Difficoltà nel relazionarmi agli altri

Inviata da Christian · 16 ago 2021

Salve, sono un ragazzo di diciannove anni che frequenta il primo anno di università. Ho trovato sempre molta difficoltà nello stringere amicizie, sono sempre stato molto introverso e, pur essendomi aperto molto nei confronti degli altri, ad oggi mi ritrovo praticamente senza amici, tranne che per un'amica del liceo con cui sono ancora in contatto e con cui mi incontro qualche volta. Mi sono sempre sentito distante dai miei coetanei per interessi e modi di fare e ciò accresce la mia difficoltà nel trovarmi bene con le persone. Forse sono stato anche sfortunato nell'incontrare le persone che ho incontrato e non mi sono creato abbastanza modi per fare nuove conoscenze. I ragazzi e le ragazze che ho incontrato mi sono sempre parsi molto concentrati sull'apparire, sull'esteriorità e impegnati costantemente a credersi migliori degli altri, sempre pronti a criticare ma mai ad autocriticarsi... io invece sono praticamente l'opposto. Inoltre ho trovato molte persone poco affidabili, persone che è molto difficile sapere che idea abbiano veramente di te, persone con doppia faccia, ipocrite e contraddittorie nel loro modo di agire non solo verso di me ma proprio in generale.

Ho fatto parte di un gruppo di amici negli anni del liceo, anche se non mi ci sono mai trovato davvero, ero sempre io a dover chiedere se uscivano ed ero poco coinvolto... ho sfruttato il periodo di pandemia per tagliare i ponti con loro ed è da marzo che non li vedo e non sento la loro mancanza, come loro di sicuro non sentono la mia. Il punto su cui mi soffermo spesso a pensare è che io da un lato non sento la necessità impellente di avere rapporti di amicizia ma dall'altro mi farebbe molto piacere conoscere persone nuove( cosa che non ho potuto fare all'università per via delle lezioni online), anche se so che sarebbe complicato per me farmi conoscere, perchè sono una persona che tende a rimanere sulle sue e rimane sempre al margine delle discussioni, poco capace di far valere la propria opinione... la classica persona che nelle foto sta sempre dietro a lato semicoperto dalle teste degli altri. Questa mia condizione di solitudine mi pesa e non mi pesa contemporaneamente, non ho disagio nel passare molto tempo da solo, anche perchè, stando da solo, non si presenta il senso di inadeguatezza che ho nel misurarmi con gli altri, visto che penso di essere io il problema perchè sono diverso.

Sono mesi che non vedo nessuno a parte i miei genitori, i miei zii, mio cugino, l'istruttore di scuolaguida e una mia amica e nonostante ciò mi sento bene con me stesso. Certo vorrei che la mia situazione fosse diversa e la cosa che mi crea più ansia è la paura che questa condizione si protragga per molto molto tempo, forse per tutta la mia vita. Un'altra cosa che non mi dà tranquillità è il fatto che prima o poi i miei genitori potrebbero venire a sapere di questa mia solitudine, visto che io glielo nascondo anche perchè un po' me ne vergogno... loro infatti pensano che io mi veda ancora con quel gruppo di amici dato che la sera faccio finta di uscire con questi ultimi ma in realtà mi metto a girare da solo per 3-4 ore nel quartiere adiacente a quello in cui abito io.

Grazie in anticipo delle risposte che mi fornirete, vorrei soltanto chiedervi, senza essere scortese, se per favore le vostre risposte non si limitassero a consigliarmi di intraprendere un percorso presso uno psicologo, perchè già mi è capitato su un altro sito simile e tutte le risposte sono state così... mi farebbe piacere ricevere altre considerazioni anche se so bene che questo servizio non sostituisce una seduta.

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Miglior risposta 17 AGO 2021

