Essere genitori

Come prima battuta riferirei ciò che Winnicott disse a proposito del mestiere di genitore: qualcosa che una coppia inizia per gioco accorgendosi solo più tardi di quanto sia difficile.

25 GEN 2022 · Tempo di lettura: min.
Essere genitori

Come prima battuta riferirei ciò che Winnicott, eminente pediatra e psicoanalista, disse negli anni '60 a proposito del mestiere di genitore considerandolo come qualcosa che una coppia inizia per gioco accorgendosi solo più tardi di quanto sia difficile. L'esperienza ci insegna come l'arrivo di un bambino (naturale o adottivo o anche la sua attesa) sia profondamente trasformativo per i genitori, nel senso di determinare effetti a volte strutturanti e maturativi e a volte disorganizzanti.

Lo stesso psicoanalista sosteneva che i bambini hanno bisogno di una madre sufficientemente buona ma non troppo buona. Ciò significa che una certa dose di incapacità, incomprensione, ambivalenza del genitore è utile al bambino perché gli permette di crescere, autonomizzarsi e mettere le distanze da un genitore di cui può riconoscere i limiti e le imperfezioni.

L'inseguimento del modello del genitore perfetto, perciò, non è solo inutile ma anche dannoso. Inoltre per essere buoni genitori non è importante l'amore in sé bensì la continuità di una relazione sicura che prevede un processo di distacco progressivo, un venir meno adattivo alla condizione di bisogno infantile.

Un altro aspetto importante della funzione genitoriale è la tolleranza degli impulsi distruttivi verso i propri figli così come sono stati sperimentati a suo tempo nel rapporto con i propri genitori. Non è così bizzarro pensare che si possa provare odio per un bambino tirannico o che non fa dormire la notte, o che schiavizza la madre trattandola quasi come una schiava.

Di fronte all'aggressività di un figlio non bisogna però subirla passivamente bensì proteggersi da essa proteggendo di conseguenza quest'ultimo da sentimenti di angoscia e di colpa indotti appunto da impulsi e pensieri ostili.

Si diventa genitori con l'arrivo fisico di un figlio, ma questa condizione in realtà è il frutto di un processo che si articola nel corso degli anni e che è stato preparato molto tempo prima della nascita concreta del bambino. A partire dall'infanzia, quando, identificandoci con i nostri genitori, abbiamo fantasticato di prenderne il posto e poi ci sono le fantasie che emergono durante la gravidanza precedendo il parto. Si può dire che l'avere un figlio è l'evento che segna definitivamente la vita di una persona, molto più di qualsiasi altro passo compiuto nell'ambito lavorativo o personale.

Quando nasce un bambino prende corpo l'impressione di estraneità a cui si contrappone il bisogno di identificare in lui dei tratti somatici somiglianti rispetto ai genitori ma anche rispetto alla propria famiglia originaria.

Sul neonato si concentrano una serie di proiezioni, di fantasie, di aspettative che possono risultare molto pesanti o opprimenti e tuttavia costituiscono di per sé un nutrimento mentale utile che il bambino dovrà digerire e trasformare dando forma alla sua specifica personalità.

Nell'occupare un posto relazionale all'interno di una famiglia, essendo un posto occupato da questi fantasmi e aspettative, non può essere neutro. Il problema quindi non è eliminare i condizionamenti di natura familiare ma essi non devono essere tali da impedire la libertà di costruire se stessi.

Se quindi l'origine della vita umana è segnato dall'interiorizzazione progressiva dei codici altrui poi subentra il tempo della personalizzazione ovvero la possibilità di riuscire a portare avanti il processo di soggettivazione manifestando il diritto a coltivare un desiderio proprio senza aderire ciecamente ciò che è stato imposto.

