Cosa significa fare... ed essere terapeuta!

Uno sguardo alla "relazione terapeutica" secondo l'approccio Consenziente della Scuola di Psicoterapia Sistemico Relazionale di C. Bogliolo

14 APR 2015 · Tempo di lettura: min.
Cosa significa fare... ed essere terapeuta!

Il periodo storico attuale vede il persistere della la diffusione, anche negli orientamenti di tipo cognitivo, sistemico, strategico, life coaching ecc., di procedure direttive e veloci, prestabilite già dalla prima seduta. Si tratta di modelli molto in voga, che provengono dagli Stati Uniti, basati essenzialmente sul sintomo, sulla definizione del problema, le soluzioni tentate.

Infatti, se i ritmi della società sono sempre più veloci, anche la psicoterapia si adegua e cerca di ottimizzare il breve tempo a disposizione dei propri pazienti.

In Italia la terapia breve si sta diffondendo nuovamente nell'ultimo decennio.

Nei decenni passati si viveva il disturbo psicologico come problematica esistenziale più che come problema in sé e per sé, si era abituati a chiedersi il perché di un certo fenomeno e a prevedere un cammino conoscitivo per risolverlo; è stata la cultura americana degli anni 40-50 invece a creare i trattamenti brevi, che puntano al risultato nel minor tempo possibile.

Ed è proprio questa attenzione agli effetti delle patologie, più che alle loro cause profonde e alle modificazioni che producono nelle relazioni, che ha contraddistinto certi orientamenti: si concentrano tutte le forze in otto, massimo dieci sedute, con ricorrenza settimanale o più lontana nel tempo ( e in seguito prevede dei follow-up in cui si raccolgono i feedback dei pazienti). E' comunque comprensibile dato che spesso erano le assicurazioni mediche a dettare le regole del gioco, rifiutando il pagamento di trattamenti superiori alle dieci, venti sedute.

Ancor oggi, nelle terapie brevi e direttive il sintomo viene visto come un comportamento indesiderato (e indesiderabile): di conseguenza la cura veloce si sforza di mettere in pratica, nel minor tempo possibile, le giuste strategie per la risoluzione del problema. Gli psicoterapeuti più critici vedono in questa brevità il vero limite della metodologia, che, rischiando di rivelarsi troppo "superficiale", non assicurerebbe risultati duraturi e a lungo termine per i pazienti, esponendoli al rischio concreto di ricadute.

Rompere i circuiti disfunzionali

Ma io credo che il vero limite sia un altro: il distacco e l'oggettivazione dell'altro, caratteristici della strategia terapeutica breve, escludono tout court la creazione di quello spazio emozionale che permette il vero e profondo incontro con l'altro, che è poi il cuore del processo terapeutico per me.

Per me la terapia (secondo l'approccio Consenziente della Scuola di Psicoterapia Sistemico Relazionale di C. Bogliolo) dovrebbe dare la possibilità al paziente di essere accolto come persona nella sua unicità e non come etichetta diagnostica, e al terapeuta di lasciarsi coinvolgere con i propri vissuti nel processo terapeutico; entrambi si mettono in gioco con la loro storia e con la loro autenticità.

Il terapeuta non costringe l'altro a cambiare, il suo obbiettivo non è quello di rompere dei circuiti disfunzionali, ma di accettare l'altro che arriva in terapia, comprenderlo e accogliere le sue emozioni condividendole; la parola chiave è rispetto, che significa consapevolezza della dignità e del valore dell'altro, che l'altro non può essere identificato riduttivamente con il sintomo che porta in terapia, ne con una categoria diagnostica da DSM IV.

Credo che una delle percezioni più dolorose che può provare un paziente sia quella di avvertire di essere la "squadra avversaria" contro cui il terapeuta deve vincere la partita.

E' vero che molti studi hanno dimostrato la sostanziale equivalenza tra le diverse forme di psicoterapia, per quanto riguarda il risultato di cambiamento richiesto nel paziente; secondo questi studi, al di là dell'orientamento, gli elementi indispensabili per la buona riuscita della terapia sono la professionalità del terapeuta, la relazione, la fiducia in quest'ultimo e la motivazione della persona al cambiamento.

Ma io aggiungerei che è la qualità di autenticità, vicinanza e rispetto che caratterizzano la relazione terapeuta-paziente a fare la differenza e a rappresentare la condizione indispensabile per la riuscita del percorso (che credo non si possa ridurre unicamente alla scomparsa del sintomo).

Fare terapia da parte del professionista deve prevedere un'attitudine, una qualità, un "modo di essere del terapeuta" e non un modo di fare terapia in senso stretto.

Essere terapeuta significa soprattutto dare importanza a ciò che provo, l'autoreferenza può così diventare un punto di forza in terapia: bisogna accettare che ogni sentimento che nasce in me non è legato esclusivamente alla mia storia personale, ma ha anche un senso e una funzione in rapporto al sistema terapeutico al cui interno si è manifestato.

E' sempre necessario verificare che ciò che si prova abbia una funzione sia in rapporto ai membri della famiglia che a se stessi, è l'unico modo per costruire un ponte unico tra me e la famiglia.

"Essere un terapeuta" è l'anima della terapia: prevede "una conoscenza approfondita di sè e dei propri limiti, grazie ad una formazione approfondita che consenta di raggiungere non solo strumenti tecnici, ma anche consapevolezza e coscienza della propria storia, delle proprie radici e miti, della propria identità; include anche sapersi mettere in gioco, saper gestire le proprie emozioni e la capacità di riuscire ad accettare e a lavorare sui propri errori. "... " Il terapeuta è "strumento di cambiamento" attraverso la propria persona, in parallelo alla persona che ha in cura: consapevole dei propri limiti, riesce a collocare se stesso nel tempo, nel luogo, con chi lavora, consapevole che essere terapeuta è strettamente connesso al suo essere persona... (Corrado Bogliolo 2012).

Riferimenti bibliografici

  • Bogliolo C., Psicoterapia Relazionale della Famiglia. Teorie, tecniche, emozioni nel modello consenziente, Franco Angeli, 2001.
  • Bogliolo C., Interventi Relazionali. Contributi alle psicoterapie e ai processi di aiuto, Edizioni Borla, 2003.
  • Bogliolo C., Manuale di psicoterapia della famiglia. Tradizioni ed evoluzioni della relazione terapeutica, FrancoAngeli, Milano, 2008.
  • Bogliolo C., Fare ed essere terapeuta. Dubbi e domande nella conduzione della psicoterapia relazionale, FrancoAngeli, Milano, 2012.

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Scritto da

Dottssa Giordana Colombo

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