Punti di rottura

Inviata da Rosa19 · 2 mag 2024 Autorealizzazione e orientamento personale

Gentili esperti, vi scrivo perchè se ad oggi parlare delle proprie emozioni è un atto di coraggio, a volte diventa vera e propria necessità.
Sono nata a Napoli, dopo il liceo e la laurea triennale ho deciso, approfittando del fatto che lo desiderassero anche le mie migliori amiche, di proseguire gli studi magistrali in filosofia a Bologna. All'inizio è stato un vero shock anche per me, sono figlia unica ed ho sempre avuto un rapporto di quasi dipendenza (emotiva più che fisica) con i miei genitori, ma la mia dolce nonna era il tasto dolente della situazione "trasferimento" poiché sono quasi interamente cresciuta con lei. Mia madre ha esercitato la professione di infermiera per circa dodici anni mentre mio padre lavorava dalla mattina alla sera, mentre io ero con i miei nonni tutto il giorno, fino poi a rimanerci anche di notte fino a quando mamma ha smesso di lavorare e sono tornata a casa da lei.
Mi viene raccontato che spesso, da bambina, mi sentivo "abbandonata" a me stessa e perciò facevo del male a mia madre opponendomi a lei, alle sue indicazioni, cercando in tutti modi l'affetto materno che per colpa di nessuno mi è mancato, facendolo in malo modo; volevo, ad esempio, che restasse sveglia perché avevo paura che lei morisse e di restare da sola per sempre. Da adolescente, e tutt'ora a volte, non ho dormito per questo angosciante timore. Mia nonna è stata la mia seconda mamma, e quando ho deciso di andare via l'ho fatto sapendo che le cose sarebbero potute cambiare nel tempo, dunque con la promessa di ritornare spesso, anche se poi tanto spesso non ci sono tornata a Napoli. Quando sono partita (nel settembre del 2022) ero felicissima, piena di emozioni "genuine", voglia di fare, di crescere, di cavarmela da sola. Il primo anno è stato fantastico, emozionante, unico. Tornavo a casa a Napoli solo quando potevo e desideravo realmente, e ciò mi faceva sentire in pace col mondo. A Febbraio muore il mio dolce nonno, ed io torno d'urgenza a Napoli per restare accanto alla mia nonna-mamma. Ci resto relativamente poco, per circa dieci giorni, per poi tornare su e pregare ogni giorno che lei tenesse duro. L'ha fatto, ma solo per sei mesi, e solo per amore, per il mio e nostro amore. Mia nonna ci ha lasciati ad Agosto di quest'anno, lo ha fatto tenendomi la mano, chiedendomi di lasciarla andare mentre io la pregavo di restare insieme a me. E' stato il dolore più forte mai provato in vita mia. Come se l'unica paura che sentivo veramente si fosse materializzata. Sono stata inspiegabilmente forte, coraggiosa, tenendo la mano a mia madre e ai miei zii, svuotando casa di mia nonna e tenendola viva nelle mie giornate come potevo; non sapevo che il "colpo" lo avrei accusato dopo. Pochi mesi prima della sua dipartita avevo intrapreso una relazione con il mio attuale compagno, una persona splendida che è nella mia vita da sette anni, e della quale mi sono innamorata circa un anno fa (che meraviglioso mistero la vita); con la dipartita di mia nonna, il dolore dei miei genitori ed il mio fidanzato a Napoli, a settembre tornare a Bologna è stato difficilissimo. Ci sono ritornata dando con successo anche due esami (me ne mancano cinque alla laurea), eppure l'ho fatto ammalandomi dentro giorno dopo giorno, senza neanche rendermene conto. In passato ho sofferto di disturbi alimentari, per circa sette anni (dai 15 ai 22): prima la bulimia, poi il binge associato a grandi assunzioni d'alcool, poi l'anoressia nervosa. Sono arrivata ad avere 34 battiti al minuto ed un peso corporeo che non riesco neanche a condividere con voi. Col senno di poi ho deciso di voler scavare a fondo nell'intimo delle ragioni che potevano avere con-causato i miei disturbi alimentari. Un infanzia piena d'amore da parte dei miei nonni, figure naturalmente esposte allo scorrere del tempo più dei miei genitori e di chiunque altro avessi attorno; per me le mie figure di riferimento, io per loro una figlia, eppure mi ha da sempre accompagnata, accanto alla paura di non rivedere più mia madre da un momento all'altro o che mio padre non venisse mai più a prendermi per portarmi a casa, la paura che morissero i miei nonni all'improvviso. Sono cresciuta sviluppando rapporti di dipendenza con gli uomini, con le donne, con chiunque respirasse pur di non sentirmi sola. L'anoressia è capitata a cavallo di un tumore diagnosticato a mia nonna e di una relazione poco sana, per me la prima seria relazione, che non ho saputo gestire, spostando il controllo sull'unica cosa che potevo controllare: il mio corpo. Quando sono guarita lui mi ha