Qui si delinea la prima sfida per ogni genitore che è quella di non imporre ai figli di essere come vogliamo. Il figlio deve poter disporre di uno spazio per rappresentare l'altro da sé, per contenere l'imprevedibile. Tutto ciò dipende a sua volta dal lavoro che la coppia ha condotto nella relazione a due, accettando le parti nuove di se stesso o del partner che emergono in essa, scoprendo anche un nuovo modo di essere in coppia diverso da quello appreso nella famiglia d'origine, mettendo in evidenza così una potenzialità trasformativa. In questa situazione è più facile che la coppia sia capace di accettare un nuovo bambino che contiene elementi nuovi e sconosciuti così come ha accettato di sviluppare parti nuove nel contesto di coppia.

Con la gravidanza, soprattutto la prima, ogni genitore tende a confrontarsi dentro di sé con il proprio genitore, con lo stile educativo che ha vissuto nella propria famiglia d'origine. La gravidanza impone quindi a ciascun genitore un rimaneggiamento dei processi d'identificazione con le figure parentali e una riattualizzazione di precoci conflitti per arrivare ad una rinnovata identificazione della futura madre con la propria madre e del futuro padre con il proprio padre. Ciascuno si confronterà con il proprio sé infantile che in alcune persone riemergerà chiedendo una riparazione se si sente di aver subito dei danni di una certa entità.

Proviamo a fare qualche esempio. Una donna o un uomo che non ha ricevuto molto affetto e che tenderà a identificare nel proprio figlio quella parte di sé carenziata magari si rivolgerà a lui soddisfando ogni sua richiesta, senza riuscire ad imporre un limite ragionevole, a dire anche di no quando serve oppure, al contrario, il bambino deprivato all'interno di sé entrerà in competizione con il figlio percepito come un rivale.

Vorrei sottolineare come la posizione dell'uomo nella nuova situazione sia piuttosto difficile, escluso com'è dal processo di gestazione, relegato perciò in una posizione più periferica rispetto al dialogo corporeo intrattenuto dalla moglie con il figlio. Sentendosi, entro certi limiti escluso dal rapporto madre-figlio e separato dalla madre-moglie, ripercorrerà la strada che lo aveva portato alle sue prime separazioni. Non bisogna dimenticare che la nuova nascita è infatti, inconsciamente, non solo segno di vita e di continuità dell'esistenza, ma anche presentificazione della fine di uno stato infantile necessario per poter diventare genitore e di una morte futura e reale perché un'altra generazione è nata.

Infine per la coppia il nuovo nato è espressione di una fusione avvenuta ma nello stesso tempo di una rottura.

Si può allora intuire come l'essere genitori sia un lavoro di equilibrio esercitato su molteplici piani di investimento, sia genitoriali che coniugali. Non è certamente superfluo ricordare che anche nel momento più complesso della nascita di un figlio tutti hanno diritto ad essere visti, ad occuparsi di se stessi, a non dimenticarsi o ad essere dimenticati.

I genitori sacrificali che dimenticano se stessi a favore del bambino sono dannosi quanto quei genitori che si sentono invasi, espropriati della loro vita dal neonato e non riescono ad investire energie, affetti e speranze su di lui.

In senso generale si può intendere la genitorialità come attitudine ai cambiamenti. Per esempio, si può essere magari genitori capaci quando il bambino è molto piccolo e avere problemi quando diventa adolescente. Il neonato richiede al genitore una capacità di regressione personale e di sintonia con funzionamenti che sono molto primitivi. È esperienza comune nelle madri essere misteriosamente consapevoli se il figlio dorme e percepire ogni suo bisogno anche se non lo esprime con le parole. Questo è uno stato della mente fondamentale poiché consente al bambino di essere accolto e contenuto favorendo in lui lo sviluppo di una mente che contiene le emozioni in modo da poterle affrontare ed elaborare.

