Come accettare il proprio orientamento?

Inviata da beatriceces · 10 set 2020

Ho 21 anni e da quando ne ho 13 ho capito di essere bisessuale. I primi tempi la cosa mi incuriosiva, magari mi attraeva una ragazza e la cosa mi rendeva felice, pensavo solamente che ero felice di provare dei sentimenti, non mi interrogavo sul “perché mi piace una persona del mio stesso sesso?”. Però all’epoca la cosa accadeva raramente o forse me ne rendevo corto. Certo è che puntavo di più sull’uomo, forse per convenzione. Quando avevo 17 anni mi innamorai perdutamente della mia migliore amica e da la capii. Il punto è che io sono circondata da amici gay e amiche non etero e con loro mi sento accettata, dei miei amici tutti sanno la verità tranne la mia famiglia. Ho avuto due fidanzati ma nessuno dei due mi è piaciuto veramente. Mi sono piaciuti davvero solamente due ragazzi, ma mai con la stessa intensità delle ragazze. La mia famiglia non lo accetta, e forse neanche io. Sono assolutamente pro ai miei amici, ma sono “omofoba nei miei confronti”. Se andassi ad un locale tipico probabilmente sarei a disagio perché sono cresciuta con il “donna va con uomo”, e quando esco cerco solo ragazzi. È come se avessi una qualche paura inconscia. Mia madre è pro all’omosessualità assolutamente ma ogni volta che tiro fuori il discorso lei comincia a dire che è solo una fase è che è “la moda del momento dire di essere gay” è che io non lo sono, al che mi zittisco. Mio padre e tutto il resto dei parenti sono omofobi. Mio zio se potesse si comporterebbe come Hitler è mia nonna idem, ecco che ho deciso di stare zitta. Però la cosa mi pesa, non riesco ad accettarmi, non posso mettere uno shorts d’estate perché mia madre dice che “vado a fare l’uomo” e che devo indossare per lo più gonne e vestitini, che sto odiando, mi piace metterli solo nelle occasioni. Vivo tutto come un obbligo di essere eterosessuale, di conseguenza sto iniziando ad odiarmi e ad impuntarmi ad avere un fidanzato. Non so come comportarmi...

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Miglior risposta 11 SET 2020

Cara Beatrice,
Il conflitto interiore che lei sta vivendo tra il "chi sono e cosa voglio" e il "chi devo essere e cosa devo" è comune a tutti coloro che scoprono in sé stessi ciò che si discosta dalla norma e dai luoghi comuni. Purtroppo, so bene che tale conflitto porta a vivere un malessere che l'acccompagna in ogni momento della quotidianità in quanto l'identita sessuale è un carattere primario di ogni individuo.
Le consiglio un percorso terapeutico dal quale far emergere i suoi reali bisogni approfondendo inoltre i doveri che ognuno di noi si impone soltanto per essere accettati dagli altri, e la reale importanza per te stessa e per il suo benessere, di tali doveri per comprendere meglio interiormente che tra la parola "voglio" e la parola "devo" , il miglior compromesso è la parola "posso" , senza dunque attuare scelte che non farebbero bene a nessuno.
Intanto Ti invito a riflettere su queste tre parole.
Dr. ssa Daniela Calabrese psicoterapeuta Roma

Studio Psicologia Calabrese Psicologo a Roma

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11 SET 2020

Cara Beatrice, Lei descrive in modo lucido, chiaro e doloroso il concetto di eteronormatività (la norma culturale implicita per cui tutti sono eterosessuali fino a prova contraria e per cui l'eterosessualità è l'unica forma "accettabile e naturale" di affettività) e quello di omofobia interiorizzata. Vivere in una società e/O famiglia in cui vi sono comportamenti velatamente o francamente ostili verso le differenze è fonte di stress, ansia, disagio, vergogna, senso di colpa, e rinnegamento di sè. Quelle che Lei tenta sono esperienze "riparative", vere e proprie violenze contro sè stessa per spegnere quelle voci interne ed esterne che La giudicano e La vorrebbero diversa. La buona notizia è che esistono delle competenze, delle capacità e delle risorse che possono essere trovate, coltivate e allenate, per reagire in modo positivo e fruttuoso a questi contesti spaventanti e opprimenti: può prendere parte attiva nel Suo benessere e sviluppare un modo più positivo e utile di reagirvi. Lei è di fronte a una scelta, che è personale: vivere nell'ombra, o forzandosi a vivere un'affettività che non Le appartiene, o percorrere una scelta autentica (nel senso di Sua e propria) con le difficoltà che questo comporta. Le consiglierei, prima di intraprendere la prima strada, di provare quantomeno a sviluppare la resilienza necessaria a una vita identitaria e positiva. Contatti un terapeuta che sia formato e specializzato per aiutarLa. A disposizione, cordialità. DP

Dott. Daniel Michael Portolani Psicologo a Brescia

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