Terminare o proseguire la terapia?

Inviata da Valentina · 15 apr 2017 Psicologia risorse umane e lavoro

Buongiorno, sono una ragazza di 25 anni e sono seguita da uno psicologo di formazione sistemico-relazionale da 6 perché ho avuto molte difficoltà nel gestire delle problematiche con i miei genitori e per la mia bassa autostima. Ho sempre pensato che il mio psicologo sia un valido professionista, ma nell'ultimo periodo è come se la mia mente stesse mettendo insieme vari pezzi di cui prima non mi ero resa conto per davvero, e il puzzle che emerge non mi piace affatto. In tante sedute ho avuto la sensazione di essere presa in giro da lui e di non essere rispettata a causa delle frecciatine che mi lancia. Ad esempio gli stavo raccontando che non ho potuto chiedere la tesi ad un professore perché sarebbe andato in pensione da lì a due mesi. Ho concluso con un "certo che..." e avrei voluto dire "è un peccato perché sarebbe stato un bravo professore, sono stata sfortunata, ma in definitiva è stato un bene, perché ho trovato un'altra professoressa disponibile che ha accolto con entusiasmo l'argomento della tesi che voglio affrontare". Lui non mi ha lasciata finire e ha proseguito al mio posto dicendo "eh sì, quando arriva lei la gente sparisce", chiudendo il tutto con una risata. Io mi sono sentita mortificata, perché in passato pensavo (e con lui dicevo) tantissime cose di male su di me, mi autodenigravo per qualsiasi cosa, facevo fatica a "convivere" con me stessa, stavo davvero male e avevo la paura costante che gli altri potessero allontanarsi da me a causa mia. Ora sto molto meglio, però trovo crudele il mio psicologo che mi rinfaccia i miei vecchi schemi mentali. Se avesse voluto utilizzare la sua frecciatina per riparlare dei miei vecchi fantasmi avrebbe potuto proseguire, invece non lo ha fatto e io credo che mi abbia riso in faccia solo per infierire. Io non gli ho risposto verbalmente perché mi sentivo scossa, ma penso che il mio sguardo valesse più di mille parole, eppure non mi ha detto più nulla. Un'altra cosa che mi lascia perplessa è il fatto di avermi detto più volte, dopo aver parlato di amicizia, "anche noi siamo amici, no?". Io gli ho risposto "veramente no...", ma lui ha fatto finta di non sentirmi e ha proseguito il discorso. Inoltre troppe volte occupa mezza seduta a parlarmi dei problemi che lui ha con altri pazienti... ma io non sono il suo supervisore... Infine vorrei dire che io fin dalla prima seduta, mi sono sempre autoimposta di mantenere un atteggiamento freddo e distaccato verso di lui, e all'inizio mi riusciva benissimo. Ora esternamente non è cambiato nulla, ma ovviamente sono un essere umano e nonostante i suoi comportamenti ambivalenti provo affetto verso di lui come per qualsiasi altra persona che conosco da un po' di tempo. Però so che invece gli psicologi non ricambieranno mai il semplice affetto dei loro pazienti, e anche se l'ho sempre saputo, ora questo mi fa stare male. Non intendo dire che vorrei un rapporto diverso da quello che abbiamo, anzi, avrei difficoltà a parlare con lui di certe cose se fossimo amici... però mi offende quando mi racconta che contatta i suoi pazienti quando non li sente per un po' di tempo, mentre quando capita a me di non prenotare sedute per un po' a causa di difficoltà economiche, non mi calcola minimamente. Non voglio uno psicologo amico, voglio uno psicologo umano. E soprattutto non voglio che mi induca a pensare che siamo amici, tanto non m'incanta. Ora che mi sento così mortificata e offesa, ho solo voglia di sparire nel nulla e di non farmi più vedere né sentire da lui. Allo stesso tempo ho paura di pentirmi di questa scelta. Non ho mai pensato alla terapia come un percorso fatto per risolvere qualche problema, credo che possa essere molto di più, e idealmente sarei felice di poter rivolgermi ad uno psicologo ogni volta in cui desidero migliorare me stessa ed avere una visione di ciò che mi accade più ampia e oggettiva possibile. Per questo ora sto male doppiamente. Non so cosa fare. Non riuscirò mai a parlare con lui di queste cose, sono sicura che scoppierei in un pianto isterico, faccio fatica anche ora mentre scrivo a voi... Scusate se mi sono dilungata, ma ho la testa che scoppia... grazie!