Buongiorno Christian,

la capacità di tollerare la solitudine, di stare anche da soli, di non avere necessariamente bisogno dell’Altro, ritengo sia una qualità positiva. Nel senso che, ahimè, la vita adulta è anche la vita che riesce a reggersi da sé; è anche la vita che non deve per forza rivolgersi all’Altro. Tuttavia, se questo atteggiamento nei confronti della sfera sociale si irrigidisce, diviene ‘estremo’ per certi versi, allora la capacità di cui sopra (di tollerare anche la solitudine) diviene un’incapacità a relazionarsi. Dalle sue parole, emerge una sorta di scissione. Da un lato, ritiene di essere in grado di star da solo, di tollerare, reggere una dimensione senza l’Altro, dall’altro lato, invece, riconosce il piacere che avrebbe nel fare nuovi incontri. In effetti, nel suo discorso, questo doppio aspetto compare chiaramente: “Il punto su cui mi soffermo spesso a pensare è che io da un lato non sento la necessità impellente di avere rapporti di amicizia ma dall'altro mi farebbe molto piacere conoscere persone nuove. (…) vorrei che la mia situazione fosse diversa e la cosa che mi crea più ansia è la paura che questa condizione si protragga per molto molto tempo, forse per tutta la mia vita”. Questa scissione, possiamo risolverla immediatamente. È sufficiente che con coraggio, ammetta a se stesso che non ama così tanto la solitudine e che in realtà desidera molto la relazione e il confronto con l’Altro. Se da una parte, come dicevo all’inizio, è fondamentale cavarsela anche da sé, dall’altra è anche vero che noi dell’Altro non possiamo fare a meno. Nel senso che gli altri non possono essere la nostra stampella; non possiamo fare degli altri il motore della nostra vita. Ma non possiamo neanche escluderli. Questo, caro Christian, ha a che fare con la dimensione più propriamente umana. E’ qualcosa che va al di là di noi singoli individui. L’uomo è relazione. Ha bisogno, desidera il contatto. La relazione è una sorta di pelle, struttura interna. La relazione costituisce la base, le fondamenta della nostra vita. Basti pensare alla vita di un neonato, che può sopravvivere solo se vi è un-Altro che risponde ai suoi bisogni. È chiaro che poi cresciamo, ma l’importanza della relazione perdurerà per tutta la vita. Perché noi siamo questo. Ma a questo punto, c’è da chiedersi: se la relazione è così importante per la nostra vita, al di là della singola persona, come mai Christian, lei la rifiuta? Le sue parole suggeriscono qualcosa a riguardo. Emerge, in effetti, una spiccata sensibilità da parte sua, su cui vale la pena riflettere: “Mi sono sempre sentito distante dai miei coetanei per interessi e modi di fare e ciò accresce la mia difficoltà nel trovarmi bene con le persone. (…) I ragazzi e le ragazze che ho incontrato mi sono sempre parsi molto concentrati sull'apparire, sull'esteriorità e impegnati costantemente a credersi migliori degli altri, sempre pronti a criticare ma mai ad autocriticarsi... io invece sono praticamente l'opposto. Inoltre ho trovato molte persone poco affidabili, persone che è molto difficile sapere che idea abbiano veramente di te, persone con doppia faccia, ipocrite e contraddittorie nel loro modo di agire non solo verso di me ma proprio in generale”. Ciò che scrive è molto bello. Queste sono davvero qualità importanti. Lei rifiuta, giustamente, l’apparire, l’esteriorità. Critica chi si crede superiore; chi deve mostrare e dimostrare costantemente di essere migliore degli altri. Ha un giudizio negativo su chi non si esprime con sincerità, gli ipocriti, quelli con la doppia faccia. Purtroppo una sorta di scontro è inevitabile. E’ chiaro che la sua sensibilità urta con queste caratteristiche che sono del tutto opposte alle sue. Ma questo non è un problema: se siamo davvero amici di qualcuno, questo qualcuno lo accettiamo in tutte le sue forme – anche quelle più negative. Ma se non sono amici, tanto meglio: vuol dire che inventerà e vivrà delle nuove situazioni attraverso cui poter incontrare delle persone con cui eventualmente stringere delle amicizie. L’amico non deve essere qualcuno uguale a noi, è impossibile. Tuttavia, dobbiamo anche andarci d’accordo… La vera questione, in realtà, sembra essere un’altra. Riprendiamo le sue parole: “Questa mia condizione di solitudine mi pesa e non mi pesa contemporaneamente, non ho disagio nel passare molto tempo da solo, anche perchè, stando da solo, non si presenta il senso di inadeguatezza che ho nel misurarmi con gli altri, visto che penso di essere io il problema perchè sono diverso”. Qui, Christian, lei dice qualcosa di importante. Ritorna questa sorta di scissione, ma lei stesso la risolve: in queste parole emerge come il bisogno di creare due lati, di dire di aver bisogno e allo stesso tempo non aver bisogno della relazione, sia una mera difesa – tutto qui. Dirsi di star bene da soli, è solo una difesa psicologica che lei adotta nei confronti dell’angoscia della relazione. Angoscia dettata dal senso di inadeguatezza. Probabilmente, in cuor suo, si sente incapace, inferiore, inadeguato per l’appunto. Forse sente di non avere granché da dare. Di non essere in grado di stare in quelle situazioni che lei denunciava. O di stare in relazione in generale. Ciò che secondo il mio parere dovrebbe fare, è esplorare questi sentimenti. Indagare e dar voce al sentimento d’inferiorità e inadeguatezza che la bloccano, la paralizzano nel tentativo di instaurare un vero legame con l’Altro. Deve scoprire tutte le qualità che sicuramente ha. Ma deve anche trovare il coraggio di lanciarsi nell’ignoto dei rapporti. In effetti, la difesa adottata potrebbe essere anche legata ad un’altra angoscia sottostante: al pensiero, in fondo, che quel rapporto prima o poi finirà. E se finirà, perché investire? Sarebbe un altro aspetto da approfondire… Infatti è molto importante, per stare serenamente in rapporto con l’Altro, accettare anche, per qualsiasi motivo, la sua fine. Se posso permettermi, le consiglierei di parlare ai suoi genitori. Non è una buona strategia quella di cui parla: “far finta di uscire”… La famiglia è anche luogo dell’accoglienza del disagio di uno dei suoi membri – soprattutto dei figli. Le consiglierei, dunque, di essere più sincero con loro. Credo che se intraprenderà questa direzione – che è solo un modo di vedere le cose –, potrà incanalare la sua inferiorità in un fervido sentimento sociale. Si ricordi, Christian, che di questo siamo fatti. La relazione con gli altri è anche ciò che attenua il male di vivere. È ciò che dà gioia, ricordi, serate memorabili. La verità è che quando andiamo al fondo della nostra solitudine, della nostra indipendenza di cui andiamo tanto fieri, non scopriamo che una cosa: che nessuno si salva da solo in questa vita.

