La dipendenza affettiva: trappole e circoli viziosi

Cosa accade quando cadiamo in una dipendenza affettiva? cosa ci trascina a fondo senza che ce ne rendiamo conto?

30 LUG 2021 · Tempo di lettura: min.
La dipendenza affettiva: trappole e circoli viziosi

Di solito cerco di stimolare riflessioni sulle diverse tematiche e far riflettere sulle tante sfaccettature dei fenomeni psicologici. Bene, sulla dipendenza affettiva mi prendo la responsabilità di dirvi si tratta di una brutta bestia!

Una dinamica di dipendenza affettiva non ha nulla di bello e di positivo se non la gioia di quando se ne esce…e nemmeno sempre a volte. La dipendenza affettiva può manifestarsi in diverse relazioni, ma è soprattutto nella relazione di coppia che dà il meglio di sé; si inserisce all'interno di una dinamica di coppia caratterizzata da asimmetria e meccanismi disfunzionali che alimentano la relazione.

La dipendenza, in generale, si distingue per uno sfrenato bisogno di una sostanza (ad esempio le droghe), di un'attività (ad esempio il gioco patologico) etc. Allo stesso modo, la dipendenza può ricondursi anche allo sfrenato bisogno di una persona; in questo caso si parla di dipendenza affettiva. Come molto spesso accade nelle dipendenze, anche nella dipendenza affettiva subentrano spesso ambivalenze e paradossi, motivo per cui è spesso così difficile lavorarci; per uno psicologo non è sempre facile sentir parlare una persona in modo onesto e profondamente addolorato della relazione che sta vivendo con un/a partner screditante e abbandonico e poi (magari a distanza di una settimana) vedere la stessa persona darsi la colpa per quanto accaduto e chiedere scusa al partner prevaricante.

Nelle dipendenze affettive subentrano spesso dei tentativi di "svuotare" gli eventi della loro coloritura emotiva, con l'obiettivo di "normalizzarli". Ecco un esempio: "alla fine anche se mi ha trattata malissimo al ristorante poi mi è sembrato dispiaciuto e comunque anche io sono una bella rompiscatole!", oppure: "alla fine è vero che mi ha offeso e mi ha gridato in faccia delle cose orrende davanti ai miei amici, però alla fine non è cattiva e fa così solo quando è nervosa, le cose importanti nella nostra storia sono altre". Questo meccanismo è molto pericoloso perché mette le persone in una continua dinamica di "tira e molla" da cui è difficilissimo uscire.

Le origini

La dipendenza affettiva ha origini nella storia di vita personale e, sebbene non sia possibile fare di tutta l'erba un fascio, a grandi linee possiamo provare a tracciarne lo schema relazionale tipico.

Generalmente, si tratta di persone che hanno appreso fin da piccole che l'amore era possibile solo sacrificando se stesse. Un esempio tipico è un genitore alcolista, depresso o malato con un bambino che si prende cura del genitore stesso sperando che, aiutandolo bene e mettendo da parte i suoi bisogni, il genitore un giorno ci sarà per lui. La persona ha imparato presto che per poter essere amata doveva mettere da parte aspetti di sé e attendere che il genitore, una volta "aggiustato" fosse disponibile. Raramente però la speranza si realizza e quello che nel lungo periodo la persona sperimenterà, sarà la disperazione del non sentirsi considerata, amata, associata a un misto di attesa, rabbia e speranza.

L'attesa del cambiamento successiva al superamento di uno o più ostacoli emotivi, è un funzionamento frequente nelle dipendenze affettive; l'esempio tipico è la "sindrome della crocerossina, più frequente nelle donne, in cui si vive anni nell'attesa che un partner alcolista o tossicodipendente o giocatore patologico smetta di esserlo perché quando smetterà di esserlo, la nostra storia sarà meravigliosa.

Si comprende però come in questi schemi relazionali si vadano delineando sentimenti di speranza, disperazione, scarsa autostima, paura dell'abbandono e bisogno di conferme, insicurezza e anche rabbia.

Altra situazione è quella di avere a che fare con un genitore presente "a intermittenza", a volte disponibile, a volte distante, giudicante o respingente. Ad esempio, una madre con disturbo dell'umore a volte amorevole e a volte arrabbiata e chiusa in sé stessa. In questi casi, il bambino non sa darsi una spiegazione e per riprendere in mano il controllo dice a sé stesso che "se fa il bravo, la mamma sarà buona". In questo modo, però, si impara ad attribuire a se stessi la responsabilità della relazione acquisendo lentamente un pensiero automatico del tipo: "se sarò buono o se sarò come tu mi vuoi, allora ti prenderai cura di me". Lo sentite il pericolo che incombe?

