6 abitudini che ostacolano la nostra salute mentale ed emotiva

Avere un atteggiamento orientato a dubitare di se stessi, all'autoflagellazione e focalizzato sulla necessità di gratificare esclusivamente gli altri danneggia il nostro equilibrio.

30 GEN 2020 · Tempo di lettura: min.
6 abitudini che ostacolano la nostra salute mentale ed emotiva

Avere un atteggiamento prevalentemente orientato a dubitare di se stessi, all'autoflagellazione e focalizzato sulla necessità di gratificare esclusivamente gli altri piuttosto che se stessi fa parte di un repertorio di abitudini che fanno male al nostro equilibrio psicofisico.

Atteggiamenti orientati alla compassione per se stessi, modi decisi di pensare e comportarsi sono invece associati ad una visione di sé sicura e positiva. Possiamo abbandonare vecchi modi di pensare per costruirne dei nuovi ? La risposta è sì, il nostro cervello possiede la neuroplasticità, ovvero significa che la capacità di praticare nuovi modi di pensare e di comportarsi può modificare i neuroni cerebrali e i collegamenti tra loro.

Riconoscere le nostre abitudini negative è il primo passo per aumentare la flessibilità cognitiva e per impostare linee più salutari, costruendo un cervello più predisposto alla felicità e al successo.

Di seguito, verranno elencate ben sei abitudini negative che ostacolano la nostra salute mentale ed emotiva.

1. Sentirsi quasi sempre in colpa

La colpa è un'emozione che apprendiamo da piccoli ed ha un valore sociale adattivo. "Che fai non mangi ? Pensa che in Africa i bambini della tua età muoiono di fame!" o cose del tipo: "La mamma si fa in quattro per farti stare bene e tu stai sempre a fare i capricci per ogni cosa!". Quando diventiamo adulti questi vissuti vengono interiorizzati e danno spazio alla formazione di credenze circa la visione di noi stessi, degli altri e delle nostre relazioni con gli altri.

Saranno queste credenze a guidare il nostro comportamento e il modo in cui interpretiamo gli eventi della nostra vita. Se abbiamo dei grossi vissuti di colpa, potremmo essere mossi dalla sensazione di non essere mai abbastanza e di non fare mai abbastanza. Se è vero che il senso di colpa ci preserva dal recare danno agli altri o dal violare i loro diritti (esempio: se ho offeso un amico, il senso di colpa mi aiuterà a riparare cominciando con il chiedere scusa), un eccesso di colpa è disfunzionale nella misura in cui ci allontana da una vita serena e felice.

Quando il senso di colpa assume un ruolo disfunzionale ?

Quando ci sentiamo in colpa per aver ottenuto risultati migliori rispetto alle persone che amiamo (esempio : aver preso un voto più alto, trovato lavoro e messo su famiglia etc.), quando la nostre decisioni sono diverse da quelle che i nostri cari si aspettano (avere idee politiche o religiose diverse, allontanarci da casa etc.), quando ci sentiamo continuamente indegni, inadeguati, inefficienti, dei fallimenti rispetto alle aspettative degli altri, quando pensiamo di accantonare i nostri bisogni per prenderci esclusivamente cura degli altri e non possiamo permetterci di fallire ! Questi sono solo alcuni esempi.

È importante riconoscere la colpa giusta dalla colpa in eccesso. In che modo? Sono le nostre azioni a far male agli altri, non i nostri pensieri!

2. Pensare di essere un fallimento

Molti di noi interpretano gli eventi della loro vita in termini di fallimento, questo agisce negativamente sulla percezione di noi stessi e ci porta a focalizzarci esclusivamente sugli insuccessi, prestando poca attenzione o minimizzando i successi. Un'impostazione mentale orientata al fallimento non tiene conto degli aspetti del contesto che possono aver ostacolato la nostra prestazione e l'impegno messo in quella determinata attività o compito. Si tratta di vere e proprie lenti attraverso cui percepiamo il mondo e noi stessi che trova le sue radici nelle relazioni dei primi anni di vita con le nostre figure di accudimento. Questa impostazione mentale può essersi formata a partire da una storia infantile caratterizzata da genitori ipercritici e svalutanti, da una serie di delusioni (divorzio, problemi economici, non essere riusciti a laurearsi o a trovare il lavoro dei sogni...), o dall'aver avuto una vita fatta di un continuo confronto con fratelli o amici più in gamba. Questa forma mentis orientata al fallimento costruisce le basi per la costruzione di profezie che si auto-avverano.

