Procrastinazione come sintomo di ansia generalizzata?
Buongiorno. Sono una ragazza di 21 anni, sono al mio secondo anno di università. Pur convinta della facoltà che sto frequentando (scelta dopo un anno "perduto" frequentando una facoltà non nelle mie corde), mi è ormai chiaro di non vivere in modo sereno il contesto universitario. Che si tratti di seguire agevolmente le lezioni o di preparare gli esami, provo una forte ansia relativa al mio percorso. In passato, nell'ambito del mio primo anno nella facoltà "sbagliata", imputavo il mio approccio ansioso e sfiduciato alla decisione presa, al fatto che stessi seguendo un percorso non conforme alla mia essenza (unita a questioni economiche destanti una buona dose aggiuntiva di preoccupazione). Ora, però, lo scusante della facoltà sbagliata cade.
Tuttavia, continuo a sperimentare, in ogni singola mansione attribuibile a "doveri universitari", un'assidua tendenza alla procrastinazione. Nei miei anni giovanili, non mi vedo a far altro se non studiare; pretendo dalla me pre-trentenne una laurea, funzionale poi a procurarmi (si spera) un buon posto occupazionale. Eppure, i desideri per me stessa si scontrano, giorno dopo giorno, con una motivazione latente, un impedimento all'azione la cui causa scatenante non mi è tutt'oggi pienamente chiara. Sarà mancanza di autostima, cui si legano una tendenza all'auto-svalutazione e un conseguente blocco auto-perpetrato perché tanto "non sarò abbastanza preparata/competente/valida", che pur mi caratterizzano da sempre?
Premetto che non è questo il primo aiuto psicologico che richiedo; ho due esperienze, con due psicologi diversi, alle spalle. Nel primo caso, purtroppo, il percorso non mi aveva portato alcun beneficio; dalla seconda esperienza parevo aver tratto giovamento immediato, ma poiché il percorso era regionale e gratuito, e pertanto breve, i risultati sono andati persi in maniera abbastanza repentina.
Riflettendo a ritroso sulla mia carriera scolastica, mi rendo conto che da sempre ho adottato un approccio allo studio fondato sulla procrastinazione: pur ottenendo buoni voti, se non ottimi, la mia preparazione decantata dai docenti come "eccellente" veniva puntualmente conquistata posticipando il dovere dello studio sin quando, costretta dall'assenza di tempo (solitamente il giorno prima dell'interrogazione), con non poca sofferenza dispiegavo ogni forza nel cercare di fare del mio meglio. Si può ben intuire che un simile approccio, di per sé disfunzionale e auto-degradante, diventa sconsigliabile e poco proficuo se riferito allo studio universitario. Di fatto, nella mia carriera sino ad oggi ho ottenuto voti anche molto soddisfacenti, ma mi trovo indietro rispetto agli esami che avrei dovuto sostenere.
Fornisco ancora un dettaglio a mio parere essenziale: nel periodo che intercorre tra il momento in cui dovrei iniziare a studiare e il momento in cui effettivamente mi smuovo, vivo il mio "non riuscire a studiare" con estrema angoscia e grande senso di colpa. Mi ripeto in continuazione di “essere sbagliata”, troppo debole e poco salda nei miei propositi, facilmente scalfibile dai miei stessi pensieri negativi e scoraggianti; che non è questo il modo giusto di gestire le cose e che, se non opero una rivoluzione su me stessa, non potrò mai raggiungere i miei obiettivi.
Mi chiedo, allora, se le radici di questo atteggiamento chiaramente non compatibile con una quieta vita universitaria (e non) siano in realtà più profonde, e affondino in una qualche forma di disturbo d'ansia.
Chiedo scusa per la lunghezza della richiesta, la capacità di sintesi non è una mia dote e vorrei poter offrire una descrizione "ad ampio respiro" che consenta di carpire tutti i punti critici della situazione. Ringrazio di cuore chiunque vi dedichi un pò del suo tempo.