I 4 diversi tipi di dipendenza affettiva

Persone che si sviluppano in contesti di questo tipo, frequentemente andranno alla ricerca di relazioni compensative di relazioni simbiotiche con persone che idealizzano come l'amore della vita e il "salvatore". Tuttavia, è possibile distinguere diverse tipologie di dipendenza affettiva:

  • passivo – dipendente;
  • aggressivo – dipendente;
  • co-dipendente;
  • contro-dipendente.

Diciamo che, in generale, le prime tre tipologie caratterizzano prevalentemente le donne mentre l'ultima è più frequente nei maschi. Chiaramente però non c'è una regola fissa.

1) La forma passivo-dipendente: "tu mi salverai"

Si tratta di una forma di dipendenza affettiva caratterizzata dalla simbiosi con l'altro. Nella forma passivo-dipendente, la persona teme fortemente l'abbandono perché sa (o meglio dice a se stessa) che da sola non si sente in grado di affrontare il mondo. Avete mai avuto l'amica che non riesce a stare senza fidanzato e che da quando ha 14 anni è sempre stata fidanzata? È possibile che in questo senso sia un soggetto a rischio.

In questa forma di dipendenza, la persona, una volta che si è legata al partner vivrà per non lasciarlo scappare e quindi, si metterà completamente a disposizione dell'altro annullando o quasi, i propri bisogni. Ma a chi si legano i profili passivo-dipendenti? Non a partner "normali" per diversi motivi: prima di tutto la persona passivo-dipendente ha una storia di vita in cui non è abituata a ricevere amore, motivo per cui un partner amorevole è come se parlasse una "lingua" che non conosce; essendo abituata a non ricevere amore e attenzione e non sentendosi, in fondo, degna di amore, guarderà alle attenzioni e ai gesti di affetto con sospetto e diffidenza. Inoltre, il bisogno di conferme e di certezze del partner passivo-dipendente è così forte che tenderà ad essere molto "richiestivo" in termini di attenzioni e "prove di amore"; bisogni che vengono espressi per lo più attraverso lamentele o in modo apertamente aggressivo.

Pensiamo, ad esempio, a una donna che era arrivata a chiedere un fiore ogni giorno al partner e ad arrabbiarsi se non lo riceveva o se lui non le faceva abbastanza complimenti; con lei che definiva quanto fosse "abbastanza". Chiaramente, una persona equilibrata è altamente probabile che risponda a queste richieste crescenti e dopo qualche tempo, tende a levare le tende! E qui emerge uno dei tanti paradossi delle dipendenze affettive: si teme l'abbandono e per evitarlo si innescano comportamenti che portano dritti all'abbandono! Chiaramente le esperienze di abbandono andranno a confermare sempre di più la visione negativa di sé: "non sono amabile e tutti scappano"; "sono una bruttissima persona e tutti scappano".

Quindi, tornando al punto: a chi si legano a queste persone? A partner che hanno le caratteristiche che loro non hanno ma desiderano (esempio sicurezza, fascino etc.) e che non aspettano altro che essere adorati…sentite il brividino salire? Perché stiamo parlando di personalità narcisistiche, psicopatiche e a volte anche sadiche (un amore insomma!). Come è facile immaginare, il lieto fine è tutt'altro che dietro l'angolo in storie così...

I narcisisti, gli antisociali e i sadici sono bravissimi nel far credere di essere passionali, indipendenti e affidabili e il passivo-dipendente ha un'attrazione folle per chi incarna quelle caratteristiche che loro non hanno ma desiderano.

Finita la fase dell'innamoramento, però, le personalità narcisistiche (così come quelle antisociali e sadiche) cambiano i loro comportamenti passando dall'essere premurosi, presenti e passionali all'essere freddi, screditanti e distratti. Il partner passivo-dipendente però, temendo l'abbandono più di ogni altra cosa non è che taglia la corda e scappa ma agisce comportamenti sempre di maggiore dedizione verso l'altro sperando che torni ad essere quello di un tempo alternando, appunto, momenti di assoluto asservimento all'altra persona a momenti di protesta impotente e lamentosa (che non sfocia però nella rabbia perchè arrabbiarsi o esprimere i propri bisogni esporrebbe al rischio di abbandono).

A questo punto gli scenari possibili sono due: il partner passivo-dipendente viene lasciato trovandosi a sperimentare l'abbandono che tanto temeva oppure il circolo vizioso si alimenta fino all'estremo annullamento della persona che può arrivare ad accettare tradimenti prevaricazioni e persino violenze. Già. perché non è detto che un partner narcisista sia disponibile a rinunciare a una persona che lo adora ed è sempre disponibile a assecondare i suoi bisogni, per questo non chiude la relazione.

