Maltrattamento psicologico: i campanelli di allarme

L'aggressore arriva travestito da persona estroversa, gentile, attenta e inizialmente il suo lato manipolatore è impercettibile dall'esterno.

30 AGO 2017 · Tempo di lettura: min.
Maltrattamento psicologico: i campanelli di allarme

Come riconoscere la violenza psicologica? Perché le vittime non riescono a uscire facilmente da questo circolo vizioso?

Sempre più spesso, si sente parlare della cosiddetta violenza di genere. Analizzando i numerosi casi di violenza presenti all'interno delle famiglie, un passo indispensabile per arrivare alle mani o, nei casi più estremi, all'omicidio è la violenza psicologica. Qualsiasi persona, indipendentemente da genere, età o condizione economica e sociale, può essere una potenziale vittima di questo tipo di maltrattamento.

Si tratta di una violenza silenziosa, che non lascia segni visibili sul corpo, non sempre e non immediatamente, ma che può rivelarsi ancor più subdola perché non viene scoperta rapidamente. La vittima si abitua pian piano ai maltrattamenti, giustificando il partner o qualsiasi altra persona che esercita violenza psicologica nei suoi confronti. "Poverino, è molto stressato", "Mi sono vestita troppo provocante", "L'ho fatta ingelosire parlando con un'altra ragazza" o "Non ho pulito abbastanza" sono alcune delle mille scuse che si possono utilizzare con se stessi per discolpare il maltrattamento e l'aggressore.

La violenza psicologica arriva in punta di piedi e quando i campanelli di allarme stanno suonando risulta complesso allontanarsi dalla relazione tossica. L'aggressore arriva travestito da persona estroversa, gentile, attenta e inizialmente il suo lato manipolatore è impercettibile dall'esterno. Arriva il momento in cui ci si ritrova in una gabbia invisibile: la vittima non riesce a vedere le sbarre che la circondano e, per questo, la via d'uscita sembra irraggiungibile.

Per le persone che osservano questa relazione dall'esterno la soluzione è semplice e immediata ma per la vittima non è così facile. Si tende a portare avanti la relazione, sperando che il partner cambi e facendo passi nella direzione più pericolosa, ad esempio decidendo di sposarsi o di avere un figlio, sperando così che la situazione migliori.

Ma la violenza non si affievolisce nonostante gli sforzi della vittima.

Ogni piccolo complimento, sorriso o momento felice di colpo viene affossato dalle urla, dagli insulti o dai commenti che annullano l'autostima. In più, nei momenti di lucidità della vittima, l'aggressore riesce a incastrarla facendo leva sul suo senso di colpa. Un circolo vizioso, alti e bassi che tendono a rendere il rapporto ancora più tossico. In molti casi la vittima è in fondo consapevole che l'altra persona non la sta rendendo felice ma non riesce a staccarsi, la dipendenza ha ormai raggiunto livelli considerevoli. Questa subordinazione può anche avvenire a livello economico perché, per esempio, l'aggressore non permette alla vittima di lavorare. Può essere sociale perché la allontana dagli amici e dalla sua famiglia. Può essere anche puramente psicologica quando distrugge la sua autostima e la rende incapace di fare qualsiasi cosa senza il suo aiuto.

In questi casi, è indispensabile l'aiuto della famiglia e degli amici per poter mettere fine a questa situazione. Le persone care non devono giudicare ma dare appoggio alla vittima per agevolare la sua fuga da questo circolo vizioso e dall'aggressore. È così fragile che potrebbe non avere la forza sufficiente per uscirne da sola o sopportare di sentirsi giudicata dagli altri. Può essere di grande utilità anche l'aiuto di uno psicologo o di uno psicoterapeuta per poter rompere le catene della dipendenza e per recuperare l'autostima perduta durante la relazione.

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Questo articolo è stato scritto prendendo in considerazione l'esperienza clinica e gli anni di formazione, non ha valenza di diagnosi o statistica.

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Scritto da

Dott. Matteo Agostini

Sono il Dott. Matteo Agostini, laureato in Scienze Psicologiche Applicate e con Laurea Magistrale in Psicologia Clinica. Ho acquisito competenze nell’ambito della psicologia clinica, della neuropsicologia clinica, e della psico-sessuologia. Sono Tutor per bambini e ragazzi con ADHD/DSA presso il CCNP San Paolo di Roma e consulente sessuale e nutrizionale.

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Commenti 2
  • Maddalena Michelin

    Condivido appieno l'articolo, la descrizione è semplice e veritiera. Siamo tutti potenziali vittime di violenza psicologica. Trovo conforto nel vedere descritte situazioni che ho vissuto in prima persona e che non riuscivo a descrivere neanche a me stessa tanta era la confusione che avevo.

  • Cristina Bozzato

    Questo comportamento può essere subito anche da un mobber al lavoro.

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