24 mag 2023 Terapia familiare

Buon pomeriggio, sono una giovane donna di 23 anni. I comportamenti di mio padre mi hanno ferita molto, nel passato. A un punto tale da farmi provare una sensazione di morte nel cuore, ogni volta che parlo con lui o anche solo guardarlo negli occhi. A un punto tale che io, durante la giornata, cercassi di incontrarlo il meno possibile, perché puntualmente avverto che, da un momento all'altro, mi faccia domande su come io stia spendendo il mio tempo e trovando scuse di ogni sorta per farmi sentire come se fossi in ritardo con la vita. Ogni giorno che passa, il rischio che io venga giudicata dalla testa ai piedi, soffoca la mia serenità e voglia precaria di proseguire con i miei doveri e piaceri, nonostante lui, recentemente, abbia affermato che non gliene importa nulla di quel che faccio o non faccio. Eppure, anche se il suo sguardo si sta concentrando su altri obiettivi, lo percepisco che lui si stia sforzando a resistere di farmi il terzo grado, come invece è suo solito fare. Non lascia nemmeno il tempo necessario di farmi riflettere che una nuova domanda compare dopo qualche secondo, quasi mi guarda con aria di sfida, come se la sua priorità fosse vedermi sconfitta. Lo percepisco dalle poche volte che mi guarda negli occhi, quando mi sente rivolgere la parola a qualcuno nei nostri dintorni. E in tutto questo, lui non ha davvero ascoltato il mio dolore nel portare avanti una carriera universitaria che non sento mia, piuttosto ha indirettamente infierito su di esso, ricordandomi che non può mantenermi tutta la vita e che ormai non gli restano molti anni da vivere (si sta avvicinando ai suoi 60 anni) e altri pretesti affinché la colpa fosse solo mia. Ho difficoltà a dedicare il mio tempo libero ai lavori part-time, perché sono già occupata con i miei progetti artistici da autodidatta, di cui non ne faccio parola con nessuno dei miei conoscenti perché non voglio incontrare nuove delusioni.

La settimana scorsa avevo superato un esame universitario e non me la sento di condividere questo mio successo con lui, o almeno non di mia spontanea volontà, parlerò solo quando mi chiamerà in causa. Dopo tutti i miei fallimenti del passato in merito al saltare gli appelli quanto al fargli capire che non è esattamente il corso di laurea al quale ho sempre ambito, non provo alcuno stimolo di condividere le mie luci e le mie ombre con lui. Anzi, più il tempo passa, più non vedo l'ora che mio padre non sia più fra noi vivi. Lo stesso pensiero vale anche per mia madre, la quale mi fa impazzire di pari livello, spesso più di quanto immaginassi, al ché ogni giorno mi devo confrontare con l'imbarazzo della scelta su chi dei due mi faccia soffrire di più, tanto è il peso dei rancori dell'infanzia che non ho del tutto superato e mi porto ancora alle spalle. E mi dispiace se questo suonerà poco rispettoso nei confronti di chi i genitori non li ha più. Dopo tutto il male psicologico assorbito nel corso degli anni, capisco di provare un'immensa boccata d'aria fresca, quei rari pomeriggi in cui sono sola a casa o mi allontano presso i luoghi di mia fiducia. Non ricordo nemmeno cosa significhi ricevere un abbraccio, credo di averne ricevuti così pochi che forse non meritano considerazione nel conteggio. A casa e a scuola mi sono sempre percepita come il capro espiatorio, la persona giudicata ed emarginata dalla società, e io nella mia ignoranza non sapevo spiegarmi il perché. I momenti belli non sono mancati, come ogni famiglia che si rispetti. Fanno del loro meglio per rompere il ghiaccio, ma non posso fare a meno di riconoscere che tutto ciò non è abbastanza a cancellare il segno che i loro comportamenti disfunzionali mi hanno lasciato.

Nel mio caso, la famiglia è l'agenzia educativa che davvero mi fa stare male, influisce il mio modo di affrontare le giornate e, più volte, mi ha portata a nutrire pensieri suicidari. Mia madre ha l'ansia depressiva, problemi con la rabbia e tende a controllare la mia vita anche per delle cose di poco conto (alla mia età prendeva addirittura dei psicofarmaci, quindi la sua è una condizione diagnosticata). Mio padre è assente emotivamente, la maggior parte del tempo lo trovo passivo nei miei confronti, si preoccupa solo di mantenere stabile la situazione economica della famiglia e, quando si tratta di prendersi cura delle emozioni, lo fa solo quando meglio conviene a lui. Ognuno, a suo modo, mi fa dubitare di me stessa e delle mie decisioni giornaliere. Lui ha da sempre una disabilità fisica, e questo forse avrebbe contribuito a plasmare il suo modo di fare arrogante; ma io sono del parere che questo incida fino a un certo punto, perché magari molte persone che stanno peggio di lui non riservano arroganza, orgoglio e presunzione verso il prossimo.

