Le emozioni primarie

In questo articolo saranno trattati alcuni meccanismi relativi al funzionamento delle emozioni primarie: a cosa servono? Come funzionano? Come si gestiscono?

20 OTT 2016 · Ultima modifica: 6 MAG 2019 · Tempo di lettura: min.
Le emozioni primarie

Le emozioni sono un qualcosa di molto potente che tra gli esseri umani riscuote grandi amori e grandi odi. Grandi amori perché sono proprio le emozioni che danno colore alle esperienze che viviamo; grandi odi perché il colore che danno non è sempre così piacevole.

Un conto, infatti, è sperimentare la gioia di un incontro, di una sorpresa, l'ebrezza che sentiamo quando siamo innamorati o quando raggiungiamo un successo; un conto è sperimentare la tristezza che viviamo quando ci sentiamo esclusi, quando sperimentiamo un fallimento, o, addirittura, quando viviamo la perdita o il lutto di una persona cara.

Per molti anni ha dominato, in Europa (e non solo), una visione dualistica della mente contrapposta agli istinti in cui le emozioni venivano viste come una sorta di interferenza alla razionalità. Ma perché nella storia c'è stata tutta questa diffidenza e a volte anche ostilità per la dimensione emotiva? Per due motivi sostanziali:

1. Perché le emozioni sono difficilmente controllabili. La ragione non ha mai ottenuto grandi successi nel dominare le emozioni; e ciò che non è controllabile, non è prevedibile e ciò che non è prevedibile spaventa.

2. Perché mandano messaggi "scomodi" dove per scomodi si intende in controtendenza rispetto agli imperativi morali dei vari periodi storici. Tanto per fare un esempio, prendiamo i sette vizi capitali: superbia avarizia, lussuria, invidia, gola, ira e accidia; quattro hanno a che fare con la sfera emotiva (su lussuria, invidia, ira e accidia, e anche sulla gola, volendo si può parlare...).

Partiamo dal primo punto. Se le emozioni e la ragione facessero a braccio di ferro, vincerebbero senza ombra di dubbio le prime; le emozioni, infatti, sono programmate per prendere il sopravvento sulla razionalità.

C'è un vantaggio evolutivo in questo, non è un bug del sistema!

Pensiamo ai nostri antenati che a un certo punto incontrano un serpente o un orso o un altro animale diversamente docile: la paura che ne deriva è pervasiva, prende il sopravvento e attiva un comportamento (automatico) di fuga. Tutto in un attimo. In altre parole, la paura è pensata per farci scappare e permetterci di salvarci la vita quando ci piomba addosso un pericolo (anche l'immobilizzarsi è un comportamento innato connesso alla paura che si attiva in quelle situazioni in cui la fuga non è possibile o non è la soluzione più vantaggiosa).

La paura è un'emozione primaria ossia, indipendente dalla cultura (un volto impaurito sarebbe riconosciuto come tale in ogni parte del mondo) finalizzata alla sopravvivenza della specie. Altre emozioni primarie sono:

  • gioia: ci informa che la situazione che stiamo vivendo è positiva per noi e ci stimola a preservarla o mantenerla; inoltre avvicina le persone e favorisce la cooperazione;
  • tristezza: ci informa che stiamo vivendo una situazione di separazione, perdita, speranza infranta, fallimento; è programmata per farci ritirare prendendoci il tempo per riprenderci da un evento negativo ed è programmata anche per chiedere supporto agli altri, pensiamo al comportamento del piangere che attiva un comportamento di cura nell'altro;
  • rabbia: ci informa che i nostri confini sono stati violati e stimola al combattimento e all'auto difesa;
  • disgusto: ci informa sul fatto che qualcosa può essere nocivo per il nostro organismo e quindi potenzialmente mortale.

Quello che hanno in comune le emozioni primarie è che ci informano su cosa sta accadendo e su cosa fare (la spinta all'azione per distanziarsi o meno da una situazione a seconda delle conseguenze per la nostra integrità e il nostro benessere è insita nelle emozioni primarie).

