Ennesimo quesito sul transfert
Salve a tutti. Sono una donna di trent'anni e ho intrapreso un percorso di psicoterapia da qualche mese a causa di una lunga e invalidante fase depressiva con esplosioni di ansia. La terapia mi ha aiutata, è migliorata più che altro la percezione dei miei problemi e, in parte, la capacità di reagire (su cui sto lavorando). Il mio problema principale è l'evitamento: fuga, procrastinazione, isolamento sociale, grosse difficoltà nel comunicare le emozioni. Sono una persona molto (troppo) razionale, ho bisogno di avere il controllo della situazione e di me e sono molto critica ed esigente con me stessa. Da qualche tempo ho cominciato a provare attrazione per il mio terapeuta. Ci ho messo un po' per realizzarlo, poi ho inquadrato la cosa come transfert, l'ho ridimensionata, ne ho intuito la funzione. Ma non aiuta. Sto male, mi manca, penso troppo spesso a lui e sono arrabbiata per questo, mi odio e mi sento in colpa nei confronti del mio compagno e nei suoi. Vorrei aprirmi, anche perché penso e sento che il lavoro vero cominci ora, che ci stiamo avvicinando ai nodi. Razionalmente voglio collaborare, emotivamente mi blocco. Glie ne ho parlato, dopo innumerevoli resistenze, o meglio, gli ho detto che c'è questa attrazione, l'ho definita con la sua comoda etichetta. Gli ho detto che ha evocato emozioni rimosse, ricordi, consapevolezze sulle mie dinamiche relazionali. Poi, anche in virtù di altre "emergenze emotive"" sopraggiunte, ho evitato sempre di tornare sulla questione, di dire che cosa provo, che mi fa stare male. Lui cerca di portarmi lì senza forzarmi, lo capisco, ma svicolo sempre, mi chiudo. Vedo le mie strategie di evitamento, le resistenze, ma ciò non mi permette di superarle. Ho percepito coinvolgimento da parte sua, sempre entro i confini del suo ruolo, e la cosa mi ha confusa e un po' offesa, non so come interpretarla, non riesco a ignorare la "finzione" del nostro rapporto. Sto cercando di non vivere la relazione terapeutica, mi sottraggo, non riesco ad essere emotivamente presente. In altre parole: stallo. Fa troppo male, mi vergogno, non so più chi sono, mi sento patetica e ridicola, e sto pensando di interrompere la terapia. Potrebbe essere la scelta giusta o peggiorerebbe la situazione? I miei problemi non sono risolti ma non ne sono sopraffatta come prima. Ora questo è IL problema. Che fare?