"Sono insoddisfatto/a sul lavoro ma non voglio essere giudicato/a male"
Ti capita di sentirti insoddisfatto/a nel tuo lavoro ma temi di esprimerti per non essere giudicato/a negativamente? Ti capita di esplodere per poi pentirti? Scopri come evitarlo.
Mi capita spesso di sentire persone che sul lavoro non sono soddisfatte, ma per "non passare male" accettano compromessi inaccettabili.
Penso a Maura (none di fantasia) che da mesi è stanca di lavorare ore in più che non le vengono pagate, è stanca di sentirsi promesso un ruolo che per mille motivi (prima la crisi, poi la concorrenza, poi il Covid-19...) non le viene mai formalizzato; è stanca di sentirsi dire che appena possibile sarà assunta una persona per darle una mano ma non non è mail il momento; è stanca di portarsi il lavoro a casa per sentirsi dire che il problema è suo che non sa organizzarsi.
Tuttavia, quando Maura osa far presente ciò che non le sta bene, puntuale come un orologio svizzero arriva l'espressione delusa del suo capo a cui segue la romanzina in cui le viene fatto capire quanto sia ingrata a non rendersi conto di quanto l'azienda abbia sempre fatto per lei; a volte la romanzina cambia e punta più su quando Maura sia insensibile a permettersi di avanzare richieste in un momento evidente di crisi. Altre volte ancora la romanzina punta sullo spiegare a Maura come anche tutti i suoi colleghi si facciano il mazzo quanto lei senza lamentarsi oppure su quanto l'azienda voglia investire su di lei....se solo avesse la pazienza di aspettare.
Il risultato però che è sempre quello: Maura si sente in colpa, si sente male e si vergogna per aver osato parlare.
La conseguenza è che a causa della vergogna e del senso di colpa, Maura smette di ascoltare i suoi bisogni insoddisfatti (di realizzazione, di crescita, di riconoscimento), rinuncia a soddisfarli e agisce per salvare la sua immagine agli occhi del responsabile e dei colleghi.
Così non continua ad ascoltare quell'insoddisfazione che la spingerebbe a lasciare il lavoro o a pretendere un trattamento diverso, ma cerca di comportarsi in modo tale da dimostrare al suo capo che non è vero che è ingrata, non è vero che è insensibile, non è vero che è più lamentosa dei colleghi, non è vero che è impaziente.
Abbiamo lavorato insieme duramente per mettere a fuoco le trappole in cui Maura cadeva quando per "salvare la faccia" rinunciava alla sua soddisfazione, alla sua gioia e alla sua realizzazione. Spesso accade che l'idea di essere etichettati come "sbagliati" ci fa talmente paura che perdiamo completamente di vista i nostri bisogni.
Così ci si illude che la conferma sociale ci faccia sentire soddisfatti mentre in realtà ciò che accade è che la nostra insoddisfazione rimane ma non ce ne rendiamo conto.
Non è stato facile per Maura ma alla fine ha messo a fuoco che "salvare la faccia" per non essere mal giudicata non la rendeva felice, fare ciò che desiderava sì.
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Carissima dottoressa, leggendo il suo articolo, mi sono sentito "capito". Lavoro in un ristorante, dall'agosto 2017. E ho iniziato, non sapendo svolgere questo mestiere, ma mi è stata data un'opportunità. In questo arco di tempo, avendo bisogno di lavorare, ho accettato i compromessi (contratto che non rispetta nulla) del datore di lavoro creando disordine e insoddisfazioni, nel mio lavoro. La cosa migliore E quella di cambiare. Ogni volta, mi blocco, non sapendo cosa cercare. Grazie per la sua gentile e cortese attenzione. Massimiliano