lasciata, ed io dopo aver elaborato un grande dolore mi sono sentita libera e consapevole, pronta ad iniziare. Mi sono laureata a 24 anni senza sentirmi né in ritardo né in difetto rispetto ai miei colleghi o alle mie amiche con le quali sarei partita, che avevano raggiunto il traguardo prima di me. Nel frattempo ho preso la patente, conosciuto nuove persone, scritto libri di poesie, mi sono conosciuta ed ho fatto pace con la mia immensa fragilità, con la mia bambina interiore, il mio grande cuore, ho riconosciuto la disfunzionalità dei rapporti intrattenuti negli anni, guardato in faccia la radice dei miei disturbi alimentari. Tuttavia, lasciando casa "natia" e spostandomi lontano, alcuni di quegli scheletri sono riemersi. Il I anno a Bologna, nonostante sia andato tutto bene, ho perso circa 11 kg, dormito circa 3 ore a notte quando mi andava male, dieci ore quando mi andava peggio. Ho ripreso a bere, ma il mio obiettivo era solo uno: farcela, a qualsiasi costo, vivere da sola e dare esami con il massimo dei voti (sono sempre stata una perfezionista, senza pressioni esterne né interne - i miei genitori sono persone tranquillissime, disposte a vedermi serena e felice a qualsiasi costo- credo di esserlo più per un mio bisogno di riconoscimento); i kg li ho ripresi progressivamente per questioni di salute, fosse stato per me non l'avrei fatto (anche se, a mente lucida, ero serena forte e in pace solo con quei kg in più) riperdendone anche di più quest'inverno, continuando a ripetermi che stavo bene, che avevo saputo gestire la morte di mia nonna, che dovevo restare a Bologna per dimostrare che ce la potevo fare, che il mio ragazzo mi mancava ma non potevo dimostrarlo molto né accettarlo per paura di sviluppare dipendenza, che non ero di nuovo nel vortice dei DCA, che potevo cavarmela da sola. Ho tanto parlato in questi due anni con i miei genitori, del nostro passato, del nostro presente, del mio rapporto con loro, della mia crescita. Abbiamo rinnovato i nostri legami, con mia grande sorpresa e gioia, ma quando loro mi esortavano a scegliere per me, senza dimostrare nulla a nessuno ma solo per essere felice, io mi chiudevo in me stessa con la paura di dipendere da loro, di perdere indipendenza, del giudizio delle mie amiche che, nel frattempo, hanno iniziato a chiedermi perché iniziassi a prendere sempre più treni per tornare a Napoli piuttosto che vivermi a pieno l'esperienza bolognese; loro sono più avanti con gli studi ed hanno progetti diversi dai miei, l'una resterà a Bologna l'altra andrà in giro per la Spagna; io, dal canto mio, ho iniziato a mentire pur di non deluderle e di continuare a tornare a Napoli quando potevo. Lo scorso novembre scopro di avere il ferro così basso che avrei rischiato le trasfusioni se non mi fossi curata; torno a Napoli per le analisi e per curarmi, ritornando a Bologna poco dopo senza cambiare le mie abitudini alimentari e di vita, portando come mio solito le forze allo stremo di sé stesse, e di me. Oltre al ferro basso ho iniziato ad accusare lancinanti dolori allo stomaco per i quali mi è stata diagnosticata una gastrite nervosa acuta parzialmente di natura psicosomatica, oltre al colon irritabile. Ho iniziato, tre mesi fa circa, ad avere forti attacchi di panico, il primo dei quali durato, discontinuamente, circa otto ore. E' stato l'inferno in terra, ho creduto di morire. L'unico attacco di panico avuto fino ad allora risale alla mia maturità al liceo, ero sotto pressione e in preda al binge-eating. Dopo questo attacco sono tornata a Napoli per degli accertamenti ed oltre ad una lieve insufficienza mitralica, le extrasistoli (che c'erano, insieme ad un piccolo soffietto al cuore) erano dovute all'ansia, uno stato agitativo patologico. In concomitanza a questo accusavo dei mal di testa sempre più fitti: sbalzi di pressione (con picchi molto alti) dovuti a stress, un tilt del sistema nervoso centrale che sto risolvendo - per quanto riguarda aritmie e tremolii- con un betabloccante. Mi sono sentita cadere la terra sotto i piedi. Ho sviluppato una fortissima angoscia della morte, fino a pensare di non voler affrontare più questi giorni perché non ne trovavo il senso. Ho deciso due mesi fa che sarei tornata a Napoli quando desideravo, parlandone con le mie amiche (che non hanno accettato pienamente la mia scelta, ma mi hanno comunque lasciata libera), e dopo un iniziale periodo di attaccamento a mia madre (mamma, aiutami, sto male, ti prego fammi stare insieme a te) ho fatto i conti con la natura psichica dei miei malesseri. Mi sono detta: ma davvero sto così male dentro? e l'ho accettato. Senza sforzo, senza resistenza. Ho iniziato