Senso di infatuazione e di colpa

Inviata da Marica · 24 feb 2019

Salve a tutti, mi scuso per il disturbo.
Premetto che ho pensato molto prima di scrivere questa domanda, poiché ho molta paura, anzi il terrore di essere giudicata male e considerata una "persona sporca". Poi però ho preso coraggio, dopo aver percepito il bisogno di chiedere aiuto e di liberarmi da un peso che mi opprime e mi fa stare male. Ho 16 anni, a breve 17, e sono in terapia da circa sei mesi, a causa di depressione e autolesionismo. È la seconda volta che mi trovo in terapia; la prima (durata invece solo due mesi) purtroppo è stata un disastro. Lo psicologo di allora era anche uno psichiatra, mi vedeva due volte al mese, e non finiva mai di parlarmi dei suoi casi "più gravi" e disperati del mio, e mi "rimproverava" affermando che mi lasciavo troppo dominare dalle emozioni. Mi è parso una persona brava, ma molto impegnata, ed io mi sentivo rifiutata e di troppo, e soprattutto mi sentivo colpevole perché il mio, non essendo un "caso grave", non ero capace di fronteggiarlo da sola, senza infastidire nessuno. Le sedute inoltre duravano pochissimo, mezz'ora, a volte anche meno. I miei genitori, dopo quattro sedute, si sono accorti del mio peggioramento e mi hanno fatta incontrare con un altro psicoterapeuta, il secondo. È stato questi a diagnosticarmi la depressione, dopo che gli parlai dei miei pensieri suicidari, dei tagli su entrambe le braccia (ho dovuto far mettere i punti ad alcuni), della mia debolezza fisica, del mio dimagrimento improvviso dovuto alla scarsità di appetito, della perdita di interessi e della voglia di fare qualunque cosa, anche ciò che mi è sempre piaciuto, oltre che della notevole perdita di concentrazione nello studio. Il medico in questione è un uomo sulla cinquantina, forse un po' di più, è molto gentile e simpatico, e mi ha accolta in maniera completamente diversa rispetto al terapeuta precedente. Sono una persona piuttosto sola, anche la mia migliore amica si sta distaccando notevolmente da me, trattandosi di un rapporto a distanza. I miei genitori, soprattutto mia madre, mi sono vicini ma fin troppo. Mia madre è ossessiva ed esercita un controllo maniacale su tutta la famiglia. È una persona decisamente autoritaria e, sebbene mi voglia bene, lo dimostra in modo errato, poiché impone le sue decisioni e le sue opinioni, senza prendere mai gli altri, che magari ne sanno anche più di lei, in considerazione. Ricordo perfettamente, ad esempio, di quando provò a spiegare al mio vecchio terapeuta cosa scrivere come diagnosi per me. È ansiosa, opprimente e talvolta violenta, se non ottiene quello che vuole. Mio padre è più tollerante e meno invadente, ma ho come l'impressione che non possa fare niente per me, e soprattutto non deve assolutamente sforzarsi e stressarsi ulteriormente a causa mia, poiché ha dei problemi con il lavoro ed è molto indaffarato. Anche mia sorella ha praticato autolesionismo, e sono terrorizzata al pensiero che in futuro potrebbe farlo anche il mio fratellino. Non sono mai riuscita a confidarmi completamente con nessuno, neanche con i miei familiari. A ciò si aggiunge che non riesco a fare amicizia con nessuno. Conosco la mia classe da quattro anni, e non ho legato significativamente con una sola persona al suo interno. L'unica persona che considero un'amica è quella a distanza che ho citato prima, che però mi pare sempre più lontana e indifferente, presa da altro. Non riesco a trovare il tempo né la voglia di fare nulla, a causa del fatto che non so organizzarmi con lo studio e finisco di lavorare sempre tardi. Prendo voti molto alti, ma penso che non ne valga la pena, perché alla fine sono troppo stanca per uscire e addirittura conoscere altre persone, oltre che triste. Quando ho parlato con questo nuovo psicoterapeuta, è come se mi si fosse aperto un mondo. Non mi giudica, mi lascia sfogare, mi accetta, mi accoglie per quello che sono. È una cosa che non ha mai fatto nessuno, neanche mia madre, e mi ferisce/demoralizza il fatto che solo uno psicologo possa comprendermi senza giudicarmi. So che si tratta del suo lavoro, razionalizzando mi rendo infatti conto di essere solo un numero e una fonte di guadagno in più per lui, ma quando mi parla, è come se "mi incantasse" con le sue parole. È dolce, e quando parlo di qualunque cosa, vuole sempre approfondire. È praticamente l'unico ad "interessarsi" a me, al di là dei miei genitori. Ma a differenza loro sa analizzarmi, sa comprendermi. Sì è creato un bel rapporto tra noi, anche perché ha un gran senso dell'umorismo ed era da tanto che non ridevo così spontaneamente. Ogni volta che entro nel suo studio mi sento al sicuro, protetta, come se nessuno potesse più farmi del male, inclusa me stessa. Quando esco invece, mi sento male. Ma non perché lui non sia capace, ma perché io rimarrei lì per ore ed ore, e perché so che quello che sento è profondamente sbagliato. Infatti, proprio parlando di questo, sorge un grosso problema. Io avverto una sorta di attrazione fortissima nei suoi confronti, di cui mi sento tremendamente colpevole. Mi considero una persona disgustosa, soprattutto evidenziando la differenza di età. Probabilmente dovrei parlarne con lui, ma sono terrorizzata all'idea, perché provo vergogna, imbarazzo e senso di inadeguatezza, e ho paura che possa riferirlo ai miei genitori, poiché sono minorenne. Tra l'altro lui è un uomo sposato e con dei figli, e non dovrei minimamente pensare a cose del genere. Ogni tanto immagino di dargli un abbraccio, per ringraziarlo. Vorrei addirittura chiederglielo a volte, ma probabilmente nella psicoanalisi è tutt'altro che opportuno fare una cosa simile. Ad essere onesta, mi sento più disperata adesso rispetto a prima che iniziasse la nuova terapia. Sta forse procedendo male? Devo cambiare analista? È normale che un'adolescente in terapia provi una cosa simile nei confronti di un uomo adulto? Per favore, non so cosa fare, né cosa pensare. Grazie in anticipo.

