Sono sola e senza qualità

Inviata da Ilaria · 4 nov 2015 Autostima

Gentili Dottori, il disagio che vivo è riassumibile in tutta la mia solitudine. A 43 anni la mia vita si esaurisce tra il lavoro e i normali problemi della quotidianità. Sono cresciuta in una famiglia apparentemente normale ma di fatto problematica Appena è stato possibile sia io che i miei fratelli abbiamo preso strade che ci hanno portato fuori dal nucleo familiare . Tra noi ci sono pochissimi contatti e quelli esistenti sono sulla linea del formale , probabilmente perché ognuno di noi è conscio di non avere strumenti emotivi perché questi possano assumere un valore diverso. Quando ci abbiamo provato è stato molto peggio e ormai tutti adulti accettiamo che ognuno viva la propria vita, con contatti appunto puramente formali. Ho avuto un figlio a 18 anni, cresciuto con tutte le difficoltà del caso ma il peggio è passato. Lui vive da solo e abbiamo tutto sommato un buon rapporto. Non ho mai avuto la sindrome della vittima. Ho lavorato, cresciuto mio figlio e curato la mia cultura e i miei interessi, fin dove mi e stato possibile. 4 anni fa ho iniziato una relazione con un uomo che ha portato a galla tutte le mie difese disfunzionali e avendo anche lui grandi problemi emotivi, ha contribuito, non amandomi in niente, a spedire sottoterra quel poco di autostima che sono sempre riuscita a difendere. Avevo riposto in quella relazione l'idea di un nuovo inizio, anche e sopratutto emotivo e credo che questa aspettativa che covavo da tanto dentro di me, abbia contribuito invece alla mia disfatta più totale. Ora mi trovo a vivere la mia vita tra il lavoro di impiegata e quei pochi interessi che ho ma che sento non darmi più la gioia e il riempimento di un tempo. Gli amici cari ci sono ancora ma chiaramente ognuno ha la propria vita e diversa da quella che condividevamo a 30 anni e non ci sono molte occasioni di frequentazione. In più è come se non ne sentissi più il bisogno, quasi emotivamente arresa al fatto che la mia età non mi permette più nessuna gioia. Esco poco e da sola, spesso rifiuto gli inviti perché sento di non avere proprio voglia di relazionarmi con nessuno, sopratutto della mia generazione. Spesso fantastico sull'idea di rimettermi in discussione, mi piace studiare, l'arte, la fotografia,il teatro. Immagino di poter fare e diventare tutto quello che voglio, poi la realtà mi si ripresenta e capisco che non è possibile, per l età e anche perché ė ridicolo che cerchi qualche talento nascosto in me. Torno alla mia vita normale, le chiacchiere inutili con le colleghe,la casa, la tv, leggere, dormire. Sento che l'unica condizione che mi pesa è non tanto questo modo di vivere e la solitudine ma il doverla reiterare a tempo indeterminato. Alzarmi e vivere il loop la mia vita per il tempo che mi resta. Non spero nemmeno di incontrare un uomo, colui che potrebbe essere qualcuno con qualità per piacermi cosa può trovare di interessante in una donna così? In più, dopo essere stata totalmente demolita nella mia autostima e identità da un uomo che stimavo, questa convinzione si è radicata dentro di me e l unica cosa che mi viene spontanea fare ė stare sola. Penso di dover andare in terapia e poi penso, a farci cosa? Un terapeuta non può assegnarmi d ufficio un valore che non ho, non ho nessuna intenzione di rivangare il mio passato con il quale in buona parte ho fatto pace. Meno che mai può rimettermi indietro il tempo dove posso ancora mettermi in discussione e cercare e trovare una nuova me stessa. Il mio desiderio è sempre stato fare la fotografa ma avendo avuto un figlio da giovane e dovendo garantire una vita normale e sana ad entrambi non ho mai avuto il coraggio e il carattere di intraprenderla come carriera, se pur coltivando questo sempre come hobby. Un percorso teraupetico mi porterebbe ad accettare me stessa ma accettare così poco per me sarebbe una sconfitta piuttosto che un traguardo. La consapevolezza che non posso fare niente in più di quello che ho già fatto mi lascia l idea di una vita mediocre da vivere e in solitudine perché non voglio che nessuno la veda.