a camminare a testa alta, accettando il mio dolore, la mia fragilità, la mia stanchezza, la mia paura. Il mio fidanzato ed i miei amici mi sono stati accanto ed io ho iniziato a sentirmi bene; non meglio, bene. I miei valori, a parte dei picchi dovuti a mancanza di sonno e/o momenti di panico, sono rientrati tutti nella norma. I dolori allo stomaco si sono alleviati tantissimo, ho iniziato a dormire la notte, a studiare il giorno e a sentirmi viva, felice, presente a me e alla vita. Sono ritornata a Bologna dopo venti giorni circa due settimane fa, e sono stata subito male. Fortunatamente avevo dei corsi da frequentare dunque passavo tutto il tempo fuori casa per non pensare, ma la sera è stata devastante nonostante le mie amiche continuassero a ripetermi: parlane con noi, noi ti possiamo aiutare. Il dolore più grande è stato proprio questo: loro non potevano né possono aiutarmi perché non sono nè causa della mia felicità, né della mia infelicità. Ho apprezzato comunque molto. Ho iniziato a vomitare, a stare male con lo stomaco e con dei mal di testa lancinanti. Sei giorni fa sono ritornata a Napoli (con un po' di sconfitta nel cuore, mai accettando pienamente le mie scelte per paura di sbagliare) portando con me testi e materiale per la preparazione di un esame, ed ho passato una settimana fantastica pur avendo ritmi meno serrati con lo studio (per i quali non mi sono sentita affatto in colpa, abbracciando una leggerezza a me completamente nuova, o rinnovata) ecco: è arrivato il momento di tornare. Tra due mesi devo lasciare casa a Bologna perché "scadono i due anni" per contratto, le mie migliori amiche si laureano a novembre, io dovrei a Marzo per questioni di praticità e di maggiori esami da sostenere, eppure non riesco ad affrontare questo ultimo sforzo. Oggi sarei dovuta partire per Bologna, avevo trovato un treno economy a pochissimo ed ero pronta a partire, mi alzo dalla sedia per chiudere lo zaino e sistemare le ultime cose, ed ho una semi-sincope, la pressione altissima e dei tremori incredibili, pensieri angoscianti, paura. Mi poggio sul letto, riposo un po', prendo il betabloccante, cerco di respirare e mi calmo. Ora la mia pressione è ottima, respiro benissimo, la tachicardia non c'è più e mi sento lucida. Accettare la natura psichica di questi malesseri è doloroso, lo è ancora di più sapere che comunque "esistono" e cercare di lavorare per non farmi ulteriormente male. Ho spostato il treno a domani, provando un incredibile senso di colpa nei confronti delle mie amiche, un forte senso di fallimento nei confronti di me stessa, una carezza sul cuore, però, per il bene che mi voglio e per le scelte che sto prendendo, anche se dovessero essere sbagliate. La verità, dottori, è che mi manca il mio ragazzo, con il quale dovrei convivere a breve, mi manca la mia Napoli, mi manca studiare serenamente senza pressioni esterne (una delle due mie carissime amiche senza volerlo mi mette spesso pressioni, chiedendomi quando io abbia intenzione di finire, perché io non stia studiando assiduamente, non è cattiva è solo fatta così) mi manca vivere sapendo di avere la mia famiglia nella mia città, i miei amici. I luoghi, le persone, il mio mare che tanto amo. L'idea di dover tornare a Bologna, la Bologna che tanto mi ha dato, a cui ho dato tanto, anche solo per due mesi, mi fa sentire subito male. Il problema è che mi sento troppo fragile, non mi capacito del perché io non riesca ad affrontare questo ultimo step, anche se scelgo per il mio bene e la mia salute mi sento in colpa, è come tornare indietro e cancellare questi due anni, e se prova a dirmelo mia madre o qualche familiare io mi arrabbio moltissimo per poi, con aria di resa, pensare: ecco, forse sta di nuovo scegliendo lei per me? Non sono forse in grado di pensare con la mia testa? Non sono coraggiosa? Tutto questo mi sta logorando dentro. Mi vergogno, mi sento un fallimento. L'unica opzione alla quale ho pensato è tornare a Bologna solo nei periodi dove devo sostenere esami trascorrendo a Napoli il resto del tempo; eppure, c'è una parte di me che continua a ripetermi: "Stai fallendo! Le tue amiche sono lì e invece tu? Tu sei dipendente da chi ami perciò non riesci! Alzati soffri e continua!" e non sapete quanto mi fa male parlarmi in questo modo, è una vita che lo faccio ma non ce la faccio più. Ho paura che questa fragilità comprometta la mia crescita, e di non potermi mai emancipare continuamente, nonostante io a Napoli stia bene anche "da sola".
Vi chiedo un'orientamento, una linea guida, un consiglio, una carezza virtuale.
Con affetto, vi ringrazio.

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