Ma questo particolare stato della mente deve concludersi dopo qualche mese mentre bisognerà ricorrere ad una modalità diversa di entrare in relazione e di rispondere alle comunicazioni emotive del bambino. In questo senso la presenza del padre risulterà fondamentale affinchè il bambino possa passare da una relazione duale a una relazione triangolare, che faciliti un fisiologico distacco da chi si prende cura di lui e gli consenta di accogliere il terzo e insieme ad esso la naturale spinta all'autonomia e ad intraprendere più ricche e variegate relazioni con il mondo esterno. Il bambino deve essere visto dai genitori come individuo separato, portatore dei propri bisogni e peculiari desideri. In altre parole il bambino reale deve prendere definitivamente il posto del bambino fantasticato durante la sua attesa o addirittura prima.

La percezione che il bambino ha di sé nella mente dell'altro è un'esperienza tra le più strutturanti. "Cosa vede il bambino negli occhi della madre?". Dovrebbe vedere se stesso. Si sta parlando di una funzione parentale definita riflessiva che avviene quando il bambino fa l'esperienza che i propri stati mentali sono affettivamente capiti e pensati dal proprio genitore. Il genitore svolge una funzione riflessiva non solo perché si adatta al bambino ma perché risponde ai suoi stati emozionali permettendo a quest'ultimo di sviluppare una "teoria della mente"

La funzione riflessiva è perciò da intendersi come "la capacità di vedere e capire se stessi e gli altri in termini di stati mentali, cioè sentimenti, convinzioni, intenzioni e desideri".

Nell'intendere la funzione genitoriale si fa riferimento ad una dinamica complessa, alla cui costruzione attiene sia il genitore che il figlio ma dove non si trascura la dimensione della coppia dei genitori come unità. Inoltre la funzione materna e paterna non vanno identificate con gli aspetti femminili o maschili della coppia anche se, per motivi biologici e culturali, è spesso la madre colei che svolge la funzione di contenere le angosce del bambino mentre sarà frequentemente il padre a favorire la separatezza e a conferire una disciplina normativa. Non si può mai parlare di un prodotto individuale in quanto ogni funzione è influenzata dall'altra e dalla risposta del figlio prodotta di conseguenza. Una famiglia che possiede sufficienti risorse svolge mette in atto un dinamico interscambio tra i ruoli e le funzioni senza slittare in un'eccessiva confusione o all'opposto in un irrigidimento.

In certe famiglie funzionanti, entro certi limiti e se non inducono confusione, uno zio o un nonno possono sopperire una funzione paterna carente o viceversa un padre che può avere caratteristiche materne sopperisce alle eventuali carenze della madre.

Bisogna tenere presente che la genitorialità intesa in termini rigidi di ruolo o di funzioni assume spesso una connotazione normativa e perfezionistica, coincidendo esclusivamente con la responsabilità, la sollecitudine o la preoccupazione ma questo è un modo riduttivo di pensare la genitorialità derivata da una introiezione idealizzata delle figure genitoriali.

Un aspetto rilevante compreso nel diventare genitore è connesso con il fenomeno prima accennato del lutto, nel senso che ogni figlio con la sua venuta al mondo, con il suo essere sano, con la sua capacità d'amare, con il suo rappresentare la continuità generazionale oltre la morte, costituisce la testimonianza di qualcosa di buono e costruttivo nel genitore.

Si è detto inoltre che nell'educare un figlio ci si va ad identificare con i propri genitori e che attraverso il rapporto instaurato con il nuovo nato si ristabilisce il contatto con la relazione costruita in passato con loro consentendo così di riparare alcuni aspetti di questa relazione. Questa riparazione deve però rimanere contenuta entro un certo limite altrimenti si trasforma in patologia.

Ogni bambino che viene al mondo deve essere soddisfatto nei suoi bisogni ma nello stesso tempo deve imparare a regolarli attraverso la cura dei suoi genitori. Ciò significa che è comprensibile e giusto che essi vogliano mangiare quando hanno fame, fare cacca e pipì quando sentono lo stimolo, vogliano dormire con i genitori cercando in tutti questi modi di far valere la loro nascente volontà contro ogni imposizione. La forte determinazione infantile spesso suscita ammirazione nei padri e nelle madri inducendoli a pensare che se assecondati, affronteranno meglio contro le avversità dell'esistenza. Ed è vero che nella forza di volontà e nella determinazione vi è contenuto qualcosa di buono e di utile ma questo non deve far perdere di vista la necessità di trovare nella mamma e nel papà un'autorità da cui dipendere. Affidabilità e capacità di contrastare la tirannia di un bambino nelle sue richieste sono la base di un buon sviluppo emotivo e mentale.