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Miglior risposta 27 FEB 2019

Gentilissima Marica,
ciò che provi nei confronti dell'attuale terapeuta (e che non provavi nei confronti dello psichiatra) è ben comprensibile ed accade frequentemente, nè per questo ti devi vergognare o sentire in colpa : si chiama "transfert" e può esserer anche utilizzato a scopo terapeutico.
Ovviamente il transfert del paziente ( ed il relativo controtransfert del terapeuta) non devono inficiare le regole del setting fuori dalle quali non è possibile fare psicoterapia.
Pertanto in seduta ti invito ad aprire col tuo terapeuta il tema del transfert in modo da poter lavorare sulle tue emozioni e sul tuo disagio.
Considerando poi il tuo contesto familiare, sarebbe stato preferibile mettere in atto una psicoterapia familiare.
Tuttavia, in mancanza, penso che puoi ritenerti in parte fortunata dal momento che tua madre, pur con la sua caratteropatia, quanto meno non sta ostacolando il tuo percorso terapeutico che ti invito a non interrompere prematuramente perchè ne hai molto bisogno.
Cordiali saluti.
Dr. Gennaro Fiore
medico-chirurgo, psicologo clinico, psicoterapeuta a Quadrivio di Campagna (Salerno).

Dott. Gennaro Fiore Psicologo a Quadrivio

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25 FEB 2019

Cara Marica,
hai fatto bene a scrivere su questo sito e non devi scusarti, né avere timore di essere giudicata. Anzi sarebbe importante capire da dove viene questo tuo modo di entrare "in punta di piedi" come se non ti sentissi in diritto di farti sentire o vedere.. emerge anche nei confronti del tuo primo terapeuta e forse un po' anche con il secondo.
Dalle tue parole si percepisce una grande sofferenza, un bisogno di trovare ascolto e aiuto che forse finora non era stato molto capito, ma che la terapia che hai iniziato potrebbe finalmente riuscire ad accogliere.
Nella relazione tra paziente e terapeuta capita che nascano emozioni e movimenti di affetto nei confronti del terapeuta, ed è importantissimo poterne parlare. Non sentirti sbagliata, non c'è nulla di cui vergognarsi, lui lo capirà e saprà accogliere e usare bene questo messaggio come parte della terapia. Se non te la senti di dirlo, hai mai pensato a scriverglielo?
In bocca al lupo e un caro saluto
drs Lucia Mantovani, Milano

Dott.ssa Lucia Mantovani Psicologo a Milano

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