Cosa imparare da questa esperienza? Sono stato narcisista, immaturo o cas'altro?
Buongiorno,
sono un uomo di 40 anni sono separato e divorziato. Il mio rapporto coniugale si è concluso nel 2019 a seguito di un serio problema psicologico mal gestito, innescato dal mancato arrivo di un figlio e da dinamiche relazionali tra mia moglie e la madre particolarmente invalidanti. Insomma una brutta storia finita a danno di una coppia che si amava ma che non ha saputo reagire in modo coeso alla crisi, finendo con tanto dolore e con l'accettazione di alcune fragili lacune che non avevamo curato per sottovalutazione.
Questo epilogo lascia in me un grande vuoto, un'arida sensazione pur non ledendo in alcun modo i valori che io associo al matrimonio e all'importanza della donna e del suo cardine valore nella relazione di coppia
Questa premessa è solo come info storica che mi riguarda, rispetto al problema che sto per sottoporre alla vostra attenzione e che non ha una correlazione diretta, perché relativa ad un'altra relazione.
Dopo due anni da questo triste epilogo è accaduto che la relazione di amicizia che avevo con una donna (Anna) si è trasformata in qualcosa di diverso.
Premetto che la nostra conoscenza e amicizia era già esistente al tempo quando io ero coniugato.
Anna è una donna quasi mia coetanea (tre anni più grande), con una figlia adolescente avuta da una passata relazione e negli ultimi anni viveva una relazione con un compagno. Questa sua relazione era stata spesso in crisi, non erano mancati momenti di rottura e riavvicinamento fra i due, ma in generale non la si definiva certo una "relazione idilliaca". Nel periodo antecedente la mia nuova vita da uomo libero, Anna è entrata sempre più in confidenza con me. Un rapporto fatto di tanto dialogo anche come ausilio alla comprensione di alcuni passaggi di crisi con il suo compagno e anche con amici comuni. Per mio temperamento e riservatezza non amo prendere parte a sfoghi o teatrini denigratori sulle relazioni (o di coppia o di amicizia), quindi qualsiasi dialogo con amici o amiche (come in questo caso) si basa esclusivamente su riflessioni concettuali che non ledono la privacy o l'intimità di un mondo che non mi appartiene dall'interno.
Il rapporto tra Anna ed il suo compagno si sfalda e naufraga con lei lasciata inesorabilmente in lacrime malgrado fosse consapevole dell'atavica precaria relazione. Anna così passa dei mesi di catarsi, confronti e volontà a reagire a tutto ciò. Anna è una donna che malgrado l'età matura, ha sempre vissuto una fragilità funestata da un rapporto conflittuale con i genitori, quest'ultimi a sua volta in continuo opposizione tra loro malgrado il rapporto coniugale tenuto in piedi. Anna malgrado il suo valore professionale, vive una vita con l'economico supporto dei genitori e l'ausilio del padre della figlia. Non ha una vita professionale rosea, pur conducendo una quotidianità agiata.
Ad un certo punto Anna ed io entriamo in confidenze molto personali, quest'ultime mettono in luce un dialogo senza filtri basato su una naturale reciproca fiducia che fa emergere aspetti della sfera sessuale sopiti. Percepisco dunque in Anna una volontà a voler dar libertà a queste sue tendenze a questi suoi desideri di donna celati anche al suo precedente compagno. Il nostro dialogo si fa sempre più intimo, anche perché contestualmente io vivevo delle relazioni con altre donne pur con un approccio da flirt.
Iniziamo segretamente a vederci e a condividere una relazione sessuale intensa. Questa nostra relazione si manifesta fin da subito come "imbarazzante" per via della pregressa amicizia che non aveva mai dato adito a sbavature o simili. Ma fin da subito sottolineo la mia perplessità a dar seguito a questo nostro rapporto perchè ho paura che si "rovini" tutto, anche perchè oltre a non sentirmi pronto per una nuova relazione non mi sentivo coinvolto da altri aspetti che la riguardavano. In sintesi non la amo e non trovo complicità in altre cose che riguardano la quotidianità oltre a non essere d'accordo su molti suoi approcci alla vita.
La pandemia e la clausura ci rendono complici di spazi ed esperienze sempre più intime, comprendo nel tempo che il nostro rapporto è diventato sempre più aggrovigliato dalla condivisione di esperienze, ma non mancano anche le distanze e i confronti ruvidi. Trascorrono due anni in questo limbo di condivisioni parziali, non manca mai il supporto reciproco in tante cose, vengono da me azzerate "distrazioni" perchè nel frattempo Anna diventa sempre più gelosa dei nostri spazi. Anna palesa il suo sentimento per me, si dichiara senza veli ed è consapevole della mia non corrispondenza, giustificandola come naturale visto i miei trascorsi. In diverse occasioni in questi due anni tento di interrompere questa relazione sopratutto per mia volontà, perchè ne sento sempre più il peso delle mancate prospettive, della mia "povertà" nel non riuscire ad amarla, dell'ossessione sempre più invalidante verso alcuni miei spazi.