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Miglior risposta 21 APR 2017

Gentile Valentina,
La invito a parlare col suo terapeuta delle cose che non gli sono piaciute del suo modo di fare, sia per quanto riguarda le frecciatine che fa e il modo in cui le esprime. Occorre comprendere poi le ragioni di questo parlare di altri pazienti in terapia con lei e anche di questo occorre che lei gli chieda il motivo. Di solito un terapeuta ben formato non fa mai niente a caso in terapia, ogni racconto della sua vita personale e professionale di solito persegue un obiettivo terapeutico. Ad esempio, ma è solo un'ipotesi, lui potrebbe averle parlato dei suoi pazienti perché essi hanno vissuto problematiche simili alle sue oppure perché ritiene che parlare di loro attivi anche in lei una riflessione sulla sua situazione.
Sarebbe opportuno che riflettiate anche assieme sul fatto di descriversi come amico, cosa che genera in lei sentimenti ambivalenti, che la porterebbero da un lato a volersi avvicinare a lui, ma dall'altro la infastidiscono ricordando il ruolo professionale che lui svolge nei suoi confronti.
Non abbia timore di esprimergli quello che sente. Per quanto possa sembrarle imbarazzante, il non dirglielo comunque genera delle ambivalenze che non permettono alla terapia di proseguire. Se ritiene di far fatica a esprimergli queste cose a voce, le scriva su un foglio e poi parlate del foglio in seduta.
Veda come lui gestirà questi prossimi momenti della terapia e se non la soddisferà, tenga presente che può anche cambiare terapeuta. Ogni persona ha il diritto di andare in terapia sentendosi accolta in modo umano, in una relazione terapeutica accogliente e non giudicante, anche se talvolta può rivelarsi anche difficile per quello che il terapeuta le rimanda. In ogni caso se manca la fiducia nel lavoro del terapeuta, ritengo che manchino i presupposti affinché una terapia possa essere utile ed efficace. Per questo bisogna che ne parliate e che facciate un tentativo per ricostruire questa fiducia che mi sembra in questo momento un po' traballante.
Le auguro tutto il meglio.

Cordiali saluti.

Dott.ssa Elisa Canossa, psicologa psicoterapeuta a Padova e Sustinente (MN)

Dott.ssa Elisa Canossa Psicologo a Sustinente

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18 APR 2017

Cara Valentina 440. Dalle righe che scrive ci sono molti vissuti contrastanti relativi al suo terapeuta. Per quanto mi rendo conto che possa per lei essere difficile parlargliene, la invito a riflettere sulla possibilità di farlo. Non dirlo creerebbe comunque delle zone grigie e di non detto che ostacolerebbero un eventuale proseguimento della psicoterapia con quel professionista. Se decidesse di andare via senza dire nulla, ci sarebbero comunque delle ambivalenze di fondo che potrebbero restare aperte e lasciarle dei dubbi. Le persone hanno il completo diritto di dire come stanno con il loro terapeuta e il diritto di andare via se non si trovano bene. Se si è sentita derisa o trascurata ha il diritto di dirlo. Sta al collega gestire la cosa e se non le piace come il collega la gestirá può scegliere di andar via. Un caro saluto. Luisa Fossati. Psicologa psicoterapeuta

Dott.ssa Luisa Fossati Psicologo a Firenze

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17 APR 2017

Salve Valentina
Il presupposto della terapia è l'alleanza e la cooperazione delle due parti.
Se non si sente a suo agio per delle affermazioni che il suo terapeuta fa in seduta, le renda note e ne chieda il motivo all'occasione.
Sarà questo un modo per comprendervi e capire se ci sono i presupposti per entrambi per continuare la terapia
Resto a disposizione
Dottssa Fabrizia Tudisco

Dott.ssa Fabrizia Tudisco Psicologo a Napoli

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