Empatia: i pro e i contro

Essere empatici verso un'altra persona significa riuscire a "mettersi nei suoi panni" e provare quello che l'Altro prova....

14 MAG 2019 · Tempo di lettura: min.
Photo by Josh Calabrese

Si sente spesso dire che essere empatici è una capacità che contraddistingue le persone sensibili e intelligenti. Questo è vero, ma bisogna aggiungere alcuni spunti di riflessione.

Essere empatici verso un'altra persona significa riuscire a "mettersi nei suoi panni" e provare quello che l'Altro prova. È una sorta di strumento comunicativo che permette non solo di identificarsi con chi abbiamo di fronte, ma anche di potersi "mettere in contatto" con ciò che l'Altro sta provando in quel momento. In questo senso, essere empatici è un requisito fondamentale per avere relazioni significative. Pensiamo solo alla "sintonizzazione affettiva" della madre con il proprio bambino quale requisito essenziale per una relazione sufficientemente buona e rispondente ai bisogni primari del bambino, oppure all'empatia nella leadership o nelle relazioni amicali e sentimentali in generale. L'empatia è sempre necessaria e presente.

Ciononostante, il concetto di Empatia è molto più complesso di ciò che sembra e si possono trovare diversi "livelli" di essa, sia nel senso del "difetto" (sentire troppo poco) sia nel senso opposto dell' "eccesso" (non sentire nulla). Quando la capacità empatica non è adeguatamente modulata (e quindi assume significati psicopatologici o pseudo tali) si assiste a un'aberrazione della relazione che può portare, clinicamente, a personalità di tipo psicopatico/antisociale da una parte (con mancanza di rimorso, di gratitudine, ecc) a personalità di tipo dipendente/masochistico dall'altra (altruismo patologico, annullamento di Sé, ecc..).

Senza nulla togliere alle implicazioni morali e sociali che un'assenza di empatia procura, la seconda modalità (quella per "eccesso") contiene, a mio avviso, un grado di sofferenza maggiore per chi la sperimenta.

Nel caso di "empatia per eccesso", l'insidia o pericolo principale è quello di "fondersi" o con-fondersi eccessivamente con i vissuti dell'Altro e perdere la propria autonomia psicologica. In psicoterapia, il terapeuta conosce molto bene questo rischio nel momento in cui si identifica troppo con i racconti del paziente, arrivando, talvolta, a farsi "sedurre", con il rischio di non essere assolutamente terapeutico per il paziente. Essere "sedotti" dagli stati d'animo (pensieri, idee, sentimenti, vissuti) di un'altra persona è possibile anche in situazioni quotidiane e può portare a "farsi portare altrove", nel senso proprio del termine sedurre (se-ducere: portare altrove) se non entrano in gioco fattori di autoregolazione o autotutelanti. Oppure pensiamo all'atteggiamento iperprotettivo o viziante nei confronti del proprio bambino qualora questi sia eccessivamente coccolato.

Le situazioni di empatia "in eccesso" sono molto diffuse anche nelle relazioni di coppia. Non a caso, nelle relazioni affettive cosiddette "tossiche" o francamente patologiche, uno dei due partner (la parte più fragile) ha spesso anche un problema personale (per vari motivi) con il sentimento dell'empatia, prova "troppo" e in modo distorto, fino a compromettere e "confondere" l'amor proprio con l'amore incondizionato per l'Altro. In tali relazioni e schematizzando molto, dall'altra parte troviamo, per la legge della compensazione, persone con scarsa empatia e desiderio di alimentare esclusivamente il proprio Ego.

Spesso, in queste dinamiche problematiche, le persone che provano empatia eccessiva utilizzano, paradossalmente, modalità distorte e a loro modo egocentriche per affermarsi, nella speranza - ribadisco paradossale - di riuscire a tutti i costi ad imporsi sull'Altro, ad "averla vinta" su un'altra persona la quale non ha la benché minima intenzione di mettersi in una relazione paritaria e reciproca.

In ogni caso, essere empatici, nel senso armonico del termine, implica non solo la capacità di sentire con il cuore ma deve necessariamente includere anche un aspetto più raziocinante, affinché divenga possibile contenere tale risonanza con operazioni di comprensione cognitiva. Così come per una madre sufficientemente buona o un terapeuta sufficientemente terapeutico, occorre non perdere mai di vista il proprio "sentire", i propri bisogni o il proprio punto di vista, proprio nel rispetto del proprio e altrui sentire. Una madre eccessivamente empatica rischia, non solo di essere ansiosa, ma di supercompensare i bisogni del figlio generando viziature immotivate; allo stesso modo, un terapeuta poco "contenitivo" rischia di diventare solo accomodante e di scarso aiuto per il suo paziente.

Alla luce di quanto detto per quanto riguarda i livelli diversi e opposti di intendere l'Empatia, è importante sottolineare che per quanto la situazione di "eccesso" sia sicuramente meno deplorevole da un punto di vista morale rispetto a quella in "difetto", le situazioni in eccesso sono sicuramente quelle che probabilmente portano a un grado di sofferenza maggiore proprio a livello intrapsichico e interpersonale. Essere empatici fa bene all'Altro solo nella misura in cui fa bene anche a se stessi.

Articolo della  Dott.ssa Sabrina Cabassi, iscritta all'Albo degli Psicologi della Liguria.

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Scritto da

Dott.ssa Sabrina Cabassi

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Commenti 1
  • Non importa

    Complimenti per l'articolo riguardo una problematica poco trattata, quella dell'eccesso di empatia, forse perché più raro rispetto al suo opposto, oppure perché non provoca danni agli altri ma solo a chi ne è condizionato.

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