Da lui non ho mai ricevuto un incoraggiamento autentico, che io possa definirlo tale. Le sue parole che più mi hanno ferita sono state le seguenti: "invece di cantare nel cuore della notte, perché non prendi un libro e studi?" detto con arroganza e sdegno, quasi come se mi stesse puntando contro i peggiori insulti umilianti con un tono che non ammette le contro-argomentazioni. Un dolore che sovrasta ogni altra mancanza riscontrata nella mia vita, come se ricevere critiche sulla mia arte facesse molto più male che il non ricevere un abbraccio.

Altre volte dal piano di sotto mi ha sentita cantare sugli acuti, al ché un pomeriggio di due anni fa ha aperto la porta di camera mia e con sguardo scioccato/irritato si è limitato a dirmi "ma stai registrando per caso?" io ero terribilmente imbarazzata ma cercavo di nasconderlo, rispondendogli con un "sì" stanco ma convinto. Una sera entrò nuovamente in camera mia per dirmi di smetterla, che gli sembravano solo lamenti e voleva dormire. Magari spesso scelgo orari poco appropriati, ma sono davvero stanca di reprimere una passione che vuole solo emergere, sono stanca di dar retta sempre e solo al tempo degli altri. Non mi ha mai presa da parte per chiedermi "Come stai? Sei davvero felice di questo percorso?" (o, se lo avesse fatto ma io non lo riconosco, è probabilmente perché il suo interesse nei miei confronti l'ho percepito così superficiale da passare inosservato alla scatola dei ricordi), a meno che io non fossi sorpresa ad arrivare emotivamente a toccare il fondo, quando ormai sarebbe troppo tardi, insomma. Lì, allora, partono delle promesse che non mantiene, dichiarando che ci sarebbe sempre per me, di parlargli di qualsiasi cosa mi facesse stare male, che sarebbe anche disposto a dare la vita per me, ecc.

Mesi fa, invece, quando gli dicevo che avrei dato esami ma puntualmente non mi presentavo perché l'ansia invalidante ha avuto la meglio su di me, lui è andato su tutte le furie, affermando di sentirsi preso in giro: piuttosto che incoraggiarmi, mi ha detto che io non debba nemmeno pensare di provare ad andare avanti con il tirocinio e gli esami, con un modo di fare che tanto sapeva di aver a che fare con un disastro irreversibile. E a quel punto, il mondo mi è definitivamente crollato addosso, più di tutte le altre volte in cui ne avevamo già discusso. Mi sono sentita come se fossi io a dover consolare lui e mamma, e non l'operazione inversa.
Io, a fare il genitore dei miei genitori.
Io, quasi obbligata a dare una certezza che non ho, e che per questo ricerco dalla loro esperienza di vita.

La differenza è che, quindi, le mie lacrime sono assenti, ormai c'è solo uno sguardo spento e quanto più neutrale possibile. Ho già dato abbastanza in passato, urlando come non avevo mai urlato prima di allora, in macchina e in camera mia, quando nessuno mi vedeva né sentiva. Un giorno mia madre ha sentito tutto ed è rimasta scioccata, informandomi di averla fatta sentire impotente e che una tale follia non accadesse mai più: questo perché, purtroppo, non ho resistito ad allontanarmi dai paraggi e urlai a pieni polmoni in bagno, dove in quelle urla ho rivisto la me stessa delle scuole elementari, in bilico tra la frustrazione e la ricerca invana di attenzioni, di qualcuno che mi facesse davvero sentire al sicuro, un amore incondizionato che non lascia spazio a giudizi e pregiudizi di ogni sorta nei miei confronti.