2) La co-dipendenza: "io ti salverò"

Il termine co-dipendenza nasce all'inizio degli anni ottanta nel contesto dei gruppi di auto mutuo aiuto di uomini alcolisti ed è un termine che delinea le caratteristiche delle compagne di questi uomini. Queste donne mettevano in atto dei comportamenti ambivalenti in cui da un lato c'era il desiderio di salvare i compagni dall'alcolismo ma dall'altro lato comportamenti controllanti e di aperta delusione; in altre parole, sacrifici e vicinanza a tutti i costi ai compagni ma anche aperta frustrazione associata a comportamenti controllanti (esempio sentire se l'alito odorava di alcol, controllare gli scontrini per vedere se erano stati spesi soldi nei bar etc) che generavano nel compagno ulteriore frustrazione che, a sua volta, si trasformava in senso di colpa nella compagna che sempre di più si affrettava a rispondere con maggiore vicinanza. Si tratta chiaramente di un circolo vizioso.

La co-dipendenza è nota anche con il termine più colloquiale di "sindrome della Crocerossina" (generalmente la co-dipendenza riguarda le donne, ma non è una regola) in cui c'è una persona che si lega a un'altra caratterizzata da un funzionamento problematico e che intende "salvare".

Si innesca così quel meccanismo di attesa e speranza; quell'illusione del tipo: "se io ti salverò da questo dolore, allora potremo essere felici". Cosa porta ad entrare nel tunnel della co-dipendenza? Abbiamo visto che il co-dipendente si lega a chi ha bisogno di aiuto. Ciò che attrae il co-dipendente sta proprio nella condizione di bisogno in cui si trova l'altra persona. In queste persone, subentra l'illusione salvifica che grazie al proprio amore l'altro si salverà. C'è dunque una vittima che deve essere salvata (il compagno) e un salvatore (la persona co-dipendente).

Tuttavia, le persone molto sofferenti che chiedono di essere salvate (ad esempio persone tossicodipendenti, alcoliste ecc), spesso hanno dei tratti di personalità disfunzionali che è quasi impossibile modificare con il solo aiuto del partner; anzi, siccome le caratteristiche di personalità e i comportamenti disfunzionali come la dipendenza nascono comunque come una risposta, seppure patologica, a un bisogno di qualche tipo finalizzato alla sopravvivenza (per non sentire il dolore, per illudersi di avere il controllo ecc), è altamente probabile che tali comportamenti continuino a perpetuare e aumentare nonostante gli sforzi del partner.

Questa dinamica è nota come triangolo drammatico: vittima – persecutore - salvatore (Karpman, 1968).

I ruoli nel triangolo ruotano: il partner che deve essere aiutato (vittima) vede nella "crocerossina" la salvatrice che risponde alla richiesta di aiuto fin quando i tratti patologici della vittima non prendono il sopravvento stimolando, ad esempio, una irrefrenabile voglia di bere che viene agita. La "crocerossina" esprime tutta la sua rabbia e la sua delusione per questo comportamento e la vittima vedrà nella "crocerossina" non più la salvatrice ma la "carnefice" che lo giudica e lo critica. Così la vittima diventa carnefice e il carnefice diventa vittima. Però, se la "crocerossina" prova a lamentarsi, l'altro reagisce con una ferita vittimistica riconoscendo nel partner il carnefice (minacciando l'abbandono) e allora la "crocerossina", terrorizzata dall'abbandono, reagisce prostrandosi e l'altro nel momento in cui sceglie di non abbandonarla diventa salvatore. Bello eh? Immaginatevi questa danza infernale che si protrae per anni, anni, anni e anni.

L'unico modo per interrompere il giochino è romperlo chiudendo la relazione a meno che il partner problematico scelga di farsi curare (seriamente) e la "crocerossina" anche. Con un aiuto professionale forse, e dico forse, la dinamica può rompersi.

Altro paradosso: se per caso il partner vittima desse segni di miglioramento come reagirebbe "la crocerossina"? Male! Perchè vedrebbe nel miglioramento, il rischio che il partner possa uscire dallo stato di bisogno e quindi possa non aver più bisogno di lei…abbandonandola.

3) La forma aggressivo-dipendente: "tu non sei capace di salvarmi"

Questa forma, sebbene abbia radici simili alle altre due, si esprime in modo diverso, quasi opposto.

Abbiamo visto come la storia di vita della persona con dipendenza affettiva si caratterizzi per vissuti di profondo dolore, solitudine, tristezza e rabbia per l'abbandono.

