La guida dell'autostima: 3 psico-risposte sull’autostima

Cos'è l'autostima? Quali sono i modelli genitoriali che contribuiscono alla formazione di una bassa autostima? Quali i disturbi collegati ad essa?

14 MAR 2018 · Tempo di lettura: min.
La guida dell'autostima: 3 psico-risposte sull’autostima

Si sente parlare tanto di autostima, ma che cos'è? Come si forma? Quali sono i principali disturbi collegati a una bassa autostima?

L'autostima è il giudizio personale sul proprio valore. È la percezione soggettiva e il pensiero personalissimo sulle proprie capacità. Tutti noi quando nasciamo abbiamo insite le potenzialità per sviluppare il nostro talento, ciò che ci rende unici, speciali e sentirci così realizzati e in sintonia con il mondo. Facile a dirsi, difficile a farsi, qualcuno potrebbe obiettare. Coloro ai quali viene spontanea questa obiezione è probabile che soffrano di bassa autostima Tutti abbiamo valore, una bellezza intrinseca che ci contraddistingue, ciò che però fa la differenza e ci fa sentire bene o male è la credenza personale di averla; la bella notizia infatti è che il giudizio negativo sul mio valore da parte di altri o di me stesso, non può inficiare il mio valore intrinseco ma la sola percezione che ho di esso. Se ho in mano una pietra d'oro e mi convinco o vengo persuaso che valga 10 euro, la mia convinzione non trasformerà magicamente l'oro in una pietra senza valore, ma essa resterà una pietra preziosa d'oro. Noi siamo quelle pietre d'oro. Oggettivamente nessuna credenza può cambiare l'oro che siamo, solo io ho il potere di auto svalutarmi convincendomi di essere una pietruzza gialla ma senza valore, nonostante il mio reale valore intrinseco resti immutato.

Ma perché moltissime persone crescono pensando di essere pietruzze senza valore? L'ambiente in cui cresciamo influenza il nostro modo di percepirci rispetto al mondo. Quando siamo piccoli noi esistiamo in quanto i nostri genitori o le nostre figure di riferimento riconoscono il nostro valore, le nostre qualità, il nostro modo di essere. Partendo dagli adulti significativi con cui ci relazioniamo, iniziamo quindi a costruire internamente un giudizio sul nostro valore personale, assorbendo i messaggi che essi, spesso inconsapevolmente e in buona fede, ci comunicano. Gli adulti significativi per eccellenza sono i genitori e il contesto familiare, ma possono essere anche gli insegnanti e tutti coloro che rivestono un ruolo importante durante la crescita.

Semplificando, si riportano possibili scenari familiari molto diffusi e insidiosi per la formazione di una buona autostima.

1) Genitore richiedente

Un bambino che riceva l'interesse del genitore esclusivamente quando è bravo e ottiene dei risultati, esortato a fare sempre meglio come se non bastasse mai, si sentirà riconosciuto e degno di stima solo appagando questo desiderio. Si tratta di un modello genitoriale richiedente che, seppur a una prima superficiale lettura potrebbe risultare un modello che alimenta le capacità e la stima, potrebbe invece contribuire alla crescita di un "soldatino" compiacente rispetto alle richieste genitoriali, proiettato alla gratificazione altrui per sentirsi riconosciuto e degno, totalmente distaccato dai suoi desideri intimi e bisogni, in quanto troppo preoccupato a soddisfare i bisogni altrui. Queste crescenti richieste ambientali potrebbero contribuire alla crescita di un bambino (che seppure risulterà ad occhi esterni un figlio modello) che rincorre un perfezionismo inesistente al solo scopo di gratificare il genitore per sentirsi amato e riconosciuto. Tale ricorsa, oltre che a farlo diventare ciò che non è (ma ciò che gli altri desideravano che lui fosse- falso sé), avrà come conseguenza ineluttabile un senso costante d'inadeguatezza rispetto alle crescenti richieste perfezionistiche del suo ambiente. Il bambino "cresciuto" inseguirà un'illusoria linea dell'orizzonte che suo malgrado si sposta all'infinito man mano che procede; una continua estenuante corsa, senza traguardo. Egli perderà di vista la sua creatività, il suo talento unico e speciale(il suo valore intrinseco), essendosi "programmato" ad ascoltare gli altri e non più sè stesso. La sua parte più autentica e unica viene così sopita a favore dell'esecuzione perfezionistica del compito, in cambio dell'amore e dell'attenzione. Senza fiato e dopo aver perso sè stesso correndo senza raggiungere un traguardo, col passare del tempo sperimenterà un profondo senso d'incapacità e d'inadeguatezza(bassa autostima).

