Vado subito al dunque senza tanti giri di parole, da circa 5 anni ormai, non riesco più a vivere serenamente, tutto mi sembra inutile e privo di significato.
Mi spiego meglio, prima di questo periodo, una normale partita di calcio tra amici, lo sguardo della ragazza che mi piaceva, uscire con gli amici di una vita e perfino andare all'università riuscivano a strapparmi un sorriso, riuscivano a farmi provare qualcosa.
All'opposto eventi tragici come la morte di mio nonno, mi toccavano nel profondo e sentivo del dolore.
Da circa cinque anni questo non avviene più, ogni evento che mi succede non mi tocca minimamente, scivola via nell'indifferenza, in poche parole non provo più niente e ogni giorno mi sembra sempre più inutile. Ormai non sorrido ne piango da tempo immemore e questo mi sta distruggendo.
Penso spesso alla morte, ho iniziato a fumare, a bere, a drogarmi per cercare nuovi stimoli, ho vissuto avventure di una notte, sono andato in vacanza all'estero per sperimentare cose nuove ma niente, non c'è stato niente che mi abbia minimamente mosso.
Tutte le relazioni, amorose e non che ho avuto si sono concluse in malo modo e quasi sempre a causa della mia indifferenza e del mio disinteresse, e non ci sono problemi familiari alle spalle, la mia famiglia è la migliore che si possa desiderare, non mi hai fatto mancare niente e io ho sempre portato a termine i miei "compiti" da bravo figlio (diploma, laurea, lavoro ecc..) senza pressioni.
Ormai convivo con il pensiero del suicidio, ogni giorno, nella mia testa una voce mi suggerisce, sussurrando di farla finita, cerco di resistere e non so nemmeno io perché ma il volume cresce sempre di più ed è tutto talmente interiorizzato da essere diventato una routine come pensiero.
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15 MAG 2020
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E’ difficile rispondere ad un messaggio come il suo Artemio. Le cose che dice sono importanti e consigliarle qualcosa, appunto, non è facile, tra l’altro non sapendo di lei tante troppe cose. Ad esempio mi chiedo cosa sia successo cinque anni fa. E’ possibile che lei mi risponderebbe “Nulla”, oppure no, non posso saperlo. Ma anche nel caso nulla fosse accaduto di eclatante quel nulla andrebbe scandagliato. Perché c’è un mondo interno che procede insieme a quello in cui agiamo esternamente, connesso ma non sovrapposto ad esso, ed anche lì succedono miriadi di cose, almeno quante se non più che nell’altro.
Lei ha inserito il suo quesito nella categoria "depressione". Depressione evoca nei più una serie di immagini quali tristezza e lutto. E’ una verità parziale: depressione può essere anche un’assenza di qualcosa piuttosto che presenza di profonda e pervasiva tristezza. Il lutto anche può essere uno dei temi (non il solo), ma anche qui: non si deve per forza aver perso qualcuno, a volte si è perso qualcosa di se stessi. Potrei andare avanti a lungo. Quindi mi limiterò a dirle una sola cosa per non eccedere in elucubrazioni poco sapendo di lei e della sua storia.
Quello che mi prede dirle è di rivolgersi subito ad un/a terapeuta.
Uno psicologo non le chiederà il compito impossibile di far tacere la voce di cui lei parla o quello altrettanto impossibile e forse fianche pericoloso d’ignorarla, non le chiederebbe insomma di assolvere ad un compito come se non mettere a tacere quella voce fosse un difetto di buona volontà o di tempra. Parlarne con un professionista non silenzierà forse la voce di cui parla o al meno non da subito. Ma nel vuoto, come lei stesso descrive, quella voce rischia di diventare tonante, quell’unica voce rischia di acquisire le fattezze di ciò che non è e non è il caso che mai diventi e cioè una verità indiscutibile. Quella voce è discutibile e va messa in discussione: letteralmente. Metta quella voce in dialogo con altre voci: prima con quelle di un professionista e poi con altre ancora che dovessero sorgere dalla relazione col terapeuta e quindi forse anche da dentro di lei. Che si veda cosa ha da dire ad altre eventuali voci e cosa queste altre ad essa, che soprattutto che non rimanga la sola. Non aspetti oltre Artemio.
15 MAG 2020
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Buonasera, sembra che nella sua vita interna ad un certo punto sia avvenuta una rottura, forse improvvisa, repentina ed inspiegabile, forse più lenta e graduale, da cui non si è più ripreso, scivolando progressivamente verso un congelamento ed un disinteresse di natura emotiva che la rendono indifferente rispetto alle cose della vita.
Credo lei stia vivendo una condizione di grande dolore psichico
Le consiglio di farsi carico di questa condizione facendosi aiutare da uno specialista
Cordiali Saluti
Dott. Masucci A.
15 MAG 2020
· Questa risposta è stata utile per 0 persone
E’ difficile rispondere ad un messaggio come il suo Artemio. Le cose che dice sono importanti e consigliarle qualcosa, appunto, non è facile, tra l’altro non sapendo di lei tante troppe cose. Ad esempio mi chiedo cosa sia susccesso cinque anni fa. E’ possibile che lei mi risponderebbe “Nulla”, oppure no, non posso saperlo. Ma anche nel caso nulla fosse accaduto di eclatante quel nulla andrebbe scandagliato. Perchè c’è un mondo interno che procede insieme a quello in cui agiamo esternamente, connesso ma non sovrapposto ad esso, ed anche lì succedono miriadi di cose, almeno quante se non più che nell’altro.
Lei usa la parola depressione. Depressione evoca nei più una serie di immagini quali tristezza e lutto. E’ una verità parziale: depressione può essere anche un’assenza di qualcosa piuttosto che presenza di profonda e pervasiva tristezza, e mi sembra che sia ciò che ha descritto. Il lutto anche può essere uno dei temi (non il solo), ma anche qui: non si deve per forza aver perso qualcuno, a volte si è perso qualcosa di se stessi. Potrei andare avanti a lungo. Quindi mi limiterò a dirle una sola cosa per non eccedere in elucubrazioni poco sapendo di lei e della sua storia, perché di certo avrebbe molto da dire su entrambe.
Quello che mi prede dirle è di rivolgersi subito ad un/a terapeuta.
Uno psicologo non le chiederà il compito impossibile di far tacere la voce di cui lei parla o quello altrettanto impossibile e forse finanche pericoloso d’ignorarla, non le chiederebbe insomma di assolvere ad un compito come se non mettere a tacere quella voce fosse un difetto di buona volontà o di tempra. Parlarne con un professionista non silenzierà forse la voce di cui parla o al meno non da subito. Ma nel vuoto, come lei stesso descrive, quella voce rischia di diventare tonante, quell’unica voce rischia di acquisire le fattezze di ciò che non è e non è il caso che mai diventi e cioè una verità indiscutibile.
Quella voce è discutibile e va messa in discussione: letteralmente. Metta quella voce in dialogo con altre voci: prima con quelle di un professionista e poi con altre ancora che dovessero sorgere dalla relazione col terapeuta e anche da dentro di lei. Che si veda cosa ha da dire ad altre eventuali voci e cosa queste altre ad essa, soprattutto che non sia la sola. Non aspetti oltre Artemio, non affronti oltre questa cosa da solo.