È come se tutte quelle promesse di zucchero di tempo fa non fossero mai esistite. Io sono del parere che un vero genitore, se davvero dichiara di amare un figlio più di se stesso, ogni giorno gli starebbe vicino incondizionatamente, non gli riserverebbe affetto "esclusivo", cioè quando gli porta a casa dei successi universitari o quando riesce a soddisfare le mancanze del suo passato più giovane. Ritengo che un figlio non può trovare conforto solo ed esclusivamente quando è sorpreso a piegarsi su se stesso nelle più atroci sofferenze, nei momenti in cui davvero non riesce a vedere la luce. Perché spesso, anticipare un "come stai?" autentico e sentito, può risparmiare nuove lacrime, tuffi al cuore, mal di gola e mal di testa digeribili in un lungo lasso di tempo.

Ma ormai sto constatando che mio padre mi guarda negli occhi solo quando gli conviene, mi vede solo come un'estensione di sé, come l'opportunità di realizzare un sogno al posto suo, di cui non avrebbe avuto modo di provare a cimentarsi alla mia età (voleva fare il maestro, e il mio corso di laurea porterà a svolgere tale mestiere. In realtà, dopo la mia maturità liceale, io mi presi un anno sabbatico, dove capii che avrei voluto fin da subito intraprendere un percorso professionale di canto che mi preparasse a diventare un'artista musicale affermata, ma non avevo il coraggio di superare tutte le insicurezze necessarie, né mi incoraggiavano a fare sul serio. I miei genitori non si sono mai interessati davvero ai miei sogni, non mi hanno mai stimolata seriamente nel riflettere sulle mie potenzialità e i miei eventuali talenti. Mi hanno messo fretta, soprattutto papà. Per loro basta solo che fossi iscritta all'Università, azione che loro non hanno mai potuto fare alla mia età perché il passato familiare dal quale provengono era abbastanza complicato da impedire loro la libertà desiderata (oggi potrebbero farlo tranquillamente, ormai ci si laurea anche in età avanzata, ma non hanno più la salute mentale adatta né sembrano davvero motivati a perseguirlo).

Così, a quel punto ero indecisa tra Scienze della Formazione Primaria e Psicologia, ma il primo mi è sembrato più accessibile e, facendomi influenzare anche da una mia cara amica che era già immatricolata lì, con la quale avevo frequentato insieme il Liceo delle Scienze Umane (che in realtà non avrei voluto davvero fare, con il tempo capii che invece avrei voluto fare il Liceo Musicale, ma era troppo lontano da casa mia e nessuno mi aveva insegnato come non aver paura di viaggiare da sola fuori città), mi lasciai guidare da tale comfort. Ma io non ho mai sentito l'esigenza di fare la maestra, non è la vocazione che mi fa battere il cuore sin dal mattino appena sveglia. E se ne parlavo con gli altri, nel mio profondo capisco che mi stavo forzando a crederci per non soffrire la mancanza di supporto emotivo dei miei genitori. Questo pensiero condiziona anche il non riuscire a stringere amicizie durature tra i banchi universitari, il tutto purtroppo si sta riducendo a rapporti di circostanza. Non mi ci vedo dietro una scrivania a elargire nozioni trite e ritrite a bambini di cui in realtà non m'interessa granché. O meglio, il rapporto che nutro nei loro confronti non è il classico insegnante-allievo, bensì come se fossi la loro zia o sorella maggiore. La mia infanzia è stata una merda e, anche se provassi ad andare oltre, quel vuoto in me non svanirà mai, perché puntualmente torna a bussare quando meno me l'aspetto. Quest'anno non ho avuto la forza di fare il tirocinio perché questa volta non ho retto il confronto con la me stessa da bambina, che ha vissuto il bullismo e la solitudine e si dava da fare per non pensarci, concentrandosi sul piacere procurato dai videogames, film, cartoni animati e musica. Ho pochissimi bei ricordi nelle classi primarie e nella scuola in generale, e affrontarli da dietro una cattedra è un'angoscia che prima riuscivo a reprimere, ma questa volta non ce l'ho fatta.

Nei tirocini scorsi, tuttavia, mi ha davvero fatto piacere essere riuscita ad aiutare alcuni alunni a capire meglio come risolvere le moltiplicazioni e divisioni in colonna. La loro maestra (nonché mia tutor) urlava a ogni minimo errore da loro commesso, io invece sono stata molto paziente e li incoraggiavo sorridente a proseguire nei passaggi, parlando con loro come se fossi la loro sorella maggiore, e quasi sembravano dare più retta a me che alla loro maestra che vedevano tutti i giorni. Un giorno, quando il mio umore era completamente a terra, feci un dettato in classe, dove la maggior parte degli alunni ha percepito la mia ansia da tirocinante e per fortuna una delle bambine mi ha difesa dicendo agli altri compagni di fare silenzio. A fine giornata, quando stavo rincasando, scoppiai a piangere come non mi era mai successo prima d'ora.

