Tristezza e nervosismo post-parto
Salve, ho 32 anni, sono sposata da 1 anno e mezzo e sei mesi fa sono diventata mamma per la prima volta.
Durante questi sei mesi ho più volte provato sensazioni di tristezza e inadeguatezza, che spesso sono sfociati in scatti di rabbia e ira nei confronti di mio marito (verbale, mai fisica), seguiti poi da crisi di pianto irrefrenabile per il senso di colpa. Ciò che scatena questi episodi sono magari un consiglio non richiesto sulla cura del bambino o sul modo di gestire la quotidianità con un neonato e la sensazione di non essere capita fino in fondo da nessuno quando espongo le mie difficoltà. Mio marito è abbastanza collaborativo, anche dopo 8-9 ore di lavoro in ufficio: si occupa della spesa solo lui, la sera quando sto allattando cucina lui e poi magari ci diamo il cambio quando smetto in modo che lui possa giocare un pò con suo figlio. Facciamo insieme il bagnetto al piccolo perchè io da sola ancora non riesco, temo mi scivoli in acqua in quanto si dimena tantissimo perchè si diverte e non è ancora capace di stare seduto. Per le pulizie di casa abbiamo assunto una persona che due ore alla settimana si occupa delle faccende più lunghe e pesanti, mentre io gestisco i lavoretti quotidiani (lavatrici, aspirapolvere, riassetto biancheria). I miei genitori lavorano, ma nonostante ciò fanno il possibile per stare con me e il nipotino anche solo per un ora al giorno a turno. Mia suocera non ha impegni lavorativi e si rende disponibile se ho bisogno, ma per timore di essere invadente e disturbare aspetta che siamo noi ad "invitarla" o a chiederle aiuto, altrimenti viene un paio di volte la settimana per vedere il nipotino, magari portandoci anche qualcosa di pronto da mangiare per cena. Mi posso quindi ritenere abbastanza fortunata, ma nonostante ciò raramente mi sento di buonumore e soddisfatta.
Non riesco ad accettare che ci siano donne capaci di gestire tutto sole e possibilmente lavorare pure a tre mesi dal parto (io attualmente sto usufruendo della maternità facoltativa e rientrerò ai 9 mesi del bambino) e io, invece, non sono in grado neppure di fare la doccia se non ho qualcuno con me in casa che intrattiene mio figlio. Lui vuole, infatti, contatto continuo, anche solo visivo a volte e dorme molto poco durante il giorno. La notte ancora si sveglia diverse volte e in genere l'intervallo di sonno più lungo senza risvegli lo fa dalle 7 alle 10 circa, motivo per cui anche io non riesco ad alzarmi dal letto prima di quell'ora. Poi tra poppata, cambio pannolino, colazione e preparazione mia si fa tardi per uscire perchè devo cucinare per il pranzo per me e mio marito. Lui ha un'ora esatta di pausa, di cui la metà se ne va per il tragitto in auto e l'altra metà per mangiare, quindi non posso tardare la preparazione del pranzo oltre le 12.30, ma nonostante ciò ho piacere che venga e anche lui è felice di staccare e stare con noi, anche se deve fare tutto di corsa. I primi mesi restava a pranzo in ufficio per facilitarmi perchè allattavo continuamente e il piccolo non voleva stare mai solo nella culletta o nella sdraietta, cosa che adesso con ciuccio e qualche giochino fa un pò di più, ma sempre senza mai perdermi di vista altrimenti se si vede solo comincia a piangere. Non riuscendo mai ad uscire la mattina col piccolino, vengo costantemente bombardata, soprattutto da mia suocera, sui benefici delle passaggiate al sole sia per me che per il bambino, che a causa mia sta poco all'aria aperta. Non so più come spiegare che la mattina è il momento della giornata in cui posso dormire di più e se non assecondassi il mio bisogno di riposo impazzirei, ma a nessuno questo sembra importare e temo di essere giudicata incapace e disorganizzata perchè mi alzo molto tardi e passo le giornate in casa ad occuparmi del bambino e delle faccende domestiche. Spesso sento dire ad altre donne, sia giovani che anziane: "io facevo tutto sola, non avevo nessun aiuto, nemmeno da mio marito, anzi tu sei fortunata ad averlo" e questo genera in me un senso di inferiorità e frustrazione, anche nei confronti di mia madre che realmente non ha avuto alcun aiuto esterno in una situazione decisamente più difficile della mia (io e mio fratello ci differiamo appena 20 mesi e lui è nato con un'anomalia genetica alla pelle che richiedeva molte cure diverse volte al giorno, per di più mia nonna materna soffriva di Alzhaimer e quella paterna non è mai stata d'aiuto anzi lo pretendeva lei dopo aver subito un intervento al femore). Ad accentuare questo mio pensiero di non essere abbastanza in gamba vi è il fatto che mio figlio è nato con parto cesareo d'emergenza dopo circa 30 ore di monitoraggio cardiotoconico. Ho rotto le acque senza aver mai avuto una contrazione, neppure con induzione farmacologica. Zero dilatazione, di travaglio neanche l'ombra e al momento del taglio il ginecologo ha trovato il bambino posizionato di faccia, per cui la via del parto vaginale sarebbe stata in ogni caso molto difficile da percorrere. Non saprò mai cosa significa partorire e questo mi lascia un pò di amarezza e delusione.