Crescere con l'illusione della perfezione va spesso a braccetto con l'insorgere di pensieri ossessivi e/o rituali, un'altra sintomatologia tipica spesso in comorbilità con i disturbi dell'alimentazione e i disturbi dell'umore(depressione maggiore, ansia etc). Lo scopo di questi pensieri intrusivi e perseguitanti è di esercitare un controllo mentale, inquadrare, mentalizzare risultati prevedibili alla continua ricerca di una soluzione più perfetta, più giusta a ogni problema quotidiano, per avere un controllo illusorio della realtà coi pensieri, nel tentativo di sfuggire all'incertezza e alla precarietà di quell'orizzonte così sfuggente, impalpabile e irraggiungibile. Un'incertezza che non può essere tollerata cui il modello perfezionistico onnipotente non li ha abituati.

2) Genitore assente

Genitori non presenti, per i più disparati motivi, (soprattutto quando non affiancati da adeguati sostitutivi genitoriali dal punto di vista affettivo), rischiano di comunicare al figlio il messaggio: "tu non vali il mio tempo, tu vali meno di altro, non sei una priorità". Per questo motivo è importantissimo che i genitori riescano poi a ritagliarsi e dedicare tempo di qualità ai figli che possa "riparare" la loro assenza nel vissuto soggettivo dei loro piccoli. Il bambino non è in grado di capire il motivo per cui il genitore è assente e interiorizzerà quello che sente dentro: io non valgo, o valgo meno di..(bassa autostima).

3) Genitore svalutante ipercritico

Intuibile è il caso del genitore (ma anche dell'educatore) svalutante nei confronti del figlio che espressamente a ogni errore o esitazione del bambino gli ricorda che lui non vale nulla, che è un fallito, che non combinerà mai nulla, che è stupido, affermazioni che non necessitano di ulteriori spiegazioni rispetto alla successiva formazione di una autostima deficitaria.

4) Genitore iperprotettivo invischiato e svalutante

È il caso di quei genitori iper-protettivi, così preoccupati da diventare visibilmente invadenti. Questi bambini sono invasi dall'ansia genitoriale e così non viene concesso loro il permesso di sperimentarsi, di sbagliare, per proteggerli da ogni male del mondo, creando una bolla simbiotica che non favorisce la differenziazione e il distacco. Il bambino che cresce senza essersi messo alla prova, senza credere nelle proprie capacità di rialzarsi e di fare da solo perché il genitore si sostituisce sempre per aiutarlo, pure con le migliori intenzioni, crea nel figlio senso di incapacità e inutilità; non gli fa sperimentare ostacoli e la frustrazione del fallimento come tappa fisiologica di ogni percorso per imparare e crescere forti. Sbagliando si impara, non facendo non sbagli, non impari e dunque credi di non saper fare. Questo scenario produce futuri adulti insicuri, che si ritirano alle prime difficoltà, che non tollerano lo stress o il fallimento, che si sentono non all'altezza e incapaci, adulti con bassa autostima. Nessuno nasce sapendo fare tutto, s'impara sperimentandosi nel mondo, mettendosi alla prova, addestrandosi: anche il chirurgo alla sua prima operazione ha avuto paura, sa che c'è un pericolo oggettivo di morte, ma opera perché sa di poter gestire quel pericolo, sa di potercela fare, crede di potercela fare. Perché? Perché si è sperimentato, si è addestrato nel tempo e ha vinto la paura. La persona coraggiosa per esempio non è qualcuno immune da paura, ma è qualcuno che buttandosi nella vita, ha vinto la paura, ha agito e creduto in sé stesso.Un buon genitore da questo punto di vista è dunque un genitore che in infanzia e adolescenza agisce perché i figli a credano in se stessi, agevolando lo svincolo, permettendogli di fare le loro esperienze. Il genitore che si sostituisce al figlio è come se gli mandasse il messaggio: tu non sei capace, io non ho fiducia che tu possa riuscire da solo, svalutando le sue capacità. Se il genitore per primo non ha fiducia nel figlio, il figlio non si fiderà mai di se stesso. Il genitore che tende a proteggere il figlio da ogni potenziale pericolo, tenendolo sotto la sua ala, potrebbe avere lui stesso una difficoltà con la separazione e vedere il figlio come un prolungamento di sè, come completamento, con funzione di riempimento di un vuoto emotivo. In questi casi in genere c'è un rapporto difficile con la famiglia di origine non elaborato. Per questo sarebbe importante, se non fondamentale, che anche i genitori lavorassero su se stessi.