Mi sentivo in colpa, mi sentivo un fallimento, forse non ho mai avuto la forza interiore di affrontare la vita. Ormai mio padre mi considera solo quando gli faccio comodo, per lui conta più la prestazione che i sentimenti. Nelle parole, lui e mamma dichiarano che io ormai sia grande e vaccinata per decidere della mia vita (ho quasi 24 anni) ma nei fatti spesso riscontro che mi trattano come una bambina affetta da deficit cognitivo, come se non volessero davvero accettare che io ormai non sia più la figlia di un tempo che non sapeva come difendersi dalle contaminazioni dell'adultità.

Eppure, sono arrivata a un punto in cui non so più come reagire nei loro confronti, perché qualunque cosa io faccia, sembra destinata a ricadere su di me, come se trovassero scuse per fare in modo che la colpa fosse sempre e solo mia, e si lavassero le mani da ogni responsabilità genitoriale e da ogni loro errore nei miei confronti, senza badare a come tutto questo abbia inciso e stia ancora incidendo in malo modo sulla mia salute mentale. Ogni volta, è come se fossi obbligata a fare attenzione a come scegliere le parole e dosarle per interagire dignitosamente con loro. Solo mia madre sembra capirmi e sforzarsi di farmi stare meglio, ma percepisco che non mi è abbastanza di aiuto. Soprattutto se penso che, dalle sue risposte come anche quelle di mio padre, è come se raggirassero il discorso per farmi intendere passivamente che la musica e lo spettacolo in generale non sia un vero lavoro e non darebbe chissà quanti guadagni. Ma, se ci pensiamo bene, le incertezze economiche non guardano in faccia nessuno.

Mio padre pretende solo certezze da parte mia: quando gli dissi che nel tempo libero a disposizione mi sto esercitando su un'app musicale (per non perdere il filo delle mie ispirazioni e delle nozioni teoriche essenziali per ogni musicista), puntualmente mi chiede se sia un'azione benefica a lungo termine. Come se voleva solo sentirsi dire che io mettessi tutto da parte per dedicarmi solo agli esami universitari di un corso che mi sta solo portando via ogni traccia di serenità, mettendo in dubbio anche l'amore autentico che provo nei confronti delle mie passioni. Poi, puntualmente, si ritrovano a pettegolare sulle novità che interessano la mia città, come i provini cinematografici in corso o concerti di vario tipo. E allora, cosa si deve dire delle entrate finanziarie degli artisti affermati? L'erba del vicino è sempre più verde, mi viene da dire! Troppo pessimismo vedo uscire dalle loro bocche. Mi sembra di confrontarmi con mentalità di vecchio stampo, hanno sempre da ridire su tutto, su come gira l'attualità del mondo.

Un ricordo che mi fa stare bene sono i commenti ricevuti da sconosciuti in merito alle mie covers, molti di questi sostengono genuinamente che la mia voce sia meritevole di essere ascoltata in radio e in TV, il che riaccende in me la speranza che, forse, in futuro ci sarebbe un posto per me.

Voglio solo mollare tutto e fare la pazzia di dedicarmi a tempo pieno solo alla musica e alla recitazione, arti che nel tempo sto capendo che rispecchiano davvero la mia volontà e il mio essere. Era una passione latente, soprattutto se penso alla mia infanzia, periodo in cui imitavo le movenze dei miei attori preferiti e le voci dei miei cantanti preferiti. Nel tempo, ho capito che ciò è davvero l'unico ricordo autenticamente felice che conservo della mia infanzia. Perché oltre questi dolci confini, mi sono dovuta scontrare con gli abusi emotivi dei genitori e delle persone relative all'ambiente scolastico. Ho riscontrato poca empatia anche dalle mie maestre e i professori di allora, compresi quelli che apparentemente erano i più gentili. Vorrei giustificarli, ma non ci riesco. Forse ho bisogno di altro tempo per andare oltre tutto questo e perdonarmi definitivamente.

