Allarme adolescenti: depressione e ansia in aumento durante la pandemia?

In questo periodo si parla molto di depressione e ansia causata da un periodo storico davvero difficile, soprattutto per i nostri ragazzi adolescenti. Ci dobbiamo davvero preoccupare?

29 MAR 2022 · Tempo di lettura: min.
Allarme adolescenti: depressione e ansia in aumento durante la pandemia?

"Primum non nocere", Hippocrates

Oggi i media parlano a gran voce di una situazione davvero preoccupante: depressione e ansia negli adolescenti nel periodo della pandemia. Le maggiori testate giornalistiche riportano recenti ricerche pubblicate prima su Jama Pediatrics, con studi condotti su oltre 80mila giovani e successivamente sul Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry, dove si registra un aumento considerevole di incidenza di depressione e ansia fra adolescenti rispetto a prima della pandemia. Nello specifico, un adolescente su 4, in Italia e nel mondo, ha i sintomi clinici di depressione e uno su 5 segni di un disturbo d'ansia. A rischio soprattutto gli adolescenti (maggiormente esposti rispetto ai bambini), che hanno risentito delle restrizioni e della conseguente impossibilità di vivere insieme ai coetanei momenti fondamentali della crescita.

Davvero la situazione è così critica e preoccupante?

Ci sono davvero così tanti ragazzi depressi e ansiosi che necessitano di un aiuto da parte dei professionisti della salute mentale?

Premessa legittima e obbligatoria: "quando i media lanciano allarmi di questo tipo rischiano di suggestionare la popolazione e indurre la comparsa di sintomi anche in coloro che non ne soffrirebbero", afferma il Dr. Luca Proietti, psichiatra e psicoterapeuta, a seguito delle ricerche condotte dal Prof. Benedetti dell'Università di Torino, in merito ad effetto Nocebo e meccanismo di infezione sociale.

Iniziamo quindi con il definire e chiarire questi concetti, così da poter mettere in atto le giuste strategie per gestire questa situazione nel caso ce ne fosse bisogno.

Parlare di depressione non è del tutto corretto, in quanto come scrive il Dr. Proietti, nel suo illuminante articolo "La depressione e le esagerazioni diagnostiche", questo termine corrisponde a molteplici condizioni, all'interno della terminologia rientrano diverse tipologie di pazienti e la vera depressione è una condizione che esiste ma che è molto più rara di quanto si pensi.

In questo caso possiamo probabilmente parlare di depressione reattiva, che oggi troviamo nel DSM 5 come Disturbo dell'adattamento: questo non è un disturbo dell'umore ma è una condizione psicopatologica derivante da eventi di vita.

I criteri diagnostici sono: sintomi emotivi come tristezza, sentimenti di vuoto e sintomi comportamentali che insorgano entro i 3 mesi da un evento stressante, come perdita del lavoro, divorzio, pandemia. Non è depressione e non risponde ai trattamenti farmacologici, ma è una reazione all'evento traumatico, che risponde, se ritenuto necessario, alla psicoterapia.

Importante è definire con cautela ogni singola situazione per evitare di etichettare, considerando che reazioni di tristezza e preoccupazione ad eventi importanti della nostra vita, come licenziamento o lockdown, che ci fanno vivere come naufraghi in mezzo al mare dell'incertezza, sono del tutto legittime e sane.

Parlare invece di ansia è davvero scorretto, in quanto l'ansia è l'attivazione psicofisica della paura e per questo del tutto funzionale al nostro organismo. Facciamo un esempio, pensiamo ad uno studente che deve sostenere un esame, un sano livello d'ansia è ciò che lo spinge a dare il meglio di sé. Quindi, in questo caso è più opportuno parlare di angoscia che è la sorella maggiore dell'ansia, è questa che ti blocca, ti schiaccia e ti opprime il petto, è come un macigno nello stomaco e la provi quando ti senti impotente di fronte a qualcosa.

Troppo spesso si sente parlare di paura e ansia ma ciò di cui si deve parlare è l'angoscia, il sentirmi disarmato di fronte ad una situazione in cui le uniche cose che posso utilizzare sono sistemi medievali, utilizzati per la peste, che si combatteva rifugiandosi nella torre piú alta, si bruciava tutto intorno per non permettere al virus di arrivare e si delegava al Dio o al destino perché portasse via il demone.

Ci siamo trovati disarmati e con le stesse strategie dei tempi lontani.

Dobbiamo inoltre valutare che con l'arrivo della pandemia sono cambiate le nostre abitudini, il nostro modo di vivere e di relazionarci, perché di fronte alla paura del contagio abbiamo attivato tutti noi dei meccanismi di difesa dalle mille precauzioni sacrosante, al distanziamento, mascherine, quarantena e isolamento.