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Miglior risposta 5 NOV 2015

Gentile Ilaria,
a 18 anni (forse era ancora troppo giovane!) lei ha avuto un figlio e, se ho capito bene, ha dovuto crescerlo da sola e non conosciamo i motivi della rottura col suo compagno di allora. Nemmeno sappiamo se lei, in seguito, ha avuto altre relazioni importanti né come le ha gestite finché non ha incontrato alla soglia dei 40 anni quest'uomo con cui ha avuto una relazione durata 4 anni, per il quale non spende una sola buona parola, che ritiene responsabile del suo attuale stato di prostrazione e a cui attribuisce la perdita totale della sua autostima.
Credo più probabile, invece, che lei già da prima non avesse molta autostima e credo che confonde l'autostima con la rigidità di struttura della personalità appresa precocemente nella sua famiglia di origine.
Infatti non ha rapporti con i suoi fratelli e quei pochi rapporti che ha li considera "formali" che forse è traducibile come "freddi".
Dice anche che ha cresciuto da sola suo figlio e che la sua famiglia l'ha lasciata ad affrontare tutto questo sempre da sola. Ma lei in quegli anni ha mai fatto un passo di avvicinamento alla sua famiglia? E che spiegazione ha per il fatto che, specie ora che è di nuovo sola, suo figlio vive per conto suo anche se con lui "tutto sommato ha un buon rapporto"? Sarebbe interessante sapere se suo figlio ha conosciuto il suo ex e che tipo di rapporto aveva con lui ( se c'era un rapporto).
Lei si lamenta della solitudine ma non frequenta i suoi familiari, non frequenta i suoi amici e rifiuta gli inviti perché non ha voglia di relazionarsi con nessuno. E allora che senso ha lamentarsi della solitudine? Dice che ha fatto pace col passato ma non credo sia vero perché è ancora piena di frustrazione e rabbia. Dice che non le piace giudicare ma sembra gelosa delle donne più giovani. Tra l'altro non è chiaro il motivo della rottura della sua ultima relazione né se quest'uomo era single e aveva il desiderio di un figlio (desiderio che lei non poteva o voleva esaudire) né se lei è stata da lui lasciata o lo ha lasciato.
Ha diversi hobbies che potrebbe coltivare (arte, fotografia, teatro ) e perché non lo fa?
Infine oltre a svalutare se stessa svaluta tutti, anche gli psicologi e la psicoterapia.
La sua rigidità che è alla base di tutti i suoi malesseri le impedisce di chiedere aiuto psicologico e lei rischia seriamente di scivolare nella depressione che molto spesso nasce nelle strutture rigide.
Mi auguro di averle dato degli spunti di riflessione sicché possa decidersi a contattare uno psicoterapeuta.
Cordiali saluti.
Dr. Gennaro Fiore
medico-chirurgo, psicologo clinico, psicoterapeuta a Quadrivio di Campagna (Salerno):

Dott. Gennaro Fiore Psicologo a Quadrivio

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11 NOV 2015

Gentile Ilaria,
La ringrazio per averci contattato.

Da quello che scrive sembra avere chiari molti aspetti della sua storia, della sua famiglia e del suo carattere e questo è indice di una buona e non così scontata capacità riflessiva.

Proprio questa capacità può tuttavia trarla in inganno, poiché le fa pensare di avere esaminato tutto il possibile e su questo invece possono aprirsi risorse e punti di vista molto diversi e solo per ora inesplorati.
L'immagine che ha di se stessa sembra cambiata soprattutto dopo questa separazione e sarebbe importante, credo, esplorare con la guida di un terapeuta innanzitutto questo cambiamento nell'idea di se stessa. Se è cambiata all'ora, può cambiare di nuovo.