Ma allo stesso tempo, non mi piace lasciare le cose a metà e dunque interrompere gli studi universitari, per quanto una tale decisione drastica mi farebbe inizialmente provare una leggerezza effimera, il piacere di respirare aria fresca dopo un lungo periodo di apnea. Inoltre, è come se buttassi all'aria oltre € 5.000 di tasse pagate in 4 anni, frutto dei sacrifici lavorativi di mio padre. Sono tantissimi soldi, lo riconosco. La paura di andare fuoricorso è dietro l'angolo. Ciò che rallenta il mio recuperare i tantissimi esami arretrati è il temere di non riuscire ad argomentare con un linguaggio sufficientemente aulico, a fare quanti più collegamenti possibili e il mangiarmi le parole. Credo di aver sempre sofferto di ansia sociale, mi trovo realmente a mio agio solo con me stessa, tuttavia ultimamente faccio fatica a ritrovare della serenità anche stando solo in intimità con me stessa. Mi sto rendendo conto di essere stufa di rifugiarmi in camera mia e presentarmi solo quando è ora di pranzo, merenda e cena. Non posso e non intendo continuare così, sento che qualcosa dentro di me si sta muovendo. Che la mia forza interiore si stia risvegliando, credendola perduta per sempre? Se lasciassi gli studi attuali, quindi, la mia autostima ne sarebbe gravemente compromessa e forse irreversibile, perché non sopporterei il peso aggiuntivo della forte delusione che darei alla mia famiglia, specialmente dopo che mio fratello maggiore è riuscito a laurearsi dopo tanti anni di fuoricorso per problemi suoi personali. Sono intrappolata in un vortice senza fine. Sto anche ingrassando per colpa loro...avevo fatto un bel percorso di dimagrimento (perdendo più di 20 kg in 3 anni) e ora nemmeno ho più piacere di seguire il piano alimentare di una volta e mangio ormai quel che cazzo mi pare e nelle quantità che reputo adeguate per sentirmi subito meglio. Ho cercato di stringere i denti il più possibile, ma ormai ho fallito anche sul mantenere la mia forma fisica. Sono un disastro in tutti i contesti della mia vita. Se non mi fossi mai immatricolata e avessi avuto il coraggio di iniziare direttamente il percorso musicale in qualche scuola apposita, tutto questo non sarebbe mai successo né mi ritroverei qui a chiedere consulto, o almeno così credo. Cosa posso fare per uscirne fuori? Ho tantissimi esami arretrati da recuperare, di cui in realtà non me ne importa un fico secco e non riesco ad apprezzarli sul serio, ma l'unico modo per andare davvero avanti è sbloccarmi almeno in qualche esame. Son ben pochi gli esami che sto apprezzando del mio corso, ovvero quelli connessi all'inglese, allo sport, all'arte e alla musica, ma tutto il resto (che purtroppo è la maggior parte delle materie del mio piano di studi) sono una palla al piede che devo farmi piacere per forza. Non sono mai stata così sola in tutta la mia vita. Non ho mai fatto un percorso di psicoterapia cognitivo-comportamentale o altre tipologie di cure mentali, la mia unica risorsa è YouTube, il web e i libri.

Parlarne ancora con i miei genitori è inutile, perché non mi ascoltano davvero, e l'unica soluzione per non soffrire ulteriormente alla loro presenza è allontanarmi quando posso, che sia rifugiarmi in camera mia o nei luoghi naturali di mia fiducia offerti dalla città in cui vivo da sempre. Mio fratello maggiore non mi supporta nemmeno sul serio, anzi la maggior parte delle volte sono stata io a consolare lui dalle intemperie dei nostri genitori che scaricano su di noi. Mio padre secondo me ha qualche disturbo mentale, perché spesso fa silenzio quando gli facciamo domande importanti oppure fissa il vuoto o la TV con un'espressione vitrea, spenta. È presuntuoso e arrogante, guai a contraddirlo anche solo per sbaglio, con la tecnologia è un tuttologo e il suo sguardo neutrale già dice molto di lui. Il fatto che io ogni volta debba dosare le parole con lui mi fa rabbia, perché una figlia, nel bene e nel male, dovrebbe essere se stessa al cospetto dei genitori.