Questo è il ruolo evolutivo delle emozioni: informarci su cosa è nel nostro interesse e stabilire uno scopo da raggiungere predisponendoci all'azione. Il come farlo è compito della ragione. Infatti, sebbene le emozioni primarie siano programmate per spingerci ad agire, non sempre il comportamento automatico è quello migliore e per questo c'è bisogno di un altro livello di valutazione che è la ragione.

Quindi, l'emozione ci informa su cosa è nel nostro interesse e ci predispone all'azione; la ragione ci consente, in molte situazioni in cui la nostra vita non è in pericolo imminente, un ulteriore livello di valutazione che ci permette di scegliere come raggiungere al meglio ciò che è nel nostro interesse. Pensiamo, ad esempio, a un capo che sul lavoro ci fa arrabbiare. L'istinto sarebbe quello di allontanarsi dalla situazione stressante; tuttavia il bisogno di stabilità economica può spingerci a non agire comportamenti di fuga immediati ma ci fa restare perché il fatto di restare soddisfa altri bisogni di tipo economico (alla lunga, tuttavia, restare in una situazione che genera rabbia e tristezza può essere molto nocivo per le persone in termini di salute psicofisica; si pensi alle varie gastriti, coliti, orticarie, insonnie ecc).

Così come vivere in una famiglia caratterizzata da dinamiche vessatorie, giudicanti o, addirittura, violente. L'emozione (la paura, la rabbia, il dolore del non sentirsi accuditi) spingerebbe a fuggire via. Purtroppo però, possono esservi fattori percepiti di ostacolo (come il fattore economico, specie se si è minorenni) che razionalmente impediscono di allontanarsi. Il risultato può essere che per "sopravvivere", alla lunga, il cervello metta quelle emozioni da qualche parte per non farle sentire con il rischio però che poi però possano esprimersi come sintomo (attacco di panico, fobia, disagio psicosomatico ecc).

Emozione e ragione, quindi, non sono in contrapposizione ma hanno compiti diversi e sono complementari.

Per questo motivo è importante un equilibrio tra le due, cosa tutt'altro che semplice! Infatti, uno sbilanciamento sul versante emotivo può avere come conseguenza il mettere in atto comportamenti finalizzati a soddisfare un bisogno che però avranno conseguenze negative (sono tutte quelle situazioni in cui si fa qualcosa di impulso per poi pentirsi), uno sbilanciamento sul versante della razionalità rende le persone meno efficaci nel valutare ciò che è nel loro interesse e che va nella direzione del loro benessere (pensiamo a tutti quegli imperativi a cui ci si adatta perché è logico fare così: scegliere lavori che non si amano, sposarsi perché ci si aspetta che ci si sposi dopo una certa età, magari con quella persona, quando in realtà non si ha intenzione di farlo, non esprimere mai rabbia e malessere quando si è prevaricati per paura di compromettere un rapporto ecc). Si tratta di un equilibrio difficile in cui occorre imparare a regolare sia la dimensione emotiva che quella razionale.

Le emozioni ci informano di qualcosa, tutte. Pertanto non esistono in sé emozioni positive e negative ma la società qualcuna l'ha sicuramente penalizzata più di altre. Senza fare nomi: la rabbia (soprattutto nelle donne), la paura (sopratutto negli uomini) e la tristezza (democraticamente ammonita fra i due sessi) non hanno riscosso sempre tutta questa simpatia a livello sociale.

Frasi come "le bambine buone non si arrabbiano", "i maschietti non devono avere paura", "la nonna non vorrebbe vederti piangere" (al suo funerale…), "non devi essere arrabbiato con il fratellino" (anche se in questi casi spesso l'emozione è la gelosia che è già più complessa e che tratterò in un altro articolo) sono finalizzate a inibire un'emozione (attraverso un giudizio più o meno implicito) e quindi indurre qualcuno a non ascoltare un segnale che lo sta informando di qualcosa. Lo stesso accade per i messaggi impliciti: se imparo che quel contesto familiare non mi accudirà, metterò da parte il mio bisogno di accudimento e lo trasformerò in qualcos'altro.

