Gestire l'interruzione terapia da parte del terapeuta

Inviata da Fede 2021 · 29 dic 2021 Psicoterapia

Buongiorno vi contatto perché mi sento molto disorientata. Ho 49 anni e sono un avvocato. Circa due mesi fa sono finalmente riuscita dopo 49 anni a compiere il passo di iniziare una psicoterapia per sciogliere dei nodi importanti della mia vita. Mi sono rivolta ad una psicologa con cui si è creato da subito un ottimo rapporto. In due mesi sono riuscita a dire tanto, a raccontare tanti di me e della mia vita. Ho fatto una grande fatica, e sono in un momento molto delicato. Ieri la terapeuta mi ha contattata per dirmi che dobbiamo discutere del fatto che lei inizierà a brevissimo un nuovo lavoro all’interno di un servizio pubblico che tratta dei traumi da abuso e maltrattamento e che le è stata, peraltro, chiesta L’esclusività ragione per la quale dovrà oltretutto chiudere la partita Iva. Si tratta, peraltro, di un servizio che entra spesso in contatto con il mio lavoro( io sono un penalista e mi occupo di abuso e maltrattamento e sono il legale di un centro Antiviolenza). Io sono molto contenta per lei, è davvero una bellissima occasione e dunque adesso dobbiamo capire cosa fare. Io le ho da subito manifestato la mia felicità per il suo nuovo incarico ma allo stesso tempo le ho manifestato la mia difficoltà. La terapeuta si è da subito mostrata comprensiva, lei è brava e umana e capisce la grande fatica che ho fatto e la delicatezza della mia situazione. Il solo pensiero di iniziare tutto daccapo mi fa stare malissimo, è stato complicato e doloroso, la mia è stata una vita complicata con relazioni familiari complicate anche solo da ricostruire. Ho subito chiesto alla terapeuta se fosse possibile trovare una soluzione e lei dolce e garbata come sempre mi ha detto che ne parleremo di presenza nei prossimi giorni. Nell’immediatezza della sua comunicazione ho provato una sensazione ulteriore di strappo, di lacerazione, nuovamente una figura importante che pur non volendo mi ferisce …. È dura da gestire per me. È chiaro che ciò che vorrei è potete continuare. Mi chiedo però se sia giusto, qualora la terapeuta acconsentisse, forzarla in una relazione in cui lei non starebbe più del tutto comoda. Vi chiedo innanzitutto come si gestiscono queste eventualità, se c’è la possibilità per il terapeuta di potere continuare a lavorare con il privato senza la partita iva. Vorrei un vostro parere su tutta questa situazione che mi ha gettata nello sconforto. Vi ringrazio anticipatamente per le risposte

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Miglior risposta 24 GEN 2022