Ad esempio, possiamo tendere a procrastinare e a non rispettare le scadenze a lavoro, diventare eccessivamente focalizzati sui dettagli perdendo di vista gli obiettivi finali. Possiamo avere un atteggiamento di forte insicurezza o non metterci troppo impegno in quello che facciamo perché mossi dalla convinzione che a prescindere non siamo in grado di fare un buon lavoro. Per cominciare a smussare questa impostazione mentale bisogna partire dal fatto che si tratta di pensieri, prodotti della nostra mente a cui possiamo decidere di non credere. Ogni nuova opportunità va presa come un nuovo inizio da cui partire per imparare dagli errori precedenti e agire in maniera diversa.

3. Perfezionismo

Quando siamo estremamente critici verso noi stessi, valutando ogni nostro risultato come non all'altezza dei nostri standard rischiamo di ostacolare la nostra crescita. Il perfezionismo può essere figlio di un'impostazione mentale eccessivamente rigida che non modifica le aspettative in relazione al contesto che si presenta. Un'impostazione del genere può portare alla procrastinazione, a dubitare continuamente di se stessi, ad arrendersi o a non provarci nemmeno per paura di sbagliare, a sentirsi sovraccarichi e stressati.

Un articolo nella Review of General Psychology ha messo in evidenza che i perfezionisti hanno maggiore probabilità di combattere con la depressione l'ansia e di commettere il suicidio. Inoltre, i perfezionisti possono avere maggiore possibilità di soffrire di fibromialgia e di stanchezza cronica.

La loro autostima è condizionata dalla performance (esempio: sono all'altezza solo se avrò il massimo in tutte le materie), ma non si può sempre avere successo. Spesso i perfezionisti hanno la sindrome dell'impostore.

Ma come possiamo fare per combattere il perfezionismo ?

  • Smettere di vedere o tutto bianco o tutto nero.
  • Attribuirsi il merito di averci provato.
  • Smettere di pensare in termini di "dovrei".
  • Non vedere gli errori come disastri.
  • Impostare delle scadenze per terminare il lavoro.
  • Non mettersi nella posizione di controllare eccessivamente il prodotto del nostro lavoro perchè alimenta il dubbio.
  • Non perdere di vista l'obiettivo e cercare modi più compassionevoli verso se stessi quando i risultati del nostro lavoro non sono eccezionali.

4. Vivere con rimorso

Il rimorso è uno stato cognitivo/emotivo negativo che ci porta a colpevolizzarci per qualcosa che è andato male, associato ad un senso di perdita e disperazione per qualcosa che sarebbe potuto essere e che invece non è stato, o al desiderio di poter annullare una scelta fatta in precedenza. Il rimorso può essere funzionale nelle situazioni in cui è possibile cambiare la situazione. Per esempio se abbiamo una dipendenza patologica, il rimorso ci spingerà a modificare il comportamento tossico assunto precedentemente attraverso l'applicazione di nuovi comportamenti adattivi.

Ma nelle situazioni che non possono essere modificate, il rimorso può tradursi in un processo di ruminazione che incrementa esclusivamente la nostra sofferenza psicologica e danneggia la nostra autostima, rimandandoci un senso di impotenza e di mancato controllo sulla nostra vita. Chi sente il rimorso, riproduce costantemente nella sua testa quella situazione percepita come umiliante e stressante che vorrebbe cambiare rilasciando gli ormoni dello stress, l' adrenalina e il cortisolo.

Attraverso la mindfulness è possibile focalizzarsi sul momento presente e ridurre i processi di ruminazione che sono alla base del rimorso.