I miei migliori auguri.

Dott. Simone Evangelista

Dott. Simone Evangelista Psicologo a Milano

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18 AGO 2021

Gentile Christian,
La sua lettera esprime bene tutte le contraddizioni in cui lei si dibatte e che cominciano a preoccuparla.
Afferma che i suoi coetanei sono “sempre pronti a criticare” eppure lei per primo giudica negativamente tutte le persone che ha incontrato.
Non sente “l’impellente necessità di avere rapporti di amicizia” eppure desidera incontrare nuove persone ed è rimasto deluso dalle lezioni online.
Afferma di star bene da solo, ma si vergogna della sua solitudine perfino con i suoi genitori, al punto di fingere di uscire con gli amici e “girare da solo per 3-4 ore nel quartiere adiacente” al suo.
Tutto ciò fa parte del processo di costruzione della personalità, che alla sua età è in continuo cambiamento. Ma lei deve essere consapevole che questa costruzione la può realizzare solo in relazione agli altri, e in particolare nel confronto con i coetanei.
La solitudine (soprattutto quando non è una scelta libera ma obbligata) non può che aumentare il senso di “inadeguatezza” da cui pensa di difendersi, incidere sull’autostima, avere ripercussioni sull’affettività e la gestione delle emozioni alimentando una dolorosa mancanza di senso di appartenenza.
Dentro di sé lo sa bene, e forse l’ansia è il segnale che urge cambiare qualcosa.
Lei non vuole che le si dica di intraprendere un percorso psicologico, cadendo nella sua stessa trappola di voler farcela da solo. Eppure il sostegno di uno specialista le farebbe risparmiare moltissimo tempo, aiutandola a superare questo nascente meccanismo di evitamento delle relazioni sociali che potrebbe consolidarsi nel tempo, portandola a una visione del mondo troppo grigia, privandola di tutto ciò che i rapporti con gli altri possono darle o farle capire.
Potrebbe allora lavorare sull’empatia e la tolleranza, su una maggiore capacità di adattamento, di ascolto e condivisione e sull’espressione dei suoi sentimenti e ideali.
Cominci a parlare senza vergogna con la sua amica di tutto ciò: sarà stupito di trovare in lei non solo comprensione ma forse anche le sue stesse problematiche.
Un cordiale saluto
Dott.ssa Elisabetta Falcolini

Dott.ssa Elisabetta Falcolini Psicologo a Sansepolcro

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18 AGO 2021

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Dott.ssa Margherita

Dott.ssa Margherita Romeo Psicologo a Roma

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17 AGO 2021

Caro Christian,
Seguo con attenzione la tua richiesta e il tuo timore del giudizio altrui.
Sapere stare da soli è buono ma quando ci fa stare male relazionarci no.
I tuoi schemi relazionali sono da indagare nelle tue esperienze passate pregresse e in famiglia.
Ti consiglierei di intraprendere un percorso di psicoterapia.
Resto a disposizione anche online se vorrai.
Cordiali saluti.

Dott.ssa Margherita Romeo

Dott.ssa Margherita Romeo Psicologo a Roma

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17 AGO 2021

Buongiorno Christian,
Come hai ben compreso, i consigli che possiamo darti non possono essere sostitutivi della terapia, perché sono dati alla luce dei pochi dati che si riescono a scrivere su una piattaforma.
Nel leggerti mi vengono in mente molte domande che aprirebbero una indagine diagnostica.
Ad ogni modo provo a darti una pista: chiediti quali sono i pensieri che ti vengono quando dici che è complicato per te farti conoscere.
Può succedere che ti relazioni agli altri avendo davanti uno specchio mentale che trasmette la tua immagine negativa e quindi affiorano la paura del giudizio, di non essere compreso, di sentirti diverso...
Se è così, prova a spostare la tua attenzione interna da te all’altro. Metti al centro dei tuoi pensieri l’altro.
Farai fatica, ma è un ottimo esercizio.
Spero di averti aiutato un po’ tirando a indovinare su una possibile origine del tuo disagio.
Ti auguro il meglio e resto a disposizione
Dott.ssa Oriana Parisi

Dott.ssa Oriana Parisi Psicologo a Bari

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