La mia famiglia mi genera ansia

Inviata da Beatrice · 16 giu 2015 Ansia

Non so come spiegarlo, vivo lontano dai miei da moltissimi anni, quasi 20, me ne sono andata da casa appena ho potuto e ci torno il meno possibile. La mia famiglia mi genera ansia fondamentalmente. Adesso ho un piccolo nipote che vorrei conoscere ma solo l'idea di passare del tempo con loro mi fa sudare freddo. Ho provato più volte a comunicargli il mio disagio, a dirgli che a mettermi sotto pressione tutto il tempo perchè sia più presente, più affettuosa, più legata alla famiglia mi fa l'effetto contrario: mi viene da dare di stomaco. Non hanno mai accettato che a me non bastasse starmene li incollata a loro, che volessi girare il mondo, che non gli chiamassi tutti i giorni per parlare di banalità... Insomma hanno un bisogno smisurato di essere importanti per me senza capire che già lo sono, dovrebbero solo smetterla di fare come quei fidanzati appiccicosi che ti tolgono l'aria. Come faccio a farglielo capire o almeno a far si che non mi influenzi l'opinione che hanno di me? Secondo loro sono triste e solitaria: la verità è ho pochi ma ottimi amici, un lavoro che mi piace, un marito... Rimbalzo fra impegni e progetti, per loro esiste solo la famiglia, la casetta in periferia, il paese... 3 giorni con loro e mi sento in una pentola a pressione. Come fare?

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Miglior risposta 16 GIU 2015

Cara Beatrice,

Ho letto e riletto il suo messaggio. Ho chiuso e riaperto, indecisa su cosa fosse più opportuno rispondere.

Mi son detta che un lavoro su se stessa lei sembra già averlo fatto: arrivare a dirsi che la sua famiglia le genera ansia, riuscire a mettere in mezzo un po' di distanza, ma riconoscerli comunque come radici, come persone importanti a cui vuol bene, pur tenendo la famosa "giusta distanza". Ecco, questo è già un buon punto del percorso.

Poi ci racconta che nasce un nipotino, che vorrebbe conoscere, ma l'idea di passare del tempo con loro genera ansia. A proposito, sapeva che spesso l'ansia è data dallo "scontro di due frecce che vanno in direzione opposta"? Spesso, una indica ciò che si vuole, l'altra ciò che si deve e pum. Parentesi a parte, ci spiega anche che loro "non hanno mai accettato che...". Ecco, è qui che mi si è accesa una lampadina e la ringrazio per aver usato il termine "accettare". Già, perché spesso, quando un percorso su se stessi lo si è già fatto, il punto è proprio quello di accettare. Dove non è riuscita la sua famiglia, può provare lei. "Accettare", mi raccomando cara Beatrice, non "Rassegnarsi". Che lo so che sembrano termini interscambiabili, ma son ben diversi, perché mentre rassegnarsi significa sentirsi con le mani legate, senza poter far niente. Accettare significa prendere atto di una situazione, osservarla e cogliere anche i suoi aspetti negativi ("la mia famiglia mi mette ansia! quando dicono così mi fanno arrabbiare") e capire quali sia il miglior risultato che ci si piò portare a casa tenendo conto dei propri mezzi, ma anche dei limiti altrui (in soldoni: posso cambiar me stesso, parte della situazione, ma non posso rivoluzionare gli altri).

Ecco, dopo questa pappardella in psicologese, ripasso la palla a lei. Sono certa che troverà il modo migliore per conciliare la visita al suo nipotino e l'ansia che le genera il contatto con la sua famiglia. Se le vengono dubbi dal punto in cui partire, parta dagli impegni e progetti in cui si è impegnata: dove ha trovato la grinta per portarli a termine? Come li ha raggiunti? Ecco, anche questo è un progetto!

Un abbraccio e, se le va, ci faccia sapere com'è andata!

Dott.ssa Alessia Romanazzi

Dott.ssa Alessia Romanazzi Psicologo a Saronno

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16 GEN 2022

Gentilissima,
rifacendomi a quello che ha scritto, la invito a esprimere ciò che prova attraverso una forma di comunicazione in cui non prevalga l'elemento accusatorio ("Mi mette a disagio il fatto che...") ma l'espressione di un bisogno ("Ho bisogno che in questo momento tu/voi..."). Inoltre, vorrei riflettesse sul peso che hanno per lei le aspettative e il senso di dovere che percepisce nei confronti dei suoi famigliari.