5. Paragonarsi agli altri

Spesso ci paragoniamo agli altri e facciamo valutazioni su quanto siamo stati bravi basate sui confronti effettuati. Ci sono i paragoni verso l'alto (con persone che fanno meglio di noi) e i paragoni verso il basso (con persone che fanno peggio di noi). Di solito, ci sentiamo meglio quando abbiamo la percezione che quanto abbiamo raggiunto sia migliore di quello che hanno raggiunto le altre persone, mentre ci sentiamo peggio quando facciamo paragoni con persone che hanno raggiunto risultati migliori dei nostri.

Ma il punto è che non sappiamo mai cosa succede veramente nelle vite degli altri al di là della superficie.

Saremo sempre in grado di trovare ambiti in cui non siamo allo stesso livello degli altri come l'aspetto fisico, i successi lavorativi, le capacità atletiche ma il paragonarsi ad altre persone esercita una forte pressione su di noi ed è fallimentare nella misura in cui non tiene conto di altre variabili che entrano in gioco. Sfortunatamente, spesso i genitori paragonano i loro figli ai loro fratelli e sorelle e queste etichette possono contribuire a definire l'immagine che hanno di loro stessi: "Tu sei quella sportiva mentre tua sorella è brava sui libri."

I confronti sono un'ipersemplificazione della complessità di noi esseri umani. Il miglior paragone che possiamo fare è solo relativo a cosa stiamo facendo questo preciso istante rispetto allo scorso mese o anno. Attraverso questo metodo di confronto è possibile valutare in primo luogo le nostre abilità individuali in relazione alle circostanze.

6. Cercare disperatamente di compiacere gli altri

Un comportamento focalizzato esclusivamente a compiacere gli altri trova origine nel desiderio di volere che le persone ci apprezzino e nell'eccessiva considerazione che viene data a cosa pensano gli altri a discapito del nostro tempo, delle nostre energie e della nostra autostima. Un comportamento simile può svilupparsi come risposta a vissuti durante l'infanzia di maltrattamento psicologico da parte di genitori narcisisti.

Dalla ricerca è emerso che bambini che hanno subito violenza sono più bravi a riconoscere espressioni facciali della rabbia rispetto a bambini che non hanno subito violenza. Il cervello di un bambino che ha subito violenza costruisce un'impalcatura propensa a compiacere gli altri in modo tale che non si arrabbino e gli/le possano fare del male.

Un altro scopo del compiacere l'altro può essere finalizzata ad evitare il rifiuto o l'abbandono. Se si è cresciuti con un genitore depresso o con problemi legati alla dipendenza , è probabile che si impari a riconoscere che l'unico modo per avere attenzione da parte dell'altro è quando ci prendiamo cura di lei/lui o quando soddisfiamo i suoi bisogni.

Stare sempre a gratificare gli altri o ad incontrare esclusivamente i loro bisogni è un utilizzo inadeguato dell'empatia. Sapere cosa provano gli altri non significa che è nostro dovere farli stare meglio.

Siamo sempre liberi di fare una scelta: è importante tenere in considerazione il costo che implica assecondare in ogni occasione i bisogni dell'altro, se comporta un aumento di stress, se calpesta le nostre esigenze, se ci allontana dai nostri obiettivi personali.

È importante stabilire dei limiti ed imparare a dire no quando è necessario, imparare a dare la giusta priorità, bilanciando i bisogni degli altri con i propri. È importante scegliere con cura le persone di cui ci circondiamo, allontanando quelle che possono utilizzarci esclusivamente per i loro interessi.

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Scritto da

Dott.ssa Maria Teresa Caputo

La dott.ssa è Psicologa e Psicoterapeuta ad indirizzo Cognitivo-Comportamentale, iscritta all'ordine degli Psicologi della Regione Campania. Svolge la professione privatamente occupandosi di disturbi d’ansia, depressione, disturbo ossessivo compulsivo, lutto nell’ età evolutiva e nell’età adulta.

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Commenti 1
  • Giacometti silvia

    Grazie per le vostre parole ma come guarire da questi 6 punti ?

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