Buongiorno. Da psicoanalista "classico" (cfr. il sito spiweb.it), l'interruzione della terapia da parte del terapeuta è un evento rarissimo e non giustificabile alla luce dei fatti che lei riporta. Si comprende quindi benissimo la sua angoscia ed il suo senso di abbandono. Più che forzare la sua terapeuta a continuare la terapia, al suo posto mi rivolgerei ad un nuovo e diverso terapeuta. Qui però entriamo nel grosso capitolo della scelta dell'orientamento psicoterapeutico a cui rivolgersi. Se lei ponesse la questione qui, in questo sito internet, sarebbe come chiedere ad una platea di 10 osti quale fosse il vino migliore: ciascuno risponderebbe che il vino migliore è il proprio (ed io non faccio certo eccezione). Da psicoanalista “freudiano”, ovviamente ritengo che il vino migliore sia quello psicoanalitico ed ora, se avrà la pazienza di leggere fino in fondo, vorrei spiegarle perché lo penso.
Spesso i pazienti partono dal presupposto che, come in medicina, a sintomi diversi corrispondano specialisti diversi. In effetti in medicina (intendo nella medicina “ufficiale”, quella validata dalla comunità scientifica internazionale) c’è un modello condiviso del funzionamento del corpo umano, quindi è naturale che a sintomi diversi (mal di ginocchio, mal di denti, ecc.) corrispondano specialisti diversi (ortopedico, dentista, ecc.). Il problema è che la scientificità della psicoterapia non è paragonabile a quella della medicina e quindi questa aspettativa sulle “specializzazioni” è destinata ad andare delusa. In psicoterapia infatti, non esiste una teoria del funzionamento della mente umana che sia unica, validata e condivisa dalla stragrande maggioranza della comunità degli psicoterapeuti. Al contrario, i principali orientamenti psicoterapeutici partono da presupposti anche molto diversi fra loro, ed arrivano quindi a proporre, PER LO STESSO SINTOMO, modalità di trattamento molto diverse. L’esempio più classico è quello che confronta il modello psicoanalitico col modello cognitivo-comportamentale. Gli psicoanalisti teorizzano l’esistenza di una mente inconscia accanto a quella cosciente, quindi, se ad es. io ho paura dei cani, per superare davvero e profondamente questa paura dovrei, attraverso l’analisi, arrivare a comprendere i collegamenti e le causalità inconsce che stanno all’origine della paura stessa. Per l’approccio comportamentistico, invece, la questione della mente e dell’inconscio è paragonabile ad una sorta di “scatola nera” che non si può aprire e non si può conoscere in alcun modo. Molto più utile, dicono loro, studiare e lavorare sulla correlazione tra stimoli che la persona riceve dall’esterno e risposte osservabili che la persona dà a quegli stimoli. Non è necessario tirare in ballo, come fanno gli psicoanalisti, la mamma, il papà, l’infanzia, i sogni… Semplificando, se il paziente di cui sopra ha paura dei cani, io terapeuta comportamentista, attraverso un percorso graduale, comincerò a parlargli dei cani, a farglieli conoscere meglio cognitivamente, poi passerò a mostrargli fotografie e filmati di cani, più avanti magari porterò un cane in seduta e piano piano, attraverso la mia mediazione terapeutica, farò avvicinare il mio paziente al cane, arrivando a farglielo toccare ed accarezzare, a farlo giocare con il cane insieme a me terapeuta, ecc. Alla fine del processo il mio paziente sentirà di aver superato la paura dei cani.
Quindi, a parità di dignità teorico-clinica (ad oggi non esiste un orientamento più “vincente” di un altro), la scelta di un terapeuta piuttosto che l’altro può essere “obiettiva”? Secondo me no, è un fatto soggettivo. In un certo senso è una questione di gusti, anche se di solito il paziente medio non sa nulla di queste diversità di metodo psicoterapeutico e, giustamente, si rivolge a caso a chi gli capita, vuoi perché raccomandato da un conoscente, vuoi perché (o tempora…) il terapeuta è più visibile sui social media. Di solito sulla scelta influiscono pesantemente fattori contingenti ed esterni che dovrebbero essere secondari ma che sono sempre più decisivi: durata prevista della terapia, costo in denaro, frequenza delle sedute settimanali.
Se però un paziente si ponesse la questione della scelta dell’approccio psicoterapeutico, io gli suggerirei un criterio a mio parere fondamentale. Anche qui c’è un preambolo. Gli psico- (psicologi, psichiatri, psicoterapeuti, psicoanalisti, ecc.), e più in generale chi faccia delle professioni “di aiuto” (medico, infermiere, OSS, educatore professionale, assistente sociale, ecc.) sono da considerare personalità complesse e problematiche. Psicoanaliticamente parlando, scegliere di “aiutare gli altri” deriva da una necessità (a volte inconscia, altre volte cosciente al soggetto stesso) di aiutare se stessi, di curare e riparare la propria storia di vita e le proprie sofferenze individuali. Non a caso si parla di “professioni riparative” (ma lo stesso discorso potrebbe essere fatto anche per una non-professione come il volontariato). Da ciò, sempre in un’ottica psicoanalitica, deriva la necessita che il terapeuta, prima di essere terapeuta, sia stato paziente, abbia fatto una psicoterapia o una psicoanalisi personale che lo abbia reso una persona in qualche modo “risolta” e “riparata”. Come potrei occuparmi dei problemi degli altri se fossi ancora immerso nei miei problemi personali? Inoltre, fare esperienza, come paziente, del processo di cambiamento interiore, conferisce al futuro terapeuta una marcia in più rispetto a chi non ha mai sofferto: attraversando il fiume della mia sofferenza e arrivando sull’altra riva ho appreso (non tanto cognitivamente quanto affettivamente) come funziona il processo della “guarigione” In questo modo, diceva Freud, si trasformano le difficoltà originarie dello psicoanalista in vantaggi nella comprensione dei futuri pazienti. Un’ultima considerazione a sostegno della tesi della necessità di psicoterapia per i futuri psicoterapeuti, risiede nel fatto che lo strumento di lavoro dello psicoanalista sia la propria mente (ed il proprio inconscio), quindi, se non la “tarassimo” per bene rischieremmo di attribuire al nostro paziente questioni ed emozioni che magari sono nostre, facendo una gran confusione e non essendo d’aiuto alla persona che abbiamo davanti. Il chirurgo ortopedico che opera il menisco non è necessario che abbia prima avuto un intervento al proprio menisco. Per lo psicoterapeuta non è così.
In conclusione, la invito a sondare direttamente con il suo eventuale futuro terapeuta (e magari anche quella attuale), non solo il tipo di metodo che egli utilizzerà, ma soprattutto se nel suo percorso formativo ci sia stata una psicoanalisi o una psicoterapia personale, di che tipo sia stata, quanto sia durata e che frequenza settimanale abbiano avuto le sedute. Più a lungo e più intensamente un terapeuta è stato analizzato, con più fiducia un paziente può mettersi nelle sue mani.