Non viviamo insieme sotto lo stesso tetto, ma spesso capita che Anna resta per qualche giorno da me. In diverse occasioni di crisi, atteggiamenti di grande fragilità vengono alla luce, Anna facilmente cade nel coinvolgimento di persone esterne pur di supportare la sua "crociata", si dispera e fa sempre di tutto pur di non interrompere questo legame asimmetrico. Lei si sente comunque amata dalle mie attenzioni, dal mio rispetto e trasparenza verso il nostro rapporto, si accontenta pur di starmi vicino ma non riesce a tenere a freno la sua ossessione per qualsiasi mio spazio. Ci si interroga spesso sul perché di questa gelosia morbosa, lascio ogni accesso alla mia privacy nella sua totale disposizione, dalle chiavi di casa al codice del mio cellulare a qualunque altra cosa riguardi la mia vita, ma non basta. Non basta perchè lei non è la mia donna, la mia compagna, la mia fidanzata. Tutto diventa per me sempre più difficile, la mia presenza permea la sua vita, la figlia si affeziona a me e percepisce questa insofferenza di ruoli, tento di stare a dovuta distanza dalle dinamiche interne ma non è sempre facile, perchè in tutto questo la supporto in molti aspetti della sua vita.
Nel frattempo però non c'è mai crisi nei momenti di intimità, il letto diventa il porto sicuro dove non ci sono ombre o disguidi.
Trascorrono questi due anni ed un bel giorno Anna esagera oltre modo con l'ennesima scenata isterica di gelosia ingiustificata... si scusa appena dopo, ma io ne sono esausto. Basta!
Prendo la mia irremovibile decisione, la prendo con parole ferme e desiderose di pace. Le chiedo di dare uno stop all'inerzia di questo nostro navigare senza meta e risorse. Lei entra nel panico, io questa volta interrompo con fermezza la comunicazione. Lei inizia a coinvolgere persone a me vicine, amici e conoscenti pur di avere un supporto a convincermi di parlarle, ma non coglie per l'ennesima volta che io odio il coinvolgimento esterno e piuttosto incancrenisce la mia chiusura. Non c'è un torto subito, non c'è qualcosa da perdonare, non ci sono processi da affrontare, c'è solo la voglia di non foraggiare un percorso mutilato di essenziali elementi. Sento un grave senso di colpa, le voglio un bene dell'anima, non c'è alcuna altra donna per cui la sto allontanando, c'è solo tanta voglia di serenità e non di "surrogati sentimenti" (parlo sopratutto per me). Le scrivo a distanza di tempo (visto le continue pressioni emotive) per chiederle di riflettere con lucidità a questa crisi perché si maturi con responsabilità questo nostro percorso e se ne comprendano i limiti e gli errori, facendosi anche aiutare da professionisti e non da interlocutori freelance che non hanno gli strumenti per inquadrare una situazione complessa e non banale.
Tutto sembra inutile, inizia ad imbrigliarsi in bugie e sotterfugi pur di azzerare questa distanza, non si rende conto delle macerie disseminate da atteggiamenti infantili e irrazionali. Perde la bussola ed io mi sento sempre più in colpa nel non fermare questo fiume di sofferenza.
Da oramai un mese siamo distanti, si sentono sempre più distanti gli echi degli amici coinvolti e di chi ha tentato invano di farle comprendere la natura fragile di tutto questo, ma le sue lacrime e la sua sofferenza la avverto seppur a distanza.
Io in tutto questo non ci sto bene, certamente non tornerei indietro, ma sento di voler comprendere sino in fondo quanta mia responsabilità ci sia dietro tutto questo, non per redimere la mia coscienza, ma per imparare una lezione al meglio e non finire per accumulare l'ennesima paura di ferire o sbagliare.
Riguardando indietro so di averle voluto un bene incondizionato, di averla aiutata in tantissime cose e di aver anche io stesso avuto tanto da lei, ma oggi mi sembra tutto sbagliato perchè tutto questo ha avuto un prezzo troppo alto e mi fa sentire terribilmente in colpa.
Se si sapeva di non avere prospettive andava interrotto fin da subito, sicuramente senza accogliere la richiesta "ma viviamo tutto questo senza pensare troppo..." ed io avrei dovuto non sottovalutare i segnali delle sue palesi fragilità. Oggi mi sento un carnefice ed ogni cosa che leggo mi sembra riportarmi a pensieri di responsabilità narcisistiche, "breadcrumbing" o peggio.
Vi chiedo una vostra riflessione in merito.
Grazie
Walter