Dopo l'intervento sono stata a letto per più di 48 ore, sebbene i protocolli suggeriscano di rimuovere il catetere e far alzare la puerpera dopo 24 ore, ma non c'era mai personale disponibile per aiutarmi a "muovere i primi passi", durante il giorno non erano consentite visite di parenti e ho dovuto aspettare l'arrivo di mia madre per la seconda notte, ma a quel punto ero troppo stanca e indolenzita per provare ad alzarmi e volevo solo dormire, cosa peraltro difficile con un neonato continuamente attaccato al seno. Ho voluto fortemente allattare a tutti i costi in maniera esclusiva, nonostante le varie proposte di aggiunta in formula, tisane e bevande varie e i dubbi che involontariamente e inconsapevolmente mi insinuavamo i familiari ogni volta che il bimbo piangeva ("non è che non gli basta?" "esce il latte?") e nonostante aver sofferto di ragadi per circa un mese. Dopo il mancato parto spontaneo qualcosa di "non artificiale" dovevo essere capace di farla per forza. Fortunatamente ad ogni controllo dal pediatra sono stata sempre incoraggiata a continuare perchè il bimbo stava benissimo e cresceva benissimo... E così siamo arrivati a quasi sei mesi di allattamento esclusivo e a breve inizieremo lo svezzamento. Questa è l'unica cosa di cui vado realmente fiera di tutta la mia maternità e per cui ringrazio le ostetriche dell'ospedale, il pediatra, ma soprattutto me stessa per non essermi fatta influenzare ed essermi sempre informata da sola sulle linee guida da fonti scientifiche ufficiali. Per il resto penso di essere completamente un disastro e temo anche il momento in cui rientrerò a lavoro per il carico maggiore di impegno e responsabilità che richiederà. So già che rientrerò con un orario ridotto,
ma il mio timore più grande è quello di non essere più capace di svolgere il mio lavoro dopo un anno e mezzo di fermo e di non riuscire a concentrarmi a dovere su un lavoro che richiede molta attenzione perchè magari il pensiero andrà sempre su mio figlio, che non sarà più sotto le mie cure e controllo.
Aggiungo anche un'ultima cosa che riguarda la sfera intima: provo dolore durante i rapporti sessuali. Questo mi era stato prospettato dalla ginecologa che mi ha fatto la visita post parto, la quale mi ha spiegato che è dovuto alla prolattina e al conseguente calo di estrogeni che riduce drasticamente la lubrificazione. Quando smetterò di allattare e con il ritorno del ciclo mestruale dovrebbe risolversi spostanemente. Ho paura però che non tornerò più come prima anche sotto questo aspetto e che ci siano altri fattori a contribuire, tipo l'ansia che si svegli il bambino oppure il trauma del dolore che provavo durante le visite ostetriche per verificare la dilatazione (mi è rimasto il dubbio che abbiano tentato manovre a mia insaputa per far partire il travaglio).
Vorrei sapere se rientro in un caso che necessita di terapia psicologica, cosa che al momento non potrei permettermi di seguire per diversi motivi, oppure se tutto quello che provo è "fisiologico" e non "patologico".
Grazie in anticipo per la gentile risposta