Perché mi sento solo/a anche quando in realtà non lo sono?

In genere l’idea di solitudine è legata al concetto di solitudine oggettiva, cioè data dalla mancanza di relazioni ma nella sua realtà più concreta è più un sentimento...

30 NOV 2021 · Tempo di lettura: min.
Perché mi sento solo/a anche quando in realtà non lo sono?

Solitudine: un concetto semplice, dato dalla mancanza forse di relazioni sociali…ma?

In realtà è difficile dare una definizione che riesca a racchiudere il significato completo del concetto. Può essere definita come sentimento, percezione, emozione, stato d'animo, necessità esistenziale. In genere l'idea di solitudine è legata al concetto di solitudine oggettiva, cioè data dalla mancanza di relazioni ma nella sua realtà più concreta è più un sentimento, un qualcosa da cui noi cerchiamo di nasconderci, difenderci. Si può sperimentare come noia, indifferenza, senso di finzione.

Un riflesso moderno della solitudine è l'abuso dei social. Tutto o quasi tutto ciò che si utilizza all'interno dei social può essere letto in modo positivo se usato bene e nelle giuste dosi. Spesso chi si sente soggettivamente solo tende a fingere la propria popolarità, notorietà e man mano che la finzione continua, il senso di solitudine aumenta. In questa società c'è un susseguirsi di attività che creano i nostri ritmi e facciamo fatica a trovare tempo per noi stessi. Spesso non siamo mai oggettivamente soli ma ci sentiamo comunque soli. Questo perché la solitudine soggettiva è qualcosa che sta dentro di noi e anche se esternamente sembriamo tranquilli, circondati di relazioni sociali e di amici, dentro soffriamo un grande stato di solitudine.

L'esperienza clinica mostra costantemente che “essere soli" è una condizione oggettiva meno invalidante del "sentirsi soli", che invece è una percezione soggettiva. È la percezione soggettiva che fa la differenza: questo perché ciò che la mente crede, per noi esiste. In altri termini, la solitudine sofferta attiva le aree cerebrali del dolore e delle paure e innesca le tipiche reazioni di difesa verso ciò che è indesiderato.

Se l'isolamento sociale è ricercato come condizione necessaria a raggiungere una sorta di equilibrio personale e raggiungere i propri obiettivi concentrandosi su se stessi, innesca tutti i sentimenti tipici del piacere. Il soggetto equilibrato è colui che ama la solitudine alternandola a situazioni di socialità , come il funambolo, che non può “marciare" né “danzare" sopra la fune ma può solo continuare a camminare senza mai perdere l'equilibrio. Dunque viviamo tale condizione in base a come la nostra mente ne elabora il significato.

Si nasce da soli dunque imparare a stare soli può offrire solo dei vantaggi. Se nelle varie situazioni della vita, questi ultimi non vengono colti ma si genera una situazione di malessere, si può andare incontro ad una psicopatologia.

Imparare a stare da soli dovrebbe essere un traguardo mirato man mano che l'individuo costruisce la propria indipendenza.

Cosa fare dunque per sentirci meno soli?

  • Smentire interiormente il fatto che noi dobbiamo sentirci soli per tratti di personalità o per volontà divina. Noi non siamo predisposti a stare soli. Questa è un'autoconvinzione che ci creiamo.
  • Fare attività che hanno a che fare con ciò che ci piace, trovando magari persone che vogliono condividere con noi le stesse attività e con le quali trovare sintonia.
  • Evitare di crogiolarci sul fatto che siamo soli ma prendere iniziative.
  • Trovare il piacere della solitudine, il piacere di fare le cose da soli. Spesso alcune attività fatte da soli possono darci maggiore piacere e farci sentire soddisfatti di noi stessi. È importante leggere in chiave positiva ciò che abbiamo…ciò che magari altri non hanno ma che vorrebbero avere.
  • Razionalizzare perché la paura della solitudine e la perdita di motivazione derivata dalla solitudine può attivare una serie di pensieri razionali che non rispecchiano la realtà.

E i social media? Cos'hanno a che vedere con la solitudine?

I social hanno ormai cambiato radicalmente la nostra vita: ci connettono costantemente con il mondo intero ma spesso ci portano a trascurare ciò che ci circonda. Ciò che ci spinge a comunicare online è legato alla convinzione di un mantenimento delle relazioni sociali, all'aspettativa di incontrare nuove persone, alla convinzione che attraverso una chat si possano compensare difficoltà comunicative che magari emergerebbero in una comunicazione vis a vi, al bisogno di appartenere ad un gruppo sociale o al divertimento. Le motivazioni dunque sono più che altro di tipo relazionañe e i rapporti con gli altri assumono un certi significato quando decidiamo di connetterci.

La psicologa statunitense Sherry Turkle afferma che attraverso i social abbiamo la possibilità di presentarci come vogliamo modificando e ritoccando ciò che mostriamo. Abbiamo questo timore di presentarci così come siamo realmente, nascondendo difetti e imperfezioni probabilmente perché non crediamo molto in noi stessi.

Per non sentire la paura della solitudine, non rimanere indietro rispetto agli altri ed essere sempre al passo con il mondo, ci nascondiamo dietro i social per sentirci “soli insieme" ed essere allo stesso tempo ovunque: in casa, a lavoro, ad una festa. Ovunque siamo connessi.

Le relazioni vis a vis vengono interrotte costantemente da messaggi, chiamate, notifiche e ci fanno perdere molto di ciò che ci dice chi ci sta di fronte. Non stiamo più nelle cose e ogni momento che viene vissuto diviene occasione di condivisione per avere feedback dai nostri amici social. Non viviamo più le emozioni e dunque dal momento che le relazioni umane diventano difficili da gestire, tendiamo a “ripulirle" con la tecnologia e facendolo sacrifichiamo la conversazione a favore della pura connessione.

Cosa fare dunque?

La soluzione non sta nel rinunciare ai social o alla tecnologia perché essa fa parte di noi, ma sicuramente quanto detto può aprire uno spunto di riflessione affinché possa essere fatto un uso adeguato dei social riflettendo di più sull'importanza dei rapporti umani. Essere connessi non ci fa sentire meno soli, non ci allontana dai problemi o dai bisogni giornalieri. Essere connessi ci fa essere al passo con gli altri in precici momenti ma non significa sostituire i rapporti umani o il semplice rapporto con noi stessi. Per far si che ciò non porti allo sviluppo di una dipendenza, bisogna riflettere sull'importanza della vita “vera" nonostante le sue varie sfumature e non illudersi di evadere dai problemi legati perché ciò crea illusione e conseguente depressione.

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Scritto da

Dott.ssa Serafina Merola

Bibliografia

  • Loneliness: human nature and the need for social connection, 2008, Cacioppo J. T., Patrick W., W W Norton & Co.
  • La solitudine. Capirla e gestirla per non sentirsi soli,2020, Nardone G., Ponte alle Grazie Editori
  • Solitudine: natura umana e bisogno di connessione sociale, Cacioppo, JT, & Patrick, W (2008).

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