In questa forma, questi vissuti vengono scaricati sul partner a cui si intende far subire ciò che la persona ha dovuto subire in prima persona nella sua vita. L'altro, in altre parole, diventa un capro espiatorio. Ma a chi si lega il partner aggressivo-dipendente? Eh no, stavolta direi che il narcisista non ci sta a farsi trattare male! Invece un partner masochista e dipendente (co-dipendente o passivo) è già più probabile.

Nella forma aggressivo-dipendente, la dipendenza non è verso un partner salvifico o da salvare ma la dipendenza si sposta verso il legame in sé: il terrore della solitudine spinge il dipendente ad accontentarsi scegliendo il partner "meno peggio" che sul piano emotivo non stima e non ama ma gli dà una qualche garanzia di controllo e sicurezza. L'emozione che prevale è il disprezzo: verso il partner per non essere mai ritenuto all'altezza delle situazioni e verso sé stessi per restare in quella relazione nonostante tutto.

Mi viene in mente una coppia che avevo incontrato tempo fa e a cui vorrei accennare per fare un esempio: Maria e Giovanni (i nomi sono chiaramente di fantasia).

Maria appariva come una donna molto trascurata; decisamente sovrappeso, non curata nell'aspetto fisico e nell'igiene personale, molto più anziana di Giovanni. Giovanni un uomo remissivo e bloccato sul piano emotivo, ultimo figlio dopo numerose sorelle. Chiedono una consulenza per ridurre i loro livelli di conflitti che hanno raggiunto ormai livelli per loro intollerabili. La cosa che mi colpisce in questa coppia è proprio la rabbia espressa da Maria nel dire e rimarcare che Giovanni "non fa niente a casa", "quando fa qualcosa la sbaglia" e "passa la vita a defilarsi dalle cose importanti". Ascoltando lui, emerge una forte emozione di impotenza associata a modalità comunicative passivo-aggressive: "quando faccio qualcosa per aiutarla, non va mai bene quello che faccio; ci provo ma ogni volta vengo ripreso e aggredito perché la mia modalità non va bene". Lei replicava: "se tu le cose le facessi bene invece di farle male, io non ti aggredirei".

Il punto in tutto ciò era che un modo ideale di fare le cose, per lei non esisteva; qualunque cosa Giovanni facesse per lei era qualcosa di sbagliato che veniva sottolineato con rabbia e denigrazione. Giovanni, dal lato suo, con le sue ansie, le sue paure (e una storia familiare drammatica alle spalle costellata di abbandoni) l'unica modalità che riusciva a trovare per rispondere era quella passivo-aggressiva in cui alternava momenti di obbedienza cieca a momenti di lamentela e piccoli dispetti.

In situazioni tipo questa, il conflitto è la regola ed è funzionale a entrambi a mantenere la relazione: al partner aggressivo-dipendente per esercitare un controllo, al partner passivo-dipendente per non perdere la relazione. Chiaramente anche casi come questi sono un bel casino! Non è facile uscirne e spesso non è possibile se non con la rottura della relazione.

4) Il contro – dipendente

Il meccanismo contro-dipendente è una forma di dipendenza che si esprime però con il suo opposto (da qui il nome contro- dipendenza) tanto che agli occhi esterni è quasi difficile associare questi soggetti a persone dipendenti.

Nel profilo contro-dipendente la persona evita ogni legame scomparendo nella relazione e rendendosi affettivamente inaccessibile. Nella storia personale di queste persone spesso ci sono di solito, traumi, abusi e abbandoni precoci spesso molto gravi. Così, il bambino inconsapevolmente arriva a dirsi: "se le relazioni esterne sono così dolorose, è necessario che impari a essere autonomo affettivamente e bastarmi a me stesso". Questa è chiaramente una semplificazione ma serve per chiarire la dinamica personale alla base della contro-dipendenza.

La differenza fra il dipendente affettivo (in generale) e il contro-dipendente è che il primo ha in qualche modo avuto la percezione di sentirla la presenza del genitore; discontinua, ambigua, intermittente ma comunque tangibile; al punto da dare speranza. Il contro dipendente ha sperimentato un genitore che non c'è, non è accessibile, non è disponibile, è anaffettivo, talvolta un genitore che è, più o meno diretto, del un trauma che il bambino vive ma che non difende, non tutela, non protegge.

Mi viene in mente Alberto (solito nome inventato), un uomo che ho seguito non per una psicoterapia ma per una questiona legata alla sfera lavorativa. Nel colloquio emerse una storia di vita caratterizzata da una madre depressa, anaffettiva e screditante, spettatrice silenziosa degli stupri che una persona di famiglia agiva sul piccolo Alberto.