Questo excursus dimostra la delicatezza della missione educativa e l'importanza di rendersi disponibili non solo materialmente ma anche emotivamente affinché crescano dei futuri adulti con una solida autostima. Fare il genitore è, a ragione, il mestiere più difficile che esista e genitori perfetti non esistono ma essere consapevoli del proprio agire come genitori e delle radici del proprio disagio, come figli, aiuta a perdonare, perdonarsi, a fare i conti con i propri limiti, ad alleviare sensi di colpa. I genitori non si possono scegliere, ciascuno fa del suo meglio con le sue risorse e i limiti derivanti a sua volta dai lasciti emotivi dei propri genitori. Nessuno è perfetto ma siamo tutti perfettibili.

Un'autostima carente è alla base dei disturbi più diffusi, dai disturbi dell'alimentazione alla depressione, che spesso coesiste coi primi, ai disturbi d'ansia. Mi focalizzerò sui significati principali che può assumere il disturbo alimentare in correlazione ai contesti familiari tipici in cui si sviluppa descritti precedentemente.

I primi sintomi di questi disturbi insorgono generalmente nel periodo dell'adolescenza, il momento più delicato per la crescita, quando il giovane forma la propria identità, integrando i giudizi interiorizzati dal suo ambiente familiare con i riscontri ottenuti dalla relazione coi pari (anche essi fondamentali) con i quali avvengono processi di identificazione e imitazione.

Gli scenari familiari in cui tipicamente insorge il disturbo alimentare sono quelli del tipo 1 (genitore richiedente) e del tipo 4 ( genitore iperprotettivo invischiato). I suddetti quadri appena delineati costituiscono terreno fertile per lo sviluppo dei disturbi dell'alimentazione, dove il controllo del proprio corpo e sul proprio corpo (potere di vita e di morte) fa sperimentare il medesimo senso di onnipotenza inculcato dai genitori più richiedenti che ripongono aspettative elevate e fantasie narcisistiche di successo sui propri figli. Per questi figli sentirsi perfetti e bravi è l'unica opzione per sentirsi riconosciuti, mentre crescere significa soprattutto sbagliare, essere imperfetti, uscire dall'onnipotenza infantile dove tutto sembra possibile, riconoscere i propri limiti che mal si conciliano con l'idea del perfezionismo dichiarando a se stessi di non essere perfetti e pertanto, nel loro caso, cresciuti con l'equazione valore = perfezione, di non valore affatto. L'idea alla base dell'anoressia nervosa è la seguente: non sono più onnipotente e quindi non ho più tutto sotto controllo? Il mio corpo lo posso controllare fino a farlo morire e ve lo dimostro. In più la denutrizione porta, nel caso dell'anoressia nervosa restrittiva a sembrare molto più piccoli della propria età e quindi a godere di una attenzione e cura maggiore, a catalizzare una amorevole attenzione su se stesse di cui hanno fame. La fame emotiva è alla base anche della bulimia, viene fagocitata un'enorme quantità di cibo in poco tempo per riempire un vuoto interiore a livello emotivo altrimenti non colmabile. Sono bambine non viste, bambine compiacenti rispetto ai desideri dei genitori, perché solo così acquistano valore ai loro occhi. Crescere e svincolarsi dai genitori, significa incontrare il vuoto, perdere la propria idea di sé, non esistere più, sparire (a livello visivo e di morte fisica oltre che psichica). Sono bambine rigide, arrabbiate con sè stesse e col mondo e riversano questa emozione distruttivamente tutta sul corpo. In queste famiglie cd. invischiate (v. Minuchin) non esistono confini tra i vari componenti, non c'è differenziazione tra di loro e quindi autonomia, si muovono come un unico rigido sistema a livello emotivo che si oppone al cambiamento e al processo di individuazione dei figli.

Spesso questo quadro porta con sé anche disturbi di depressione maggiore che ha alla base la medesima deficitaria autostima per aver vissuto esperienze di abbandono, di non amore, di perdita, non adeguatamente elaborate.

A cosa serve sapere? Capirsi? Vuole dire riconoscersi, riscrivere la propria storia con più consapevolezza rispetto alle reali motivazioni che stanno dietro a chi siamo, alle nostre azioni o a quello che ci succede quando soffriamo.

Cosa fare quindi?

Non possiamo scegliere i nostri genitori o cambiare quello che è stato, i nostri amici d'infanzia, gli educatori che ci hanno segnato, ma consapevoli del passato, possiamo impegnarci a modificare il lascito emotivo ereditato, prenderci la responsabilità del nostro presente e lavorare per far riemergere l'oro che ci contraddistingue e che fino a questo momento non avevamo mai potuto o voluto trovare. Lavorando su noi stessi. Non possiamo cambiare gli altri, ma possiamo cambiare noi.

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Scritto da

Dott.ssa Elisa Priori

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Commenti 1
  • Chiaramiranda

    Bellissimo articolo, ogni frase restituisce perfettamente il senso. Grazie per il suo impegno nella condivisione

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