Dott. Massimiliano Castelvedere Psicologo a Brescia

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30 DIC 2021

Cara Fede,
capisco e comprendo il suo sconforto.
La sua terapeuta ha costruito una buona alleanza terapeutica ed è riuscita a far elaborare in lei molto del suo vissuto.
Ci vorrà del tempo per elaborare la sua perdita, tuttavia, si potrà affidare ad altri professionisti.
Ha iniziato questo percorso, lo continui e vedrà che porterà i suoi frutti.
Resto disponibile.
Cordiali saluti.

Dott.ssa Margherita Romeo

Dott.ssa Margherita Romeo Psicologo a Roma

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30 DIC 2021

Buongiorno Fede,
capisco il suo sconforto, purtroppo accade. Di recente a me è accaduto di subentrare nella gestione di un gruppo il cui conduttore ha vinto un concorso pubblico e in breve è stato costretto a chiudere partita iva e ha passato a me le consegne. E' stata dura, i partecipanti hanno dovuto elaborare l'abbandono, i loro vissuti ambivalenti, tra rabbia e felicità per la buona notizia...
Lavorare in privato senza partita iva non è possibile e lei lo sa bene. Quello che lei ha fatto con la sua terapeuta però non va perduto, è stata un'esperienza utilissima che le consentirà di rivolgersi ad un'altra persona che saprà accoglierla e aiutarla.
Di sicuro non sarà facile, perchè, come lei dice, questo strappo riattiva ferite passate, ma non è impossibile e sono sicura che la sua attuale terapeuta saprà accompagnarla. Non si scoraggi e pensi che se è stato possibile una volta costruire una buona relazione di fiducia, in cui lei si è sentita libera di esprimersi, questo potrà accadere ancora.
Le auguro giorni più sereni e resto a sua disposizione, se lo vorrà, anche online.
Dott.ssa Franca Vocaturi

Franca Vocaturi Psicologo a Torino

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30 DIC 2021

Buongiorno, credo che grazie alla relazione terapeutica instaurata sarà possibile per lei portare queste emozioni e il suo sconforto. La sua terapeuta saprà accoglierla. Sarà uno spazio importante per trovare insieme alternative e strade percorribili.
Coraggio!

Dott.ssa De Vincentiis Raffaella Psicologo a Torino

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