Ma quando ho a che fare con i miei genitori, io non mi riconosco più. Mi fanno sentire profondamente smarrita e annebbiata. Negli ultimi anni ho avuto anche pensieri suicidari e l'anno scorso ho urlato, pianto e tirato più volte a pugni contro il muro e i cuscini, fregandomene di eventuali giudizi del vicinato. Mi sono anche lasciata andare all'autoerotismo compulsivo, dove più volte ho dubitato del mio orientamento sessuale. Ma su questo punto, per fortuna, ho risolto, perché nella vita reale io mi ci vedo accanto solo con gli uomini. Volevo farla finita, ma non ne avevo il coraggio. Ultimamente faccio fatica a guardare negli occhi la gente e me stessa a lo specchio, mi sto trascurando molto nel fisico, nel cuore e nella mente. Ho quasi 24 anni e non sono per niente realizzata nel mondo della musica. Mi sento terribilmente in ritardo, se penso a chi è molto più giovane di me e ha già tante esperienze e riconoscimenti ufficiali alle spalle. Le mie uniche performance sono state virtuali, e fisicamente non si allontanavano da camera mia e dalla scuola di canto che per un periodo ho avuto il coraggio di frequentare e mi ha dato le basi per mantenermi in esercizio anche da autodidatta. Gli eventi non li ho vissuti con il massimo della serenità, non ho avuto modo di approfondire in compagnia e la mia stessa insegnante di canto non si è mai accorta della mia insicurezza emotiva e ansia sociale in quei 3-4 mesi condivisi con lei, quindi questo mi rassicura sul mio saper ritrovare la forza di affrontare la vita. Però mi sento come se avessi ancora bisogno di un coach che mi supportasse, ora come ora ho mollato quella scuola perché è impossibile conciliare il tempo di essa con quello universitario, né avevo la tranquillità necessaria per riflettere meglio su come trovare il mio repertorio. E in quel periodo, a casa non ho mai ricevuto entusiasmo né auguri autentici per il mio percorso, incontrando solo sguardi delusi e superficiali, magari perché tutti erano anche presi da un'incidente che, all'epoca, ebbe mia madre. Ma io sono del parere che, se davvero ci tengono a me, il tempo lo inventerebbero per starmi vicina. Forse da un lato è positivo che io mi sia allontanata, perché avrei approfondito le mie conoscenze con più calma per conto mio, dal comfort di camera mia. In effetti, oggi mi sento più consapevole delle mie scelte artistiche.

Sono davvero angosciata e arrabbiata, voglio spaccare tutto, anche il violino e la pianola con i quali cerco di mantenere vivo il ricordo della memoria muscolare e dei ricordi delle nozioni teoriche musicali. Ma in realtà sono 2 anni che non tocco quegli strumenti, la mia complessa situazione personale mi ha portato a perdere piacere anche in ciò che amo davvero fare e verso cui nutro aspettative professionali autentiche. Voglio andarmene di casa e trovare una migliore sistemazione alla mia strumentazione musicale ma capisco di non essere pronta, perché non so ancora trovare le informazioni necessarie sul come emanciparmi e agire con indipendenza. La mia famiglia mi sta distruggendo. Mi ascolta e mi sostiene solo quando conviene a lei, tra mille parole di zucchero ostentate solo per farmi il contentino nel breve termine, poi si comporta come se nulla fosse. Superficialità è la parola chiave che regna a casa mia. È colpa sua se mi sono ridotta così. Pensano solo ad esternare indirettamente la loro delusione nei miei confronti, in tutte quelle volte in cui ho confessato di arrendermi e rinunciare agli studi, se la prendono sul personale ma loro non possono capirmi, non hanno mai vissuto in prima persona un banco universitario, non conoscono lo stress e il panico dietro a tutto ciò.