Saluti,
Camilla Marzocchi
Bologna (BO)

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5 NOV 2015

Grazie Dott. Fiore della risposta. Negli spunti di riflessione che mi ha dato c'è molta verità. Più che sola cerco la solitudine proprio perché conscia della mia rigidità emotiva. Con mio figlio ho di fatto un buon rapporto, vive solo perché sta studiando ma la comunicazione tra noi è buona e ci sentiamo spesso. Cerco solo di lasciargli la libertà di non doversi fare carico della mia attuale vita, ne ha già passate abbastanza e l'unica cosa che desidero è che faccia la sua strada senza nessun senso di colpa o responsabilità che non sarebbero giuste da portarsi dietro.
Sono cresciuta in una famiglia con un padre autoritario e al momento in cui ho deciso di separarmi dal padre di mio figlio non mi ha più parlato, questo per 15 anni, finchè mio padre non è morto. Ho fatto molto per recuperare il rapporto, gli ho scritto molto e ho provato più volte a parlargli ma per lui ero solo la figlia che aveva sbagliato e come tale non avevo più possibilità, l'unica era tornare con il mio ex e avere una vita socialmente accettabile ma io non potevo mediare su questa condizione. Con i miei fratelli non ho particolari problemi ma nemmeno da piccoli siamo mai riusciti a comunicare, vigeva una condizione "militare" in casa e ognuno d noi si rifugiava il più delle volte in se stesso.
I momenti di vita "normale " tra noi li vivevamo quando per un mese andavamo al mare con mia madre e li mi accorgevo di essere piccola e avere dei fratelli. Nessuno di noi lo ha mai ammesso ma nel frangente di quel mese l'arrivo di nostro padre il fine settimana era vissuto come un ritorno alle regole e per salvarsi da eventuali rimproveri o critiche e ricordo che preventivamente ci mettevamo l uno contro l altro o ci alleavamo con un fratello, come ad evitare di diventare bersaglio di quello che sapevamo ci aspettava. Anche mia madre ci dava disposizioni in merito e ci suggeriva cosa dire o non dire delle cose che ci aveva permesso fare.
Non so se ho una percezione alterata di una condizione che forse era normale ma io l'ho metabolizzata come un qualcosa che mi impediva di essere serena e mi faceva sentire sola e autonoma. Dopo la morte di mio padre nessuno di noi ha piu' parlato di lui e quando mia madre dice qualcosa di nostalgico o rimaniamo in silenzio o chiudiamo il discorso cinicamente. Ho avuto solo due storie importanti con le quali ho avuto un ottimo rapporto ma che ho scelto io di chiudere nel momento in cui entrambe le persone in questione mi hanno chiesto di consolidare il rapporto o con la convivenza o con il matrimonio. Non mi sentivo all'altezza di tale responsabilità, oltre il fatto che consideravo entrambi migliori di me e che prima o poi si sarebbero accorti che potevano avere sicuramente di meglio, cosa che in effetti poi è successa, in quanto persone più che meritevoli.
Sono cosciente dei miei limiti, per questo la mia assenza di qualità, come ho dichiarato, mi pesa ma soprattutto mi pesa sapere che non ho strumenti per migliorarmi. Non denigro gli psicoterapeuti o gli altri, ma me stessa e il confronto che metto in atto per difendermi, proprio perché non all'altezza di nessuno di questi. La relazione di 4 anni che ho avuto è stata a tutti gli effetti disfunzionale, perché entrambe le parti lo erano. Il mio ex viene da un passato di abbandono familiare e problemi di droga, non ho cercato di fare la crocerossina ma so che questo rapporto è rimasto in piedi grazie ai sensi di colpa che riusciva a farmi vivere nei suoi confronti. Quando chiedevo una relazione normale, puntualmente mi diceva che aveva avuto un passato difficile e la nostra relazione non evolveva perché ero incapace di capirlo. Non voleva un rapporto serio ma faceva in modo che io non mi allontanassi e gli garantissi ciò di cui aveva bisogno: compagnia e sesso. Durante questo periodo ha provato a cercare altre situazioni sentimentali dove investire seriamente se stesso, io servivo a non lasciarlo solo durante questa ricerca. Lui voleva in effetti una famiglia e un figlio ed è il motivo principale per cui mi ha sempre tenuta a distanza emotivamente. Non gli ho mai