Anna Falco Psicologo a Napoli

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17 GIU 2015

Salve Beatrice,
come altri colleghi hanno sottolineato, lei ha già fatto un importante passaggio, ovvero quello di mettere una distanza fisica tra lei e il suo contesto familiare. E' riuscita a cogliere la sua difficoltà e ad agire nel modo per lei più funzionale. Ottimo. Sembra però che la distanza emotiva sia per lei più difficile da costruire, perchè ancora subisce la pressione dei suoi familiari (si arrabbia, ha mal di stomaco, etc), rendendo difficile una co-esistenza serena nei vostri momenti di ricongiungimento. Lei ha fatto delle scelte importanti, che la sua famiglia non accetta e critica attivando, probabilmente, in lei, dei sensi di colpa che per lei sono non giustificati. La "diversità" è sempre difficile da accettare (ove per diversità intendo il fatto che lei abbia scelto di fare una vita diversa dalla sua famiglia), soprattutto per un sistema che per anni ha vissuto con le stesse regole e modalità. e dato che lei ha avuto la forza ed il coraggio di distinguersi, forse potrebbe essere proprio lei il perno del cambiamento. Provi ad essere lei l'elemento del suo sistema che accetta la diversità della sua famiglia, cambi il punto di vista.
saluti
CP

Cecilia Pecchioli Psicologo a Milano

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17 GIU 2015

Cara Beatrice, sei stata molto brava a mettere la giusta distanza con i tuoi , ed è stato anche questo tuo modo di porti che ti ha permesso di realizzati professionalmente e come persona.Se decidi di vederli (ti consiglio un breve periodo), spinta dal desiderio di conoscere il nipotino, fallo pure, tenendo però sempre presente che i tuoi genitori continueranno a comportarsi come loro sanno fare, e non come tu vorresti. Cerca di focalizzare la visita sul nipotino e di non prendere le eventuali critiche e commenti negativi come questioni personali. Rispondi in merito in modo vago e lasciando possibilmente cadere il discorso, ed evita un inutile scontro.

Cordiali saluti
dott. Alessandro Bertocchi (bo)

Dott. Alessandro Bertocchi Psicologo a Bentivoglio

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16 GIU 2015

Cara Beatrice,
se il suo desiderio è conoscere e vivere il suo nipotino, può scegliere di dedicare alcuni spazi a questa famiglia così presente e desiderosa delle sue attenzioni e del suo affetto.
Saprà tollerare le richieste che la opprimono se darà loro spazio senza farsi fagocitare. Sia lei la parte forte: dia quello che può e desidera, senza costrizioni e senza sensi di colpa.

La distanza chilometrica sarà un utile strumento per lasciar decantare il suo senso di oppressione.

Un saluto
Dott.ssa Francesca Fontanella

Dott.ssa Francesca Fontanella Psicologo a Rovereto

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16 GIU 2015

Cara Beatrice, devo dire che una prima soluzione l'ha già trovata. Aver interposto tanti chilometri tra se è i suoi genitori le ha permesso di seguire le sue propensioni, di ascoltare e sviluppare schemi di comportamento e modi di sentire che apparivano così diversi da quelli della sua famiglia d'origine e che forse sarebbero rimasti soffocati. Capita di sentirsi molto diversi dai propri genitori o dalla propria famiglia e queste differenze vengono spesso vissute con colpa, perché magari siamo meno abituati ad amar i nonostante le diversità. Il prezzo che state pagando e' quello di privarvi del calore della vicinanza. Potrebbe provare a parlarne con uno psicologo che la aiuti ad accettare queste diversità

Dott.ssa Luciana Iuliucci Psicologo a Pontedera

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16 GIU 2015

Salve Beatrice, anche se inizia la sua domanda con "non so come spiegarlo" a me sembra che sia riuscita a spiegarsi benissimo. Mi dispiace per tutte le pressioni e le incomprensioni che ha ricevuto e riceve dalla sua famiglia e credo di capire cosa l'ha portata ad allontanarsi dalla famiglia e dal paese. Credo tuttavia che per chi lascia il proprio paese per un altro luogo arrivi ad un certo punto, molto spesso, una grande spinta a "farvi ritorno", anche se solo provvisoriamente, come a voler costruire ponti tra le nuove parti di sé e le vecchie parti di sè, per trovare un senso più profondo per la propria storia. Per ognuno funziona in modo diverso e non esiste "il momento giusto" in cui questo avviene. Quindi posso solo avanzare l'ipotesi che questo piccolo nipote abbia acceso in lei il desiderio di un confronto con la sua famiglia e con il suo paese. Ma forse questo confronto lei lo vede ancora come prematuro adesso? O forse non lo vede affatto? Resto a disposizione per ulteriori domande. Un grosso in bocca al lupo. Dott. Massimo Perrini - Psicologo Psicoterapeuta Psicoanalista Relazionale a Roma.

Dott. Perrini Massimo Psicologo a Roma

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