Solo il songwriting, l'allenamento vocale, lo sport e il confronto con le mie celebrità preferite e da cui traggo ispirazione artistica e personale mi fanno sentire viva e mi rendono consapevole della mia identità artistica. Una di queste celebrità di cui parlo è una crush d'infanzia, che ho riscoperto di recente dopo tanti anni che non ho più sentito parlare di lui. Adesso, mi sto rendendo conto di come solo lui e la sua arte mi stiano dando buone vibrazioni, compatibili con la mia identità artistica, il suo sorriso e la sua voce mi fanno sentire come se fossi al sicuro, in una casa più amorevole, lo penso quasi ogni giorno al punto da pensare di dedicare la mia tesi di laurea più a lui che a tutti i miei conoscenti e familiari, come a brindare ai pochi ma bei ricordi d'infanzia che mi ha lasciato e che, tutt'ora, hanno riportato un po' di luce dove non c'è. Non voglio metterlo in un piedistallo, ma non posso fare a meno di riconoscere che lui sia una delle poche persone che mi ha regalato e mi sta regalando sorrisi autentici, in un mondo dove la passione prevalente è quella di riservare comportamenti falsi e accomodanti per stare al gioco della società. Non posso permettermi di mollare l'università, nonostante fosse il mio desiderio più grande ma che mi porterebbe solo benefici a breve termine. La mia autostima ne risentirebbe non poco, il mio obiettivo più grande adesso è avere quante più energie mentali possibili per recuperare gli esami arretrati e attuali, scrivere la tesi finale e infine laurearmi. Una volta fatto ciò, ho altri progetti per il futuro, ovvero muovermi seriamente alla ricerca di una community artistica e musicale in cui poter contare per iniziare ad emergere come artista musicale affermata e, al tempo stesso, non mi dispiacerebbe fare esperienze cinematografiche, quindi essere anche attrice. Ogni giorno sto vivamente cercando di fare un passo avanti per accettare il mio passato, non viverlo più come una condanna e infine mettermi in testa, una volta per tutte, che l'università devo ormai concluderla per dare un senso al mio tempo. Mi sembra anche di star ritrovando le forze mentali a leggere tutti quei romanzi di cui, più volte, ho rimandato l'impegno, e questo sembra aiutarmi alla concentrazione sui libri di testo universitari. Che ne pensate? Faccio bene, secondo voi?

Ormai credo di conoscermi: se adesso cercassi di contattare nuovamente la mia insegnante di canto o conoscere personalmente nuovi artisti coach, io dedicherei totalmente le mie giornate a loro, finendo col dimenticarmi di avere delle responsabilità universitarie a cui sottostare, come se tutte le mie energie mentali si focalizzassero solo su quanto nuovi confronti possano offrirmi. Tendo molto alla procrastinazione e al perfezionismo, purtroppo o per fortuna.

Di recente, mi sono iscritta in una palestra, dove alcuni membri importanti sembrano condividere le mie stesse passioni, ma non so se sia una buona idea parlarne con loro, prima che io mi laureassi. Cosa mi consigliate di fare, anche in merito a questo punto?

Devo sentirmi in colpa se, una volta laureata in scienze della formazione primaria, io poi decida di darmi da fare per cercare di dedicarmi finalmente a entrare nel mondo della musica e dello spettacolo? Nel frattempo mi cercherei un lavoro part-time per mantenermi da sola, che non sia lavorare tra i banchi scolastici, mi basta che sia qualcosa nelle mie corde, che mi permettesse di avere il tempo libero sufficiente per dedicarmi a scrivere canzoni e fare provini per entrare in un qualche talent show o qualcosa che mi aiutasse a costruire il mio networking di colleghi artisti a cui potermi affidare per avviare nel miglior modo possibile la mia carriera di cantautrice e musicista. La sola cosa di cui in questo momento sono particolarmente grata è l'aver riscoperto quell'attore che ha un po' illuminato la mia infanzia. Le sue vibrazioni asciugano le mie lacrime. Devo sentirmi in colpa se, ultimamente, non faccio altro che pensarlo e fantasticare su come sarebbe la mia vita, se lui conoscesse la mia faccia e la mia esistenza? Ora come ora sarebbe impossibile parlare faccia a faccia con lui, perché l'universo non mi ha ancora riservato un'opportunità a me accessibile.

Non voglio vivere la mia laurea come se fosse la condanna di fare solo la maestra fino alla fine dei miei giorni, nonostante il pensiero di ciò fosse talmente forte e indottrinato, specialmente se penso che si tratta di un lavoro fisso, statale. Ci vuole coraggio a lasciarsi tutto alle spalle. La vita che sto facendo oggi non mi appartiene, ma il fatto che io abbia cercato di mettere nero su bianco tutte le mie sensazioni represse che mi trascino da tanti anni, forse, mi aiuterà ad andare oltre tutto questo e apprezzare di più il mio attuale percorso in tutte le sue sfumature.


Grazie a chiunque abbia dedicato parte del suo tempo a leggere il mio sfogo fino a qui e vorrà prendersi ancora qualche momento per aiutarmi a fare delucidazione sulla mia situazione. Ho davvero molta confusione in testa, i sentimenti contrastanti sono il mio pane quotidiano, voglio solo cercare di ricostruirmi in qualche modo per vivere meglio la mia gioventù. Accetterò qualunque punto di vista.