Innanzitutto bisogna cominciare a togliere ai nostri bambini l'aureola di bontà con cui spesso li dipingiamo. Proviamo ad osservarli giorno dopo giorno fin dal primissimo attimo in cui si attaccano al seno della madre intuendo che dipende da lei la loro sopravvivenza. Inizialmente essi sono guidati dal bisogno e in nome di esso lottino per mantenere il possesso sul loro territorio, identificando chiunque si avvicini come un nemico. Questo non è amore bensì corrisponde ad una sorta di spietatezza ovvero l'espressione primaria di un istinto di vita che lo guida. Se quindi il neonato è spietato non è perché sia cattivo ma perché si attacca alla vita con tutti i mezzi che ha a sua disposizione. La madre quindi è solo un mezzo, il suo mezzo principale per ottenere ciò che gli serve.

Servono alcuni mesi perché il bambino impari a riconoscere la mamma non solo come fonte di nutrimento e di benessere ma anche come oggetto d'amore. Questo passaggio si rivela cruciale nella misura in cui nasce la mente e si sviluppa il pensiero.

Ma cosa spinge un bambino ad amare la madre?

Innanzitutto l'amore del bambino per la madre nasce dall'amore che la madre ha per lui, quindi ama la madre se lo ama, pensa se la madre lo pensa e si installa nello spazio mentale che la mamma gli ha destinato. Attraverso gli occhi della madre il bambino riesce a vedersi, attraverso i suoi pensieri riesce a pensarsi, attraverso la sua comprensione a capirsi. Uno dei bisogni fondamentali di un bambino è quello di creare un effetto, di lasciare un segno nella mente della madre. Egli deve sentire che la sua esperienza, il suo pianto, le sue risate entrando dentro di lei e la modificano, se egli ride si illumina, se piange si intristisce o si preoccupa, se fa una domanda la mamma cerca una risposta. Questa sintonia emotiva con la madre accresce la sua sensazione di avere uno spazio intimo e profondo dentro di lei e questo gli permette di accettare che lei possa appartenere ad altri. La sensazione di esistere nella mente della madre, di occupare un posto unico dentro di lei, non perché non vi sia nessun altro ma perché nessun altro è uguale a lui per la madre, è alla base del senso di identità del bambino e della sua sicurezza. Se invece il suo spazio è insicuro, instabile, poco differenziato da quello degli altri, il bambino facilmente diventerà geloso, prepotente, tirannico, in lotta per ottenere tutto lo spazio.

In generale, a parte qualche eccezione, tutte le mamme offrono uno spazio al loro bambino. Ma per spazio si intende uno stato di permeabilità, calda, accogliente e soprattutto estremamente rispondente alle emozioni di quel particolare bambino che gli permetta di sentirsi capito e di strutturare un'immagine di se stesso. Ci sono mamme che ad esempio offrono spazio al bambino ma in maniera meccanica e generica accudendolo, nutrendolo, parlandogli ma il rapporto che intrattengono con lui manca di profondità e di unicità.

E il padre? Qual è la sua funzione in tutto ciò?

Forse all'inizio la funzione del padre è soprattutto quella di sostenere e aiutare la madre. Rappresenta una funzione indiretta in quanto per il bambino all'inizio della vita è importante la madre con il suo odore, il contatto con la sua pelle, la sua voce e tutti quegli stimoli provenienti dal suo corpo che creano un senso di continuità con l'esperienza dell'utero che ha appena lasciato. Inizialmente la madre è il mondo del bambino dal punto di vista biologico mettendolo al mondo, nutrendolo con il suo latte, calmandolo e sostenendo il suo bisogno di vivere.