rivendicato questo suo bisogno e più di una volta ho provato senza rancori ad allontanarmi ma non accettava che io non rimanessi ferma in quella condizione. Per sua volontà è sempre tornato, dicendomi che tutto prima o poi si sarebbe aggiustato e avremmo trovato la via giusta per una serenità condivisa ma di fatto era solo lo strumento per convincermi per tornare al posto che lui aveva deciso per me: quello di dama di compagnia e spesso nei miei allontanamenti ho subito minacce e offese. Ho lavorato molto per accettare questa realtà, allontanarmi e tornare serena, senza vivere nella rabbia che questa persona mi ha generato e credo sbaglierei a tornare a dare tutte le colpe a me stessa come era nell'intento di questa persona per tenermi congelata. Io non l'ho mai voluto trattenere e mai ho preteso il suo affetto per dovuto solo perché gli concedevo il mio. Ho solo scelto ad un certo punto che lui non lo usasse per colmare la sua solitudine e i suoi vuoti. Il mio disagio sta appunto nel sentirmi niente, pensare che sia lecito usarmi perché valgo o servo a niente o poco e il non avere strumenti emotivi sani per credere che ho il diritto per non accettare condizioni simili.
Ho provato anche a recuperare un rapporto umano con questa persona, cercando di sotterrare tutte le cattiverie reciproche per lasciare entrambi di proseguire senza rancori nei confronti l'uno dell 'altro ma finito il ruolo che avevo per lui ho solo ottenuto altri insulti e il quadro esatto di come mi considerava: uno strumento funzionale ai suoi bisogni che io ho accettato di essere volontariamente e che le manipolazioni emotive che gli rivendico sono solo il frutto della mia mentalità disturbata. Ho deciso di allontanarmi da questa persona proprio perché generava in me solo rabbia, paranoie, gelosie, dubbi. Tutte cose che mi facevano perdere stima di me, cronicizzare l'idea di non valere niente e meritarmi una condizione simile, proprio perché incapace di avere qualità per riuscirmi a farmi amare in maniera sana.
Vi ho scritto per questa condizione emotiva che sento ormai aver preso totale sopravvento su di me, non per cercare dei colpevoli. So che cercare questi mi farebbe elaborare solo scuse e far rimanere nell'idea che non sono sbagliata. Io credo ci siano molte cose sbagliate dentro di me e il passato non si cambia. Il mio timore è solo di non potere cambiare e subire un futuro che non posso sperare diverso da l'unico che ora sono in grado di costruirmi, proprio perché mi sento inutile. Nessuno decide per te cosa devi essere ma questo non toglie che alcune circostanze ti portino a sentirti nel modo che ho esposto . il mio vero problema è che dentro di me c è solo la sensazione che non sono vista o valutata come qualcuna meritevole di attenzioni o voglia di capire come sono ma solo funzionale a qualcosa o qualcuno e che se non mi adatto a questo la mia esistenza ha poche ragioni di essere. Da sola non riesco a dirmi che non è vero e se cerco dentro di me la forza per creder il contrario trovo solo delle bugie per non accettare la realtà e dare la colpa agli altri so che è una di queste. Non posso farlo io, non possono farlo gli altri, rimango appunto nel vuoto e cosi' per me è difficile vivere con l'idea che la mia esistenza abbia un senso.
Quelli che sono e i limiti di me e che conosco mi lasciano l idea che appunto giusto funzionale a qualcosa o qualcuno sono e se non l accetto devo solo imparare a convivere con questa condizione. Cosa che al momento non riesco a fare. Dovrei imparare a scegliere quello che è meglio per me e non trovarmi sempre e solo in situazioni che possono solo deprezzarmi, cosa che sono sicura di avere fatto proprio perché valgo poco e questa sensazione mi lascia veramente senza senso per me stessa. L identità che vorrei per ridarmi valore non ha strumenti perché io possa pensare diversamente, ho solo coscienza di questo. Per questo dico che una terapia sarebbe inutile per me, io non voglio accettarmi per quella che sono ma non voglio nemmeno cedere a sostituire questo vuoto con la rabbia, la frustrazione e l'invidia che sono le uniche cose che ti si iniettano dentro quando hai appunto consapevolezza di non valere niente.

