Psicologia cognitivo-comportamentale: cos’è?

In questo breve articolo, spiegherò in modo semplice cosa intendiamo per psicologia cognitivo-comportamentale, analizzando il significato di ciascun termine. Partendo dalla definizione di modello in psicologia, chiarirò le ragioni dietro l’attributo “cognitivo” e “comportamentale”.

18 GEN 2024 · Tempo di lettura: min.
Psicologia cognitivo-comportamentale: cos’è?

Per aiutare le persone, gli psicologi adottano dei modelli che sono delle teorie che cercano di spiegare come funzionano le persone. Possiamo considerarli come degli "occhiali" che lo psicologo utilizza per guardare al funzionamento del paziente. I modelli non rappresentano fedelmente la realtà, ma sono piuttosto una semplificazione della stessa, che guidano il clinico in ogni suo atto terapeutico.

Cos’è la psicologia cognitivo-comportamentale?

Esistono numerosi modelli e teorie in ambito psicologico da cui derivano approcci terapeutici molto differenti tra di loro. La psicologia cognitivo-comportamentale è un insieme di modelli basati sulle evidenze (evidence based), ciò significa che la pratica clinica è guidata dall'uso di teorie e tecniche che la ricerca ha dimostrato essere efficaci nel trattare specifici disturbi. Questo assicura che la pratica clinica rimanga sempre allineata alle ultime scoperte: quando un nuovo modello dimostra la sua efficacia, i vecchi protocolli vengono abbandonati, e vengono introdotte le nuove tecniche.

Perché "cognitivo"?

L'aggettivo "cognitivo" sottolinea che l'approccio si concentra sul funzionamento della mente. La mente può essere vista come un sistema che elabora le informazioni in entrata e in uscita, mediando la relazione dell'individuo con la realtà esterna. L'intuizione più interessante del cognitivismo clinico emerge qui: non sono gli eventi in sé a causare sofferenza, bensì il modo in cui li interpretiamo!

Una giornata di pioggia è di per sé un evento neutro; è l'interpretazione che la persona dà a questo evento che determina la sua reazione emotiva. Ad esempio, se la persona aveva programmato di fare una gita in montagna e piove, potrebbe pensare: "Maledizione! Proprio oggi doveva piovere! Avevo programmato questa gita da una settimana!" e provare emozioni come rabbia, frustrazione e tristezza. Al contrario, se la persona aveva pianificato di lavorare da casa in smart-working piuttosto che in ufficio, potrebbe pensare: "Guarda come piove, per fortuna oggi non devo uscire per andare al lavoro!" e sentirsi sollevata per questo.

La psicologia cognitiva, quindi, focalizza l'attenzione sul modo in cui le persone rappresentano sé stesse, gli altri e il mondo circostante. Si parla di rappresentazioni che possono assumere la forma di convinzioni (beliefs, pensieri, credenze, etc.) e scopi (goals, obiettivi, fini). Possiamo dire che ogni nostra azione sia guidata dalle convinzioni che abbiamo sul mondo, su noi stessi e sugli altri e che sia diretta verso specifici scopi.

La parte "cognitiva" della terapia si concentra su aiutare la persona a divenire consapevole e cambiare quelle convinzioni che le causano sofferenza e ostacolano il raggiungimento dei suoi obiettivi; spesso si tratta di pensieri così automatici che la persona potrebbe non esserne pienamente consapevole. Ad esempio, convinzioni del tipo "se non prendo 30 a tutti gli esami, significa che sono stupido!" o "se arrossisco mentre parlo con quel ragazzo, penserà che io sia una sfigata e non posso sopportarlo!" Questi pensieri sono considerati "disfunzionali" perché sono rigidi, causano disagio e/o impediscono alla persona di perseguire i propri obiettivi.

Nella ristrutturazione cognitiva, lo psicologo aiuta la persona a prendere consapevolezza del proprio modo di pensare e, utilizzando diverse tecniche, la guida nel mettere in dubbio la validità delle sue convinzioni disfunzionali, con l'obiettivo di costruire un nuovo modo di pensare più funzionale al suo benessere. Prendendo l'esempio del ragazzo che desidera ottenere 30 a tutti gli esami, si potrebbe lavorare per costruire una convinzione del tipo: "Il voto che ottengo all'esame non riflette il mio valore o la mia intelligenza. In caso di insuccesso, c'è sempre l'opportunità di rifare l'esame."

In altre circostanze, l'approccio cognitivo si orienta verso l'accettazione, incoraggiando la persona a liberarsi da schemi di pensiero e comportamento orientati a evitare rischi a ogni costo. Ad esempio, se qualcuno ha smesso di guidare a causa della paura di un attacco di panico e delle possibili conseguenze, come un incidente stradale mortale, attraverso tecniche di accettazione si aiuta la persona a riconoscere l'impossibilità di eliminare completamente il rischio di incidente, anche evitando di guidare. Lo psicologo supporta la persona nel processo di accettazione in cui matura gradualmente la consapevolezza che, per riprendere le attività quotidiane, è necessario accettare quel minimo rischio di un incidente durante la guida, un rischio implicito che ogni automobilista affronta quotidianamente, in modo consapevole o meno. L'intento è far comprendere che i costi derivanti dal non guidare (come la rinuncia alle attività quotidiane) superano di gran lunga i benefici (ridurre la probabilità di un incidente stradale). In questo modo, si incoraggia una maggiore tolleranza al rischio e la riscoperta di una vita più piena e appagante

E le emozioni?