Alberto aveva sviluppato una personalità di tipo narcisistico con meccanismi contro-dipendenti in cui, nonostante le numerose storie di sesso, non lasciava a nessuna persona la possibilità di avvicinarglisi emotivamente e quando sembrava possibile la allontanava con derisioni e tradimenti.

Il distacco emotivo diventa una strategia di salvezza che consente alla persona di costruire un "falso sé" dove non ci sono bisogni emotivi legati agli altri ma solo la convinzione di bastare a sé stessi.

Questi bambini si sono vergognati tanto per le loro fragilità e richieste di aiuto, lette dai genitori some indegne, ridicole e inadeguate. In personalità così, l'uso di sostanze può essere una frequente deriva.

Lavorare con i contro-dipendenti è molto difficile, prima di tutto perché raramente chiedono aiuto e, in seconda battuta, perché quando lo fanno, accade normalmente perché si sentono depressi a causa delle disconferme che ricevono dal mondo esterno (un narcisista quando non viene adorato spesso crolla).

Chiaramente però, lo psicologo è un altro da sé e quindi, come avviene in ogni relazione significativa, la persona tenderà ad agire meccanismi di allontanamento e screditamento per non "correre il rischio della relazione" rendendosi inaccessibile e resistente.

Spunti di riflessione

Vi siete riconosciuti o riconosciute in qualcuno di questi profili? Fate una riflessione su quanto la relazione che state vivendo effettivamente vi soddisfi. Se si tratta di una relazione caratterizzata da vissuti emotivi di rabbia, ansia, costante paura di sbagliare e senso di inadeguatezza, perché siete ancora lì?

A volte si vedono nei beni materiali (ad esempio la casa) ostacoli che rendono impossibile rompere la relazione. Ma è davvero così o è un alibi che ci stiamo costruendo per non dire a noi stessi che temiamo di non farcela ad affrontare una rottura? E se ci sono dei figli, siamo sicuri che la dinamica familiare a cui assistono tutti i giorni sia funzionale per loro? I figli hanno bisogno di sicurezza, accettazione e serenità; due genitori in una relazione di dipendenza possono garantire tutto questo?

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Scritto da

Dott.ssa Luisa Fossati

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Bibliografia

  • Borgioni, M (2017). La deriva controdoipendente come deriva del nostro tempo. Da persona a persona: Rivista di studi rogersiani. Pp. 73-78.
  • Borgioni, M. (2015). Dipendenza e controdipendenza affettiva: dalle passioni scriteriate all'indifferenza vuota. Roma: Alpes Italia.
  • Norwood, R. (1985): Donne che amano troppo. Milano: Feltrinelli.
  • Karpman, S.B. (1968). Fairy Tales and Script Drama Analysis, in Transactional Analysis Bullettin, vol VII, n. 26, pp 39-43.

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Commenti 2
  • Francesca Di Naro

    Dottoressa, sono Francesca. Vivo una condizione di dipendenza affettiva che mi sta facendo perdere il desiderio di vivere. Mio padre era alcolista e mia madre, mamma depressa e attenta ai bisogni di mia sorella maggiore che era piuttosto turbolenta. L'uomo che ho incontrato, nel contesto matrimoniale per di più, non è aggressivo fisicamente ma in modo subdolo provoca e genera in me reazioni molto aggressive. Mi ha isolata nel tempo dalle mie amicizie e dalla famiglia. È impositivo e ho timore di dire la mia perché prende ogni considerazione sul piano personale e non c'è via d'uscita nella comunicazione. Ho provato più volte con dolcezza a chiedergli di parlare dei nostri problemi di comunicazione, ma non ascolta e non è disponibile ad un dialogo. Sa solo provocarmi. Alla provocazione rispondo con rabbia e dolore e il problema divento io e la mia reazione. Che tipo di dipendenza è la mia? Vorrei capire per dargli un nome. La ringrazio anticipatamente

  • Laura Mantrici

    Tutto molto giusto, mi trovo credo nella fase di passivo dipendente da tre anni e mezzo. Non riesco ad uscire da questo circolo vizioso. La testa lo ha ben chiaro, il cuore non lo accetta. Il problema è che nel pratico, il distacco forzato da me scelto ora provoca dolore e malessere fisico ( depressione ansia irrigidimento muscolare) una continua sensazione di mancanza di qualcosa come fosse qualcosa che quando c’ è mi calma….senza sto malissimo. Lo associo se pur mai provato come un drogato senza la sua droga…. Come posso aiutarmi, sto lottando ma non ci riesco. Soffro tantissimo

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