Questa fase non dura però molto a lungo perché ben presto il piccolo comincia a guardarsi attorno e ad accorgersi degli altri componenti della famiglia. Compare quindi la figura del padre ma la sua influenza sul figlio sarà condizionata dal ruolo assunto all'interno del contesto socio culturale.

Se spostiamo lo sguardo verso il passato, l'uomo-padre della nostra civiltà ha sempre brillato per la sua assenza. Nell'antichità il padre era sempre altrove rispetto alla famiglia e rispetto al compito di allevare i figli, impegnato in imprese epiche di non poco conto come la caccia, la guerra, l'esplorazione di nuove terre. Nell'antichità allevare i figli era una questione di donne e così è stato fino a non molto tempo fa, quando si è cominciato a dare una connotazione più esplicita alla figura del padre, definendolo/accusandolo di essere un padre assente. Succede che la donna non si rassegna più al ruolo di madre come unica ragione della propria vita. Una donna che si affaccia alla vita sociale impegnandosi in una nuova realizzazione di se stessa convoca l'uomo ad una compartecipazione nelle cure per i figli.

Ulisse è il capostipite di una genia di uomini-padre e Penelope lo è altrettanto per donne-madri immortalate nella rappresentazione di un'attesa rassegnata, ove il tempo è annullato dal farsi e disfarsi della tela. L'uomo che vive la traiettoria dello spazio-temporale delle sue imprese, la donna immobilizzata nel senza-tempo dell'attesa. L'uomo è collocato nella storia dell'umanità vivendone la direzione e la meta, la donna è relegata in una dimensione di tempo circolare, scandita dalla ripetitività dei riti domestici.

Il potere del padre è il potere codificato di un maschile che nella mitologia greca avoca a sé perfino le funzioni generatrici della fecondità femminile. (Il mito greco di Zeus che mangia la dea Metis e partorisce dalla sua testa la figlia che la dea portava in grembo) Mentre l'uomo si appropria della capacità creativa femminile, la donna è relegata al ruolo di involucro incubante, un ruolo accessorio svalutato e povero. Ed è proprio su questi presupposti mitici che si fonda il potere maschile-paterno garantito da una sorta di assolutezza nei confronti dei figli. Un potere codificato da leggi che nell'antica Grecia e nel diritto romano conferiscono al padre facoltà di vita e di morte sui figli.

Diversamente, il potere della madre era legato alle sue funzioni, alla sua presenza, alle sue qualità di buona madre. Un potere dalle qualità affettive, quello materno, che affonda le sue radici nella carnalità della gestazione, nel legame, ma non per questo stabile e inamovibile. Nei miti e nella storia era facile divenire una madre ripudiata e indegna. Il potere della madre è sempre perciò un potere sub judice, che non può essere dato per definitivo, che deve perciò essere guadagnato, riconfermato e mantenuto giorno dopo giorno.

Il potere dei padri, la patria potestas dei romani, esercitato per diritto e non per merito, estremo fino alle estreme conseguenze, tratteggia l'immagine del tiranno fino ad evolvere in una forma meno drastica di diritto-dovere a educare i figli, che è comunque sopravvissuta nel diritto di famiglia riformulato nel 1975. Solo allora, infatti, il ruolo materno e paterno sono stati equiparati nella nuova formulazione di "potestà genitoriale"

Ritorniamo allora al punto relativo la funzione del padre intesa nella sua duplice rappresentazione di padre interno della madre da un lato quando sostiene la coppia madre-bambino e successivamente di padre reale esterno, diventando il portatore di un'esperienza di limite che realizza una separazione gettando le basi per un senso d'identità.