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4 NOV 2015

Grazie delle risposte. Penso che buona parte del mio disagio emotivo sia da imputare alla relazione che ho avuto e che è durata 4 anni . Non sono mai stata particolarmente scontenta in precedenza della mia vita , ho sempre conosciuto i miei limiti ma di fatto conservavo la consapevolezza che ero comunque riuscita in molto, rispetto alla base di partenza che ho avuto . Ho avuto dei buoni amici, ho condiviso e fatto diverse esperienze. Ho raggiunto obiettivi che sembravano irraggiungibili, anche se di fatto normali per altri. Spero che non suoni da piccola fiammiferaia ma ho lasciato la scuola quando sono rimasta in attesa di mio figlio e sono finita diretta in fabbrica a lavorare per quasi due anni e facendomi ogni giorno 10 km in bicicletta. Vivevo sola con mio figlio e la mia famiglia mi ha lasciata ad affrontare tutto questo da sola. L ho fatto senza rivendicare pretese, mi sono diplomata e ho raggiunto diversi obiettivi lavorativi, spesso ad appannaggio di persone laureate. In me viveva la sensazione che comunque ero riuscita ad avere una vita normale come quella di tanti e che avrei potuto invece combinare di molto peggio e me ne sono voluta cullare il merito. La persona che ho conosciuto proveniva anch'essa da un percorso di vita forse anche più' duro ma era riuscito a rimettersi in piedi in maniera più' che onorevole. Questo ha forse creato in me un gancio emozionale che mi ha fatto completamente deragliare. In lui non c è stata nessuna connessione nei miei confronti, anzi sono certa che abbia manipolato a suo favore questa mia condizione emotiva. Il rapporto non si è mai evoluto ma ha sempre fatto in modo che rimanessi appesa ad un aspettativa in ogni modo possibile e attribuendomi ogni volta le colpe per tutte le conseguenze che un rapporto cosi' comportava . E' inutile che mi addentri nei dettagli che presumo ricalchino quelli di qualsiasi altra relazione disfunzionale, dove si creano delle dipendenze affettive stritolate in una spirale senza senso. Alla fine ho detto basta ma la sensazione che mi sono portata radicata dentro è che l unica persona per cui ho sentito veramente qualcosa è quella che mi ha usata e fatto passare un messaggio ben chiaro: per me voglio di più, una donna più giovane, più realizzata, più fertile, dato che sei "scaduta" questo è il massimo che puoi pretendere da una relazione e quello che ti offro è già tanto. Ho deciso di non subire più questa cosa ma si è sedimentata in me l'idea che abbia ragione. Chi vuole una donna con la quale non è possibile costruire niente? al massimo si può galleggiare in una relazione a tempo determinato e senza mettere sul piatto troppi sentimenti da condividere. Sono una donna che dimostra meno anni della sua età, vengo cercata e corteggiata ma il problema in me nasce proprio perché penso di essere qualcuna che ormai può avere un ruolo funzionale solo per i bisogni altrui, senza che io possa rivendicare per me qualcosa di più. Mi metto nella testa di un uomo e mi trovo ad ammettere che quasi sicuramente penserei la stessa cosa, la vera cosa che mi devasta è stata essere usata con tanta furbizia e innescando in me la sensazione che forse si, è così, è normale essere stata usata, perché di fatto non ho altro da offrire e quello che chiedo per me è ormai fuori dalla logica razionale. Questa convinzione mi nasce anche dal fatto che avevamo molto in comune, l'arte, la letteratura, il teatro, ma non è bastato a fronte di quello che invece davvero voleva e a considerarmi solo un oggetto da usare, la mia identità e personalità non avevano nessun valore o appiglio in lui. Mentre ragazze più giovani, anche se oggettivamente più stereotipate e non particolarmente istruite, sono riuscite ad ottenere da lui molta più gentilezza e considerazione più di quanta ne abbia mai concessa a me. Mi trovo a fare il confronto con ragazze normalissime come me e venire sopraffatta dalla rabbia credendomi migliore di loro ma dandomi davvero la sensazione che nonostante io possa essere migliore in bellezza o qualità ci vado a perdere comunque. Questa cosa poi mi genera anche senso di colpa perché non mi piace giudicare nessuno, nella stessa maniera in cui non ho mai voluto che qualcuno lo facesse con me. Non conosco la vita delle persone ma per difendermi mi trovo a denigrare e fare il confronto con qualcuna solo per il fatto di essere preferita a me e so che non è giusto. Per questo sono arrivata a perdere totalmente il mio amor proprio, non riesco a ricaricarmi e essere soddisfatta di me se non importa a nessuno quella che sono. So che per prima deve importare a me ma è difficile digerire l'idea di dovermi bastare da sola. Grazie ancora.

