11 NOV 2015
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Buongiorno Paula, io credo che, sotto sotto (nel suo mondo emotivo), ci sia ben altro. Biologicamente, abbiamo dei "neuroni specchio" (scoperti con i neuroni motori, ma ulteriori ricerche ne stanno allargando l'influenza anche ad altre tipologie di neuroni) che ci fanno provare non solo quello che provano gli altri, ma anche le loro intenzioni o scopi. Molti credono che questi neuroni siano alla base dell'empatia, io non sono fra questi, in quanto in senso di empatia è ben più complesso: naturalmente se esistesse! Infatti, sono del parere (suffragato da prove provenienti dalla fisica, ma a lei non dovrebbe interessare) che l'empatia non esista semplicemente per il fatto che per comprendere un altro o "mettermi nei suoi panni" o "nella sua testa", non bastano neuroni specchio o altro (uno dei motivi per cui il Criminal Profiling è una bella invenzione americana che in Italia è stata assimilata in quanto sono due belle parole messe vicine, ma non perchè funzioni, tutt'altro...). Ognuno di noi ha esperienze estremamente diverse, un qualunque colore che vedo io, ad es., il giallo, non è come vede lei il suo giallo (in quanto ha le strutture ricettive preposte a recepire le onde visive, in numero diverso dal mio), i vissuti emotivi condizionano altri vissuti emotivi che, alla fine, condizionano i propri valori, bisogni e necessità, etