E se il senso di colpa non se ne va?
Carissimi, a quattro anni di distanza da un divorzio travagliato sento il bisogno di chiedere un consiglio. So che è un po' lungo, ma se vorrete arrivare fino in fondo e se vorrete dedicarmi qualche paroa ve ne sarò davvero grata.
Il ragazzo che ho sposato era il compagno di sempre: il ragazzo conosciuto alle superiori, l'unico fidanzato sperimentato nella mia vita. Da una parte dolce, solido e affidabile, dall'altra tradizionalista, poco indipendente e terrorizzato dall'evoluzione e dall'imprevisto. Ero molto giovane quando una malattia difficile ha condizionato pesantemente la mia vita, rendendomi più fragile e portandomi ad attaccarmi in maniera forse morbosa al mio ragazzo, che percepivo come un porto sicuro. Lui molto chiuso, molto tirchio e incapace di azioni superflue (vacanze e divertimenti erano per lui una fonte di stress), ma provavo per lui un affetto enorme...forse ci facevamo un po' da genitori a vicenda. Il sesso era terribile e mi concedevo il meno possibile solo per farlo contento, ero convinta di essere asessuale.
Siamo stati fidanzati per dieci anni, poi sposati per due. Dopo il matrimonio si è chiuso sempre di più nella sua comfort-zone e ho perso anche la poca autonomia che avevo: non mi ha puntato la pistola alla testa, ma (inconsapevolmente e sicuramente senza cattive intenzioni) ha usato lo strumento del ricatto morale. Invitando amici a casa l'avrei costretto a stancarsi, andando io a trovare gli amici l'avrei fatto sentire solo, andandoci con lui l'avrei reso stressato, quando dormivo fuori per dei viaggi di lavoro lui si sentiva male; è diventato sempre più ostile verso la mia famiglia, la vita per lui prevedeva solo io-lui-casa-suoi genitori. Ho capito che in prospettiva non avrei potuto vivere così, svuotata di tutta la mia persona e mascherata da casalinga. L'ho lasciato, ed è stato difficile e penoso: ha pianto, ha implorato, ha giurato di fare ciò che prima rifiutava. Poi si è agganciato all'eterna gratitudine che avrei dovuto dimostrargli, il fatto di essermi rimasto accanto quando ero malata l'avrei dovuto ripagare a vita. Ha mandato sua madre a insultarmi, ha elencato in chiave paterna i miei difetti che solo lui poteva tollerare, mi ha accusata di avergli rovinato la vita e infine mi ha spillato tutti i soldi che è riuscito a convincermi a tirare fuori. Il senso di colpa era lacerante e si è convertito in disagi fisici: da allora cistiti, vaginiti, vulvodinia e ciclo mestruale irregolare non mi hanno più abbandonata.
Oggi, dopo 4 anni, sono innamorata, felice, sessualmente appagata, professionalmente realizzata e ho recuperato la mia identità personale, i miei spazi e i miei sogni. Vulvodinia e cistiti non mi abbandonano e comincio a chiedermi se non possa esserci una causa psicologica: ho processato il mio senso di colpa, ho analizzato tutti le motivazioni per cui non dovrei provarne e per cui non sono responsabile della sua vita. Con la testa l'ho capito, ma in fondo al cuore il senso di colpa è ancora lì che morde e rimorde. Come liberarmene? Sono una persona molto razionale e faccio fatica a pensare che la psicoterapia potrebbe essermi d'aiuto...i fattori fondamentali mi sembra di averli capiti, in che modo farmeli spiegare da un esterno dovrebbe essermi di maggior aiuto per interiorizzarli? Come posso intraprendere un percorso se io stessa non ci credo? Capisco di avere un problema con l'eccessivo senso di responsabilità, non solo in questo caso ma in generale, ma non capisco come poter migliorare.
Grazie di cuore per l'attenzione