I bambini, quando ricevono un ammonimento da una figura di riferimento, si trovano a dover compiere una scelta molto, molto difficile: rimango fedele alla mia rabbia nei confronti del mio fratellino (pena l'abbandono di mamma) oppure mi convinco di non essere arrabbiato (così ricevo l'approvazione della mamma)?

Indovinate per quale opzione optano i bambini? Già, perchè oltre ad essere programmati alle emozioni siamo programmati anche per soddisfare il bisogno di accudimento e dipendenza da una figura di riferimento com'è tipico dei mammiferi. In questo modo, però, le persone fin da piccole sono abituate e imparano a trasformare i messaggi emotivi in qualcos'altro con la conseguenza che i comportamenti che ne derivano non sempre sono azzeccati.

Se apprendo che provare rabbia è sbagliato, quando sentirò la rabbia mi convincerò (a livello inconsapevole) che quello che sento è sbagliato e tenderò o a negarlo o a trasformarlo in qualcos'altro.

Il caso

Ricordo un cliente che ho seguito qualche anno fa. Un uomo di 38 anni, molto affabile, con un'espressione del viso spesso sorridente e bonaria.

Mi colpirono molte cose di lui tra cui: la sua struttura fisica esilissima e il fatto che quando mi parlava degli episodi relativi alle sue interazioni con persone con cui aveva a che fare (colleghi, parenti, amici, compagna) aveva la tendenza ad apparire molto adattabile e a "lasciar correre". Il disagio che mi portava, però, era legato ad alcuni momenti che lui definiva di black-out in cui, in situazioni in cui si sentiva prevaricato (anche molto piccole come una mancata precedenza) si sentiva completamente sopraffatto dalla rabbia e agiva comportamenti pericolosi e, spesso, privi di logica (ad esempio minacciare fisicamente le persone anche con una fisicità molto più pronunciata della sua che, come dicevo, era molto esile).

Quello che emerse nella storia della persona fu quanto, fin da quando era piccolo, sua madre non avesse mai ammesso nessun tipo di sentimento riconducibile alla rabbia. Anche nei momenti di prevaricazione subiti dalla persona, l'atteggiamento della madre era quello di giustificare gli altri (o comunque incitarlo a perdonarli) delegittimando qualunque sentimento di rabbia etichettato come sbagliato. Questa dinamica si verificò anche quando il mio cliente scoprì di essere stato tradito dalla precedente compagna. Anche in quel caso la madre delegittimò la sua rabbia incitandolo al perdono.

Questa impossibilità di prendere contatto con la rabbia lo aveva portato, negli anni, a raccontare a se stesso (in modo inconsapevole) che la rabbia che provava non era mai legittima. Quindi la prima strategia era quella di giustificare gli altri e dire a se stesso che non c'era motivo di arrabbiarsi (adattarsi agli altri). Tuttavia, quando questa strategia non funzionava (ad esempio perché succedeva tutto rapidamente oppure perché aveva davanti sconosciuti e quindi meno informazioni da utilizzare per argomentare la giustificazione di un comportamento di prevaricazione), esplodeva. Il non poter sentire la rabbia, aveva avuto due conseguenze sulla persona: la difficoltà a riconoscere le situazioni di prevaricazione (si adattava) e la difficoltà a regolare la rabbia (regolare qualcosa che non si conosce è difficile).

Lavorammo insieme, con successo, proprio sul sentire la rabbia, riconoscerla e gestirla.

Conclusioni

E quindi con queste emozioni cosa ci si fa? Il consiglio è quello di imparare a riconoscerle il meglio possibile perché riconoscendole abbiamo informazioni sulla situazione che stiamo vivendo e siamo consapevoli di come ci sentiamo. Più elementi abbiamo a disposizione per valutare una situazione, più strumenti ci sono per pianificare una strategia di azione.

Bibliografia

  • Damasio, A. (1995). L'errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano. Milano: Adelphi.
  • Greenberg, L. S., & Paivio, S. C. (2000). Lavorare con le emozioni in psicoterapia integrata. Roma: Sovera Edizioni.
  • Rogers, C. (1994). La Terapia Centrata sul Cliente. Firenze: G.Martinelli.

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Scritto da

Dott.ssa Luisa Fossati

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