L’importanza di accettare le emozioni dolorose

Che ci piaccia o meno, tutti proviamo dolore nella vita o viviamo esperienze come la perdita e la separazione. Le emozioni dolorose sono in genere collegate a relazioni significative.

28 SET 2020 · Tempo di lettura: min.
L’importanza di accettare le emozioni dolorose

Che ci piaccia o meno, tutti proviamo dolore nella vita o viviamo esperienze come la perdita e la separazione. Le emozioni dolorose sono in genere collegate a relazioni significative con persone con le quali abbiamo un legame di attaccamento. Lo stesso dolore è l'esito di un sentimento di amore.

D'altronde, le persone che amiamo di più, sono quelle che ci fanno sentire più tristi nel momento in cui le perdiamo. Sono le relazioni con i legami più forti a generare vissuti come l'angoscia, la rabbia e il dolore. Tuttavia, viviamo in una società dove la gestione di emozioni dolorose fa fatica a trovare spazio

È più semplice trovare contesti relazionali (famiglia, amici, coppia) dove amore, pace e gioia sono decisamente più accessibili ed accettate delle emozioni negative. In effetti, si tratta di una rappresentazione che segue una certa logica. In alcuni contesti familiari, le emozioni sono divise categoricamente in buone e cattive. La nostra sfera emotiva non si può fondare su una sola categoria di emozioni ma necessita dell'integrazione adeguata di tutte le emozioni, anche di quelle negative. Per funzionare, dobbiamo imparare a gestire sia le emozioni positive che quelle negative.

Nell'opera di Bowlby "La Teoria dell'Attaccamento", l'integrazione delle emozioni è un topic centrale. La domanda da porsi è se l'attaccamento è un bisogno biologico fondamentale nell'essere umano, perché abbiamo costruito una cultura che spinge verso la prematura indipendenza emotiva nel momento in cui il bambino ne ha più bisogno?

Il fatto è che nelle situazioni in cui i più piccoli si ritrovano in esperienze di disagio emotivo, non vengono costruite le basi per incoraggiarli a mantenere un legame con le figure di accudimento. C'è un maggiore focus su un mero approccio "riparativo" ad un problema piuttosto che su un approccio fondato sulla relazione e la comunicazione, quando i bambini ci confrontano con i loro vissuti emotivi negativi.

La ragione dietro tutto questo è chiara: non vogliamo che i bambini soffrano e nel momento in cui soffrono, vorremmo subito eliminare la loro sofferenza. Di conseguenza, diciamo loro che non c'è nulla di cui avere paura o semplicemente che va tutto bene, di non preoccuparsi o che non c'è motivo di piangere, di essere tristi o di arrabbiarsi, incitandoli ad andare avanti, magari facendo un gioco. Insegniamo loro a sopprimere l'emozione e a dirigere l'attenzione su altro. Sebbene si tratti di modi finalizzati a minimizzare e ad alleviare il disagio di una bambina o un bambino, falliscono nel loro intento, nella misura in cui non centrano realmente il problema sottostante.

Si tratta di modalità che di fatto non accedono a quello che i bambini stanno realmente sentendo e ai loro bisogni reali. Allo stesso tempo questi approcci insegnano loro a tenersi dentro quello che provano o a negarlo completamente. Il distacco dalle proprie emozioni ha a che fare con il legame di attaccamento. Quando i bambini manifestano una paura o un bisogno, si attiva automaticamente l'attaccamento e il modo in cui il genitore risponde a questa paura o bisogno, fonderà le basi per la costruzione di questo legame. Attraverso una risposta che si rivela uno spostamento su altro, ad esempio: "Non ci pensare, giochiamo con le costruzioni", o una minimizzazione: "Non ti sei fatta nulla, non è niente", il risultato potrebbe essere quello di favorire un'indipendenza prematura che lascia i bambini incapaci di esperire pienamente le loro emozioni o di capire le reali motivazioni dietro il loro comportamento.

Il punto è che c'è un focus sul pensiero a discapito totale delle emozioni.

Tuttavia, il nostro pensare e le decisioni che ne derivano necessitano di essere guidate dai nostri sentimenti. Senza questa impalcatura emotiva non abbiamo gli strumenti adatti per il raggiungimento di una maturità affettiva. Questo ci porta a rispondere alle situazioni rispetto a come pensiamo di sentirci piuttosto che rispetto a come ci sentiamo veramente. Spesso, ci troviamo a comprare ai bambini un mucchio di cose con l'intento di soddisfare i loro bisogni. Ma usare la carta di credito con lo scopo di dare loro quello che vogliono, ritenendo sia un modo per farli felici e soddisfatti, non è la soluzione. La gratificazione attraverso beni materiali non ha effetti duraturi e non è in grado di rispondere ai bisogni emotivi dei più piccoli. In realtà, munirli di "cose" è solo un modo per negare e seppellire i loro sentimenti. Finiamo per crescere bambini incapaci di gestire la frustrazione o la necessità di rimandare la gratificazione ad altro tempo.

Il motto è: "Se ignoro, quello che sento, andrà via in qualche modo", ma di fatto quello che non capisco o sento a pieno ritorna come un boomerang su un piano fisico attraverso ad esempio la somatizzazione o il binge eating, la dipendenza da sostanze o da altri comportamenti etc. L'insegnamento che ne deriva è che le emozioni negative vanno ignorate o addirittura negate. Questo fornisce al contempo un senso vacuo di dipendenza, fornendo loro conforto attraverso un nuovo giocattolo. Non vi è alcun insegnamento su come gestire il dolore, la perdita e la separazione che sono parte della vita. La conseguenza è lo sviluppo di bambini che cadono facilmente in frustrazione, in cerca della presenza costante di nuovi stimoli e successivamente la necessità di aggrapparsi a parametri culturali ben precisi per determinare il valore di sé.

Da qui scaturisce ad esempio la ricerca ossessiva della bellezza sulla base dei canoni estetici della società per sentirsi sicuri ed accettati e questo diventa pane per lo sviluppo di disturbi alimentari, ad esempio. Per quanto siamo fatti per vivere le emozioni, necessitiamo di supporto per imparare a dare loro un nome. D'altronde impariamo la lingua madre sentendola parlare dagli adulti. Allo stesso modo, sin da piccoli, "dovremmo imparare" a identificare e tollerare le emozioni grazie alle figure di accudimento. Il ruolo della figura di accudimento è quella di sintonizzarsi con lo stato mentale ed emotivo del bambino, dare un nome alla sua esperienza, permettergli di stare nelle sue emozioni in modo che questi acquisisca la capacità di nominarle ed esprimerle correttamente. Stiamo parlando dell'attaccamento sicuro da cui hanno origine le relazioni stabili. Quando questo equilibrio viene a mancare durante l'infanzia, il bambino troverà modi alternativi per soddisfare il suo bisogno di connessione e di esperienze che confermano il suo valore personale es : le dipendenze, i disturbi alimentari.

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Scritto da

Dott.ssa Maria Teresa Caputo

La dott.ssa è Psicologa e Psicoterapeuta ad indirizzo Cognitivo-Comportamentale, iscritta all'ordine degli Psicologi della Regione Campania. Svolge la professione privatamente occupandosi di disturbi d’ansia, depressione, disturbo ossessivo compulsivo, lutto nell’ età evolutiva e nell’età adulta.

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