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4 NOV 2015

Gentile Ilaria,
43 anni non sono 83 o 103, ma come lei afferma correttamente non sarà un terapeuta a convincerla del fatto che alla sua età è ancora possibile realizzare svariati desideri, dovrà trovare la convinzione dentro di sè. Un percorso psicoterapeutico potrà sicuramente aiutarla se il terapeuta sarà in grado di stimolare in lei il dubbio, basterebbe solo il dubbio che le attuali certezze negative, maturate e auto-affermate potrebbero non essere così certe. E' davvero sicura che a 43 anni non sia possibile iscriversi ad un corso di fotografia? Crede davvero di non meritare di essere felice? E le possibilità di trovare un uomo che la ami per come lei è in questo momento (solo in Italia vi sono quasi 60 milioni di abitanti, magari per la legge dei grandi numeri, qualche speranza c'è ancora). Il disagio che lei prova è un momento molto importante e funzionale per la sua crescita personale. Come ha scritto qui, ha messo a nudo i suoi limiti e i suoi obiettivi, non resta che scoprire e focalizzarsi sulle soluzioni. Le pesa la reiterazione del solito copione di vita? Provi a cambiare una sola piccola cosa, ad esempio può iniziare cambiando strada per andare al lavoro o per tornare. Anche solo cambiare strada potrà aiutarla ad osservare e ampliare le sue prospettive. Da un piccolo cambiamento, più una "variazione sul tema" potrebbe riuscirle di vedere il mondo con dei colori che non sapeva nemmeno esistessero. Siamo nati per migliorarci e per andare avanti, lasci il passato alle spalle, parta dal momento presente e si chieda che cosa potrebbe riuscire a fare per sentirsi meglio (parta dalle piccole cose).
Con l'augurio di iniziare al più presto a "sentire" nuove emozioni e sensazioni le auguro Cordiali Saluti.

Dottor Matteo Marangoni, Psicologo Psicoterapeuta, specializzato in Mindfulness - Venento Orientale

Dr Matteo Marangoni Psicologo a Portogruaro

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4 NOV 2015

Gentile Ilaria

sento tutta la tristezza e lo sconforto di dover accettare una vita che non la gratifica e anche la rassegnazione per non poterla cambiare; tuttavia se ci ha scritto è perchè una piccola speranza di cambiamento ancora c'è dentro di lei. Capisco che non abbia voglia di riportare a galla tutte le sofferenze passate, ma un percorso psicologico non si basa necessariamente su questo. Può cercare un professionista ad approccio cognitivo comportamentale o analitico transazionale, con cui lavorare sull'incremento dell'autostima e la scoperta delle proprie risorse. Questi professionisti possono aiutarla a trovare e perseguire possibilità di cambiamento, in modo rispettoso di quello che lei desidera, lavorando soprattutto sui pensieri e i comportamenti. Inoltre, un professionista competente sarà sempre molto rispettoso di quello che lei prova e non pretenderà mai che lei tocchi tematiche che non vuole.
Le consiglio vivamente di farsi aiutare in un percorso di questo tipo, perchè dalla sua lettera è evidente la sua voglia di avere una vita diversa e anche che lei ha le capacità per ottenerla, anche se in questo momento fatica a vederle.

Cordiali saluti

Dott.ssa Chiara Ostini
(Milano)

Dott.ssa Chiara Ostini Psicologo a Milano

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