Salve, sono una ragazza di 18 anni, è da quando avevo circa 7/8 anni che riscontro un problema: quando qualcuno, di norma adulto, mi critica, che sia arrabbiato o tranquillissimo, mi viene da piangere.
È una reazione spontanea, con gli anni ho provato a controllarla e invece di scoppiare a piangere mi trema la voce e mi salgono le lacrime agli occhi, poi dipende dalla situazione.
Per esempio mi è capitato anche quando a scuola ho chiuso la finestra perché avevo freddo e la prof mi ha detto di lasciarla aperta; ho dovuto distogliere lo sguardo dal suo e smettere di parlarle per evitare di piangere, mi rendo conto sia una situazione normalissima ma non posso fare a meno di avere tale reazione.
La mia supposizione è che sia una conseguenza di quando facevo sport dove la mia allenatrice mi sgridava spesso se non facevo gli esercizi che dovevo fare perché avevo paura o perché non volevo farli ed io mi mettevo a piangere.
Con il tempo la cosa si è evoluta e oggi ho ancora questa difficoltà e vorrei risolverla perché non è semplice da gestire e se scoppio a piangere spesso le altre persone non mi capiscono e la cosa mi fa sentire in difetto.
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23 NOV 2022
· Questa risposta è stata utile per 12 persone
Buongiorno Sara,
ha spiegato molto bene il suo disagio. Sì percepisce una certa maturità e sensibilità nella sua esposizione.
Quella di cui parla sembra una sensazione di vergogna di fronte ad un'umiliazione percepita. Il timore di essere sbagliata.
Dedichi una preghiera al suo angelo custode quando le capita. Non importa se è credente. La preghiera è la medicina più antica del mondo e ancora oggi la più usata. Poi ci faccia sapere se va meglio
23 NOV 2022
· Questa risposta è stata utile per 1 persone
Buongiorno Sara, non credo che, la sua difficoltà col giudizio esterno (perché, immagino, si tratti di questo) risalga alla questione con la sua allenatrice. Quell'episodio è andato a "confermare" la sensibilità ai criteri esterni che si è formata, all'interno della famiglia, durante le primissime interazioni primarie. Ad es., un conto è se, ad un bambino, venga detto: "G., affacciati alla finestra e senti se hai freddo, poi decidi se vestirti pesante o meno", un altro, invece, è che gli venga detto: "G., mettiti il giubbotto che fuori fa freddo". Da questo esempio semplice si può notare come il primo stile sia orientato a far sviluppare criteri interni di scelta che permette lo sviluppo di un senso di Sé più autonomo, sicuro ed indipendente. Nel secondo caso, se reiterato nel tempo, il bambino si abituera' a rivolgersi all'esterno per risolvere i suoi problemi o indecisioni, aderendo ai parametri esterni. Nel tempo, non svilupperà risorse e filtri interni, per cui il senso di Sé sarà più dipendente dalla relazione con l'esterno. E quando subisce una critica negativa, tenderà a sentirsi solo, non amato, incapace, etc. Ora, questo è a grandissime linee e gli stili educativi sono, ovviamente, molti di più. Come vede, cmq, non è tanto un tema di non saper sopportare il giudizio esterno o le critiche quanto come queste strategie relazionali la fanno sentire in termini emotivi.
La invito, dunque, a considerare un percorso terapeutico che vada ad esplorare le sue emozioni profonde e le relazioni con la famiglia di origine.
Buona fortuna,
dott. Massimo Bedetti
Psicologo-Psicoterapeuta
Costruttivista-Postrazionalista Roma
23 NOV 2022
· Questa risposta è stata utile per 6 persone
Buongiorno Sara, quanto scrive è comune a tante persone. Con una terapia a breve termine è possibile rompere il meccanismo fatto di pensieri critici che ha, l'emozione che le provoca e il pianto conseguente, che poi alimenta nuovamente i pensieri critici e riparte cosi il vortice. Un percorso di terapia, anche di alcuni mesi, la potrebbe aiutare a riconoscere meglio il meccanismo che le ho esposto e fermarlo.