Nel modello cognitivo, la reazione emotiva dipende dal modo in cui la persona interpreta una specifica situazione, e quindi, sulla base delle sue convinzioni. Ad esempio, quando ci sentiamo ansiosi prima di un colloquio di lavoro, è perché pensiamo che il nostro scopo di fare una buona impressione e ottenere il lavoro sia minacciato. Oppure, proviamo paura quando, per esempio, vediamo per terra la sagoma di un serpente mentre camminiamo, perché ciò mette in pericolo la nostra sopravvivenza. Uno schema semplificato e non esaustivo delle emozioni in ottica cognitiva potrebbe essere (Trincas & al., 2021):

  • Ansia/paura: minaccia a uno scopo ritenuto essenziale/necessario all'esistenza
  • Rabbia: ostacolo al soddisfacimento di uno scopo / percezione di un danno o ingiustizia
  • Tristezza: perdita, delusione o fallimento di uno scopo importante
  • Colpa: percezione di aver causato un danno ingiusto a qualcuno o di aver violato una norma morale
  • Vergogna: ritenere o timore di essere oggetto di una valutazione negativa da parte degli altri
  • Gelosia: timore della possibile perdita dell'oggetto d'amore
  • Invidia: confronto di poteri con un'altra persona che determina senso d'inferiorità e malanimo (scopo di non essere inferiore)
  • Disgusto: percezione di una violazione dei propri confini corporei e della propria dignità
  • Gioia: percezione di raggiungimento / avvicinamento ad uno scopo importante

C'è stato lungo dibattito che cerca di rispondere alla domanda: "cosa arriva prima, il pensiero o l'emozione?". Molti pensano che i cognitivisti rispondano: "ovviamente, arriva prima il pensiero!". Tuttavia, questa è una visione troppo semplicistica della situazione, è un po' come chiedersi se sia nato prima l'uovo o la gallina.

Diverse teorie suggeriscono che di fronte agli stimoli, la nostra mente svolga una prima valutazione automatica e inconsapevole (appraisal) che può innescare un'emozione (ad esempio, paura); solo in un momento successivo subentra l'attenzione consapevole. Un esempio può rendere più chiaro il meccanismo: camminando in campagna, vediamo con la coda dell'occhio qualcosa che sembra un serpente e ci spaventiamo. Non pensiamo consapevolmente "è un serpente o no?" prima di spaventarci. La nostra reazione emotiva avviene in modo automatico e inconsapevole quando la nostra mente valuta lo stimolo come potenzialmente pericoloso, e il corpo si attiva per la lotta o la fuga. Solo in un secondo momento, guardando meglio, ci rendiamo conto che non è un serpente ma solo un ramo, e la paura svanisce.

L'idea che le emozioni siano la reazione ad una valutazione cognitiva non implica che esse non possano influenzare direttamente il nostro modo di pensare e comportarci. Ad esempio, se un giorno ci svegliamo tristi, è possibile che nella nostra mente compaiano pensieri negativi (come "sono un fallimento", "non riesco a realizzare nulla", "non c'è più speranza") e che ciò influenzi le nostre azioni (ad esempio, rimanere a letto invece di fare una passeggiata). Al contrario, se ci svegliamo di buon umore, tendiamo a pensare in modo positivo e siamo più propensi a comportarci in modo proattivo. Questo fenomeno, chiamato "mood congruity effect", si verifica con tutte le emozioni e dimostra che il legame tra emozioni, pensieri e comportamenti non è semplicemente diretto, ma piuttosto caratterizzato da una reciproca influenza.

Perché "comportamentale"?

Le ragioni perché il modello cognitivo è anche "comportamentale" ha a che vedere con due motivazioni:

  • Debito nei confronti del comportamentismo: rappresenta un riconoscimento e un collegamento all'approccio comportamentista, un paradigma teorico che si concentrava principalmente sul comportamento umano, spiegandolo attraverso rinforzi (ricompense) e punizioni.
  • Il cambiamento passa per il comportamento: l'approccio cognitivo-comportamentale va oltre il semplice aspetto "mentale" dell'individuo, includendo anche il lavoro sul comportamento. In questo modo, l'aggettivo sottolinea l'importanza di considerare sia gli aspetti cognitivi che quelli comportamentali nella promozione del cambiamento.