Un padre che svolge una funzione di contenimento ovvero un padre attento, disponibile nel far fronte alle ansie inevitabili che scaturiscono nel rapporto madre-bambino, è chiamato da una condivisione con un femminile evidentemente estraneo ad una tradizione culturale millenaria. Un padre che accoglie protettivamente nella sua mente la coppia madre-bambino deve poter tollerare una gamma di vissuti complessi che configurano una minaccia regressiva e che vanno dal senso di esclusione alla più pura invidia. Un compito che si basa su una mobilità interna e su una consapevolezza chiara dei propri vissuti, due elementi non sempre così immediatamente disponibili. Avvicinare sentimenti come la gelosia, il senso di esclusione o l'invidia diventa un'esperienza destabilizzante nella misura in cui l'uomo sente che proprio una consapevolezza che potrebbe fornirgli una solidità di un'identità piena e autentica lo rende contemporaneamente più debole. Si crea un'area di confusione tra ciò che porta avanti e ciò che riporta indietro oppure si vive questa simultaneità affettiva/esperenziale come un attacco violento. Rispetto all'immagine ideale dell'uomo tutto d'un pezzo.

La difficoltà nell'uomo a rendersi disponibile a queste nuove funzioni determina dolore e insicurezza nella donna che già durante la gravidanza, messa di fronte ai fantasmi e alle ansie sprigionate dalle trasformazioni corporee, gli richiede una funzione di contenimento e di accoglienza protettiva.

Il percorso del divenire padre è un percorso rischioso, che corre il rischio di un'estraneazione. Se la donna ha prima a disposizione l'esperienza della gestazione che può recarle fantasie di un'unione assoluta e poi, alla nascita, quella di una forte e assidua condivisione sensoriale con il bambino, l'esperienza del padre è immancabilmente collocata nell'area dell'estraneo che deve essere conosciuto dal bambino, conosciuto anche attraverso la mediazione di una madre che deve perciò sentirsi profondamente e fiduciosamente legata ad un padre.

Il vissuto di un padre è necessariamente di esclusione e di attesa.

In definitiva, il padre, per avvicinarsi al figlio, per affrontare ed elaborare questo vissuto, deve potere sperimentare il sentimento della tenerezza, un sentimento di coinvolgimento che lo avvicina a quel femminile dal quale per secoli ha tentato di prendere le distanze. È come se l'elemento di fusione comportasse con-fusione e allora l'uomo deve reagire agendo un distacco ulteriore. La tenerezza come tale è un sentimento piacevole ma è anche il sentimento che infrange lo stereotipo di un'identità maschile definita dalla durezza dei sentimenti e delle azioni.

Naturalmente, ad un'auspicata trasformazione della figura paterna, corrisponde una figura materna già trasformata da un'emancipazione femminile che ha comportato un maggior investimento della donna in campo lavorativo, in un altrove diverso dal ruolo d madre. Una donna che si prefigge nuove mete sociali, proiettata sul mondo esterno.

In questa fase di transizione dove si assiste alla metamorfosi della figura paterna, è però importante che il padre non trascuri di realizzare per il figlio una nozione di limite contenitivo. Purtroppo, in alcune situazioni, il no rischia di diventare la parola proibita che reca i fantasmi dell'autoritarismo, non trovando ancora una parola o un tono diverso con cui pronunciare un no che possa non essere la sentenza cieca dell'esercizio di un potere tirannico, quanto piuttosto l'espressione di un'assunzione di responsabilità consapevole, che orienta e rassicura un figlio.

Insieme, padre e madre, daranno vita ad un genitore interno che comanda e governa con comprensione e benevolenza, rimanendo per sempre dentro di lui come una guida sicura.

L'articolo si sofferma sui meccanismi proiettivi messi in atto dai padri e dalle madri nei confronti dei figli, tenendo altresì conto quanto e come i cambiamenti culturali che hanno avuto luogo nella nostra epoca attuale influiscano sulle modalità in cui si esercita il ruolo di genitori.

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Scritto da

Dott.ssa Rossana Dalla Stella

Bibliografia

  • C.Miglioli R.Roseghini "Sulle orme di Winnicott" Mimesis, Milano, 2012
  • J.Manzano F.Palacio Espasa N.Zilkha "Scenari della genitorialità" Cortina, Milano, 2001
  • M.Recalcati "Cosa resta del padre?" Cortina, Milano, 2017

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