Come amare ancora?
Salve,
vi scrivo per mettere nero su bianco il mio soffrire, sperando ovviamente in un ascolto attivo.
Circa quattro mesi fa, tramite un'app di incontri, conosco un ragazzo quasi mio coetaneo (siamo trentenni). Io ho concluso l'anno scorso un percorso di psicoterapia durato 4 anni, che mi ha concesso finalmente di vivere, di amare. Sono ancora supervisionata da una psichiatra per una cura farmacologica dell'ansia. Lui va da una psicologa da circa un anno, si rifiuta di consultare uno psichiatra, come suggerito, per curare stati ansiosi e ossessivi-compulsivi.
Ci troviamo, condividiamo le nostre fragilità, incluse quelle dei nostri due corpi, da subito disinibiti. Ci scambiamo vissuti, gesti, passioni. Creiamo anche un nostro lessico verbale e gestuale dell'affetto. Chiariamo già dopo poche settimane di frequentazione anche alcuni punti: lui mi dice che non vuole una relazione, che conosce già un'altra ragazza, con la quale si vede sporadicamente e senza profondità emotiva, ma con la quale non vuole chiudere, perché, appunto non vuole darmi l'esclusiva; io gli dico che è presto, che voglio continuare a conoscerlo, che la sua presenza e il suo darsi sono, per il momento, sufficienti per spingermi a continuare.
L'intensità del rapporto cresce, io non applico strategie, do affetto e lo ricevo, gli dico che gli voglio bene. Lui si sorprende, ci riflette e, dopo qualche tempo, lo vedo risoluto e sincero quando ricambia con le stesse parole.
Ritorniamo giustamente a parlare di noi. Lui ribadisce che non vuole una relazione, che ha paura, che non vuole farmi soffrire, parla confusamente di poliamore e anarchia sentimentale, ammettendo di averne un'idea chiara. Io esprimo i miei bisogni: dico che sono tendenzialmente monogama, che non credo nel poliamore, che la mia natura non mi permette di reggere più relazioni contemporaneamente. Gli dico che non voglio chiudere ora, che non lo costringo a scegliere, che sono responsabile delle mie azioni, che sono appena 4 mesi che ci frequentiamo e voglio darmi una chance con lui. Chioso chiarendo che valuterò l'evolversi della situazione, e se non ne varrà più la pena, prenderò io la mia scelta, senza istigare la sua. "Ok, vediamo insieme": questo ci diciamo. Continuiamo a volerci bene ancora per qualche settimana, ci vediamo ed è come sempre, direi anzi più intimo: abbracci, parole, esperienze, tanto affetto. Sento anche un sentore di bella abitudine, quasi una consuetudine da coppia. Soppeso questa sensazione, rifletto, decido che in questa cosa voglio restare. Al tempo stesso mi assale una domanda angosciosa: e se invece lui, percependo tutto questo, si spaventasse e fuggisse?
Accade. Piccoli segnali per messaggio, poi il confronto. Lui mi riconsegna oggetti prestati, sottolinea che non dipende da me, ma da lui, che ha una megaconfusione, e poi: "faccio quello he avresti fatto tu fra un po' ", "mi sento soffocare". Io, distrutta, esausta, dico che capisco, che per me quello è un saluto, rappresenta una chiusura, che dovrò fare tutto il necessario per affrontare la perdita, un quasi-lutto: per me è o tutto o niente, quindi declino inviti a rimanere eventualmente in contatto. Mi scende qualche lacrima, lui non ne sopporta la vista, se ne va.
Non mi/vi chiedo come superare questa ennesima perdita, ma cosa devo farne di tutto questo amore immenso che sento dentro, e che non trova approdo, che non trova fiducia.
Grazie.