Infatti, non basta lavorare sulle convinzioni dell'individuo per promuovere un cambiamento autentico e duraturo, ma è necessario che il nuovo modo di interpretare la realtà passi attraverso un nuovo modo di agire. Per questo motivo, una volta che la persona è stata guidata a costruire delle convinzioni più flessibili e più funzionali al raggiungimento dei suoi obiettivi, viene spinta a modificare il proprio modo comportamento.Psicologia cognitivo-comportamentale: cos’è?

A livello teorico, l'approccio comportamentale è utile per spiegare il motivo per cui i comportamenti protettivi, come l'evitamento o la fuga dalle situazioni temute, persistano nonostante le conseguenze negative a lungo termine per la persona. Un esempio illustrativo è Michele, il quale ha sviluppato una difficoltà nei suoi esami orali universitari a causa dell'ansia da prestazione. Infatti, dopo un esame in cui ha fatto scena muta; ora, anche quando è adeguatamente preparato, Michele esce dall'aula quando è il suo turno. La domanda chiave è: perché Michele perpetua questo comportamento, nonostante ostacoli il raggiungimento del suo obiettivo di superare gli esami e laurearsi?

 

La risposta risiede nel circolo vizioso che si crea tra ansia e fuga. Infatti, il giorno dell'esame l'ansia di Michele cresce costantemente, raggiungendo il picco quando sente chiamare il suo nome. In questa situazione, la fuga determina una notevole riduzione immediata dell'ansia, fornendo sollievo a Michele e agendo come rinforzo per il comportamento. Si può comprendere che più Michele si rifugia in questo comportamento di fuga, più esso diventa automatico. Tuttavia, sebbene la fuga possa fornire un sollievo temporaneo, nel lungo periodo si rivela controproducente, poiché impedisce a Michele di raggiungere il suo obiettivo di superare gli esami e conseguire la laurea.

Le procedure comportamentali più conosciute includono l'esposizione graduale e l'esperimento comportamentale, apparentemente simili ma con scopi distinti. In entrambe, si incoraggia la persona ad affrontare situazioni temute, ma mentre l'esposizione mira a farla entrare in contatto con le emozioni spiacevoli per imparare a tollerarle, l'esperimento comportamentale cerca di mettere alla prova le convinzioni disfunzionali della persona.

Ad esempio, consideriamo una persona che ha paura di guidare e vuole superare questa paura. Dopo il lavoro cognitivo svolto sulle convinzioni che determinano la paura di guidare; si potrebbe proseguire il trattamento con un protocollo di esposizione in cui potrebbe iniziare a guidare brevi distanze, magari accompagnata dallo psicologo, per sperimentare e imparare a tollerare l'ansia legata alla guida. Gradualmente, poi si aumenterebbe la distanza percorsa e comincerebbe a guidare da sola.

D'altra parte, con un esperimento comportamentale si potrebbe incoraggiare, ad esempio, Alfredo a sfidare la convinzione che gli amici lo giudichino negativamente. Lo psicologo potrebbe concordare con Alfredo che la prossima volta che vede i suoi amici, potrebbe avanzare la proposta di andare al cinema sabato. In questo modo potrebbe verificare se la sua convinzione "se lo propongo penseranno che sono uno stupido e mi prenderanno in giro" sia fondata o meno. Se gli amici accettassero o non ridicolizzassero la proposta, Alfredo otterrebbe la prova che la sua convinzione è infondata e questo lo aiuterebbe a costruire una credenza più realistica della situazione.

In sintesi, possiamo considerare l'approccio cognitivo e quello comportamentale come complementari. Ognuno compensa le "carenze" dell'altro, potenziando così gli effetti a lungo termine della terapia. Questa sinergia tra la comprensione profonda delle dinamiche mentali e l'azione concreta nel cambiamento comportamentale costituisce la forza distintiva degli interventi cognitivo-comportamentali, offrendo un approccio completo e integrato al benessere psicologico.

PUBBLICITÀ

Scritto da

dott. Guglielmo Amato

Bibliografia

  • Beck, J. S. (2013). La terapia cognitivo-comportamentale. Casa Editrice Astrolabio – Ubaldini Editore.
  • Mancini, F., Gangemi, A., & Giacomantonio, M. (2021). Il cognitivismo clinico e la psicopatologia. In C. Perdighe & A. Gragnani (Eds.), Psicoterapia cognitiva (pp. 5-46). Raffaello Cortina Editore.
  • Nisi, A. (2020). ABC dell'ABC. Positive Press.
  • Perdighe, C., & Cosentino, T. (2021). Le procedure cognitive di accettazione. In C. Perdighe & A. Gragnani (Eds.), Psicoterapia cognitiva (pp. 267-291). Raffaello Cortina Editore.
  • Trincas, R., Basile, B., & Fadda, S. (2021). Le emozioni e i loro ingredienti cognitivi. In C. Perdighe & A. Gragnani (Eds.), Psicoterapia cognitiva (pp. 49-85). Raffaello Cortina Editore

Lascia un commento

PUBBLICITÀ

ultimi articoli su terapia cognitivo-comportamentale

PUBBLICITÀ