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Miglior risposta 25 MAG 2023

Buon pomeriggio, capisco che stai affrontando delle difficoltà emotive a causa dei comportamenti dei tuoi genitori. Sembra che i loro atteggiamenti ti abbiano ferita profondamente nel corso degli anni. Mi dispiace che tu abbia vissuto queste esperienze negative e che ti senta così insoddisfatta e delusa dalle tue relazioni familiari. È importante sottolineare che non sei sola in questa situazione. Molti individui affrontano sfide nel rapporto con i propri genitori o familiari, e ciò può influenzare il loro benessere emotivo. Comprendo che tu stia cercando di trovare una via d'uscita da questa situazione e che senta il bisogno di allontanarti quando possibile per cercare momenti di serenità e respiro. La terapia individuale potrebbe essere un prezioso strumento per te. Uno psicologo può aiutarti ad esplorare le tue emozioni, le difficoltà familiari e i conflitti interni che stai vivendo. La terapia può fornirti uno spazio sicuro in cui esprimere i tuoi pensieri, elaborare i tuoi vissuti e acquisire una maggiore consapevolezza di te stessa. Potrebbe essere utile per affrontare l'ansia sociale, l'autostima, la gestione delle emozioni e lo sviluppo di strategie per affrontare meglio le dinamiche familiari. Ricorda che tu sei l'autrice della tua vita e hai il diritto di perseguire i tuoi sogni e i tuoi interessi personali. Capisco che tu abbia delle passioni artistiche e che desideri dedicarti a esse a tempo pieno. È importante esplorare le tue opzioni e valutare cosa ti rende davvero felice. La tua autostima potrebbe beneficiare dal perseguire ciò che ami e dal trovare un equilibrio tra gli studi universitari e le tue passioni. Inoltre, cerca di costruire una rete di supporto al di fuori della tua famiglia. Trovare persone con interessi simili ai tuoi o frequentare gruppi o associazioni legate all'arte e alla musica potrebbe offrirti un ambiente in cui sentirsi accolta e compresa. Infine, prenditi cura di te stessa sia fisicamente che mentalmente. Trova modi per ridurre lo stress e per favorire il tuo benessere, come l'esercizio fisico regolare, la pratica di tecniche di rilassamento o la partecipazione ad attività che ti appassionano. Ricorda che sei importante e che meriti di essere sostenuta e amata. Sebbene la tua situazione familiare sia difficile, ci sono risorse e opzioni disponibili per aiutarti a superare queste sfide. Non esitare a cercare supporto professionale e ad affidarti a persone fidate nella tua vita.
Se hai bisogno di ulteriori informazioni o se desideri discutere ulteriormente di ciò che hai condiviso, non esitare a chiedere.

Dott.ssa Nicoleta Senni Pop-Span Psicologo a Asti

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25 MAG 2023

Buongiorno , e grazie
per quello che ha scritto qui.
Da quello che porta qui, si sente un carico pesante sulle sue spalle, si può sentire la sua sofferenza che arriva attraverso le sue parole.
Qui si possono leggere e vedere molte parti diverse che giocano dentro di lei , e le parti vitali si sentono soffocate.
La sua vera voce non è stata ascoltata , e anzi viene giudicata e condannata in molti momenti ,e può bastare uno sguardo dei nostri genitori per farci sentire delle nullità .
Se vorrà usare la sua voce e le sue parole per iniziare un percorso psicologico utile, sono a disposizione .
Può chiedere qui per poter fissare un colloquio , anche on line.
Cordialmente.

Dott. Aldo Tandurella Psicologo a Torino

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25 MAG 2023

Gentile Clarity,
La sensazione di essere giudicata mi sembra molto la parola chiave del suo messaggio.
Inoltre, come ha detto anche lei, sono evidenti i suoi sentimenti contrastanti, che, lottando dentro di lei, non le garantiscono quella tranquillità di cui ha bisogno.
Ha ragione quando dice di avere la necessità di ricostruirsi e di permettersi di stare bene con se stessa e con gli altri, per questo il mio suggerimento è quello di rivolgersi ad un professionista, con il quale, attraverso un percorso psicologico, potrà liberarsi di ciò che la fa stare male, sia nel passato che nel presente, e potrà trovare delle strategie utili da applicare nella sua quotidianità per raggiungere uno stato di maggiore serenità.
Spero di esserle stata utile e resto a sua completa disposizione per un'eventuale consulenza psicologica, anche online.
Un saluto.
Dott.ssa Deborah De Luca

Dott.ssa Deborah De Luca Psicologo a Monterotondo

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