Questo legittimo comportamento difensivo ha creato in alcuni adolescenti una tendenza che, per ripetizione temporale, ha portato a sviluppare un comportamento generalizzato, anche quando non necessario, di distanziamento-isolamento nei confronti della scuola e dei pari.  Nello specifico, la paura si è espressa fondamentalmente in tutto ciò che metteva in contatto quindi abbiamo passato due anni di restrizione dai contatti interpersonali, sostituiti con i contatti virtuali che per quanto siano stati di grandissimo aiuto non possono essere un sostituto effettivo del contatto umano.

Perché per l'adolescente è così importante l'ambito delle relazioni sociali?

Vediamo insieme come mai per l'adolescente generalmente è così importante l'ambito delle relazioni sociali. La parola "adolescenza" deriva dal verbo latino "adolescere" che significa "crescere" o "maturare". In questa fase di vita corpo e mente si trasformano e con loro anche il modo di vivere, di conoscere le proprie emozioni e di entrare in relazione con se stessi e con gli altri.

Tra gli aspetti che rendono unici e importanti gli anni dell'adolescenza troviamo: ricerca di novità, bisogno di esplorazione e di socialità, desiderio di scoprire se stessi e gli altri.

Gli adolescenti sono nati per l'avventura e per la vita di gruppo, come esploratori si spingono fuori dai confini conosciuti, primo tra tutti quello della famiglia, per conoscere e conoscersi e per sperimentare quali sono i loro limiti e le loro potenzialità.

Nel 2013 ricerche condotte dagli antropologi della UCLA, guidati da Dan Fessler, hanno dimostrato come per gli adolescenti non conviene essere isolati, in quanto i pari possono aiutare a sviluppare la sicurezza di sé perché attivano l'un l'altro la capacità di operare insieme come una squadra. Inoltre, analizzano come da una parte l'isolamento, il ritiro sociale può temporaneamente far sentire i ragazzi al sicuro, perché evitano di affrontare situazioni nuove e non sempre facili, ma dall'altra coloro che crescono senza pari non possono imparare ciò che occorre per funzionare nel mondo reale.

La ragione è molto semplice: osservando i successi e gli errori dei propri pari ricavano informazioni circa opportunità e minacce. Queste ricerche sono state analizzate dalla docente di biologia evolutiva presso l'Università di Harvard, Barbara Natterson-Horowitz, che ha evidenziato come la nostra fase adolescenziale corrisponde ad una fase di transizione presente nel mondo animale, e che entrambe hanno aspetti biologicamente determinanti, come: la riduzione della paura, il percepirsi più efficienti in gruppo, l'impulsività, un abbassamento della soglia del rischio, che si presentano anche negli animali, ed è ciò che sprona gli uccelli giovani a lasciare il nido o le iene ad uscire dalla tana comune, i delfini ad unirsi ai propri simili. E nel suo libro L'età selvaggia scrive: "Sebbene possano causare preoccupazione e dolore agli adulti, i rischi che gli animali adolescenti corrono insieme sono alcune delle esperienze più utili e importanti che avranno…Di fatto potrebbe essere che l'unica cosa che nel corso dell'adolescenza è più pericolosa del correre rischi sia non rischiare."

Naturalmente per rischio, non ci si riferisce in questo caso al contrarre il Covid, ma ad uscire dal guscio che ci ha protetti durante l'infanzia e sperimentare l'allontanamento graduale dal porto sicuro che sono i genitori, avendo la consapevolezza di poter approdare ogni qual volta arrivi una tempesta troppo forte da superare da soli.

Quando parliamo di ragazzi, è assurdo non parlare di genitori, in quanto sono i protagonisti e la chiave per comprendere ed aiutare i propri figli, soprattutto se provano un disagio reale. La prima indicazione che viene data ai genitori e quella di vestire i panni dei migliori antropologi e armati di carta e penna, osservare i propri figli evitando di intervenire, per non falsare la ricerca ma appuntando secondo loro i comportamenti preoccupanti, così da avere una visione concreta e chiara da analizzare e sulla quale ricevere un eventuale aiuto.

Fare un passo indietro noi per avere una visione dall'alto e senza interferenze, perché spesso quando vogliamo risolvere un problema a cui teniamo molto, non ci rendiamo conto di farne parte ed ogni soluzione tentata rischia di alimentarlo invece di risolverlo. Come afferma Oscar Wilde: è con le migliori intenzioni che produciamo gli effetti peggiori.

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Scritto da

Dr.ssa Rita Ciani

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Bibliografia

  • American Psychological Association, 2014, DSM 5. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Raffaello Cortina Editore, Milano.
  • Nardone G. , 2016, La terapia degli attacchi di panico. Liberi per sempre dalla paura, Ponte alle Grazie, Milano.
  • Natterson-Horowitz B., Bowers K. , 2020, L'età selvaggia, Piemme, Milano.
  • Muuss R.E., 1976, Le teorie psicologiche dell'adolescenza, La nuova Italia Editrice, Firenze.
  • Vallarino A., Avico R., Barbagelata M. , 2021, Il pensiero strategico, Lulu.com.

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