Ma voi terapeuti potete?
Salve , è la primo volta che vi scrivo. Volevo sapere se voi terapeuti potete rispondere alle domande personali che i pazienti vi fanno o se per deontologia non dovreste lasciarli invadere la vostra sfera privata ...
Salve , è la primo volta che vi scrivo. Volevo sapere se voi terapeuti potete rispondere alle domande personali che i pazienti vi fanno o se per deontologia non dovreste lasciarli invadere la vostra sfera privata ...
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Freud parlava della necessità che nel setting analitico si vivesse una esperienza astinenza. Chiaramente non si riferiva solo a quella sessuale che era ed è scontata, ma anche alla possibilità di far vivere al paziente alcuna soddisfazione all'interno del setting. Dalla conseguente frustrazione ed elaborazione di questa frustrazione, il paziente poteva conoscere i suoi bisogni, viverne il lutto in seduta e poi cercare nella realtà la possibilità di realizzare fuori i suoi bisogni. Jung per primo aveva ribaltato questo concetto parlando di coinfezione del terapeuta. Fu solo dopo Donald Winnicott e Bion che si inizio a parlare di setting interno del terapeuta. E' il terapeuta, secondo la sua sensibilità e formazione che decide e condivide col paziente il setting. E' evidente che a questo punto si apre una grossa tematica che già Jung aveva evidenziato: la formazione del terapeuta. Non è un caso che gli psicoanalisti facciano due lunghe analisi personali con due diversi terapeuti prima di accostare un paziente.
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Gentile Giacomino
chiaramente non siamo più ai tempi della classica psicoanalisi dove pure (a parte le procedure standard del metodo) c'era anche una forte distanza tra paziente e psicoterapeuta, distanza di classe sociale e di studio. Tuttavia possiamo anche dire che molte pazienti allora protagoniste del nuovo metodo di cura erano donne istruite ed erudite.
Certo cambiando i tempi, ed essendo ora nel 2015 il rapporto tra paziente e terapeuta è molto cambiato culturalmente e questo ha un riscontro nel setting terapeutico.
Quindi credo che sia possibile rispondere a qualche domanda del paziente in modo semplice e stringato, ovviemente non portando via troppo spazio all'incontro che deve essere incentrato sul paziente-cliente.
Nel '900 il riserbo "assoluto" del terapeuta era anche una modalità difensiva rispetto al mantenimento del suo prestigio personale e non solo a beneficio del paziente.
Oggi è forse più difficile perché il prestigio e il rispetto devono essere guadagnati anche fuori da queste regole (se il cliente sente che non vali ti manda a quel paese e non viene più).
Spero non essere andata fuori tema e di essermi spiegata!
Cordiali saluti
Dott.ssa Silvana Ceccucci Psicoterapeuta
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Buon Giorno Giacomino,
la terapia è "un incontro tra due persone"; ovviamente il terapeuta è il responsabile del sistema (setting) ma tale sistema è cocostruito con l'altra persona.
Come diversi miei colleghi hanno già detto, la formazione del terapeuta prevede l'una e l'altra possibilità. A prescindere da ogni formazione dobbiamo ricordarci che l'incontro è tra due persone che inevitabilmente sono fatte dai propri vissuti, esperienze e variabili.
Ogni persona in un modo o nell'altro porterà nella terapia una parte di se, in alcuni casi può essere utile esplicitarla, in altri può essere lasciata si sottofondo.
Un Saluto.
Dott. Fabio Glielmi
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Gentile Giacomino,
credo ci siano differenti tipi di domande e differenti tipi di risposte che si possono dare ad una domanda, nella mia esperienza è bene capire l'utilità che quella domanda o risposta può avere ai fini terapeutici. Il codice deontologico indica di valutare ed evitare commistioni tra ruolo professionale e vita privata quando possono sopraggiungere eventuali interferenze con l'attività terapeutica.
Spero di averle in parte risposto
Cordialmente
dott.ssa Cristina Paoloni
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Caro Giacomino, è a discrezione del terapeuta scegliere se e quando condividere aspetti di sè personali con il paziente. Se quest'ultimo ci fa delle domande su di noi, è bene indagare con lui il perchè della sua richiesta e lavorarci sopra. Sta poi a noi decidere se è il caso di rispondere al paziente perchè potrebbe essergli utile dal punto di vista terapeutico la nostra risposta oppure no.
Cordiali saluti, Dott.ssa Cinzia Marzero
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Caro Giacomino,
agli utenti è assolutamente concesso di esprimersi nel modo più libero possibile in quanto, nel nostro ruolo siamo tenuti ad accogliere il loro desiderio, dietro al quale si trova il vero bisogno che li ha spinti a cercare aiuto. Ti chiedo se puoi spiegarmi in modo più esplicito da dove parte la tua curiosità. Se vuoi ulteriori chiarimenti, sono a disposizione. Non aggiungo altro, visto che il collega che mi ha preceduta ti ha dato esaurienti spiegazioni. Per quanto mi riguarda, sono incuriosita dalla tua preoccupazione. Ciao
Dottssa Carla Panno
psicologa-psicoterapeuta
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Salve Giacomino,
non è una questione deontologica, ma teorica. Da Freud in poi si è dato molto peso al fatto che il paziente/cliente potesse proiettare sul terapeuta il proprio mondo interno, per farlo il terapeuta doveva essere come una tela bianca. Per questo motivo meno il paziente sapeva del proprio terapeuta e più era possibile interpretare ciò che succedeva in terapia. Questo tipo di impostazione teorica è stata poi messa in parte in dubbio quando il concetto di autenticità si è rivelato importante per alcune forme di terapia.
Detto questo, posso chiederle il motivo della sua domanda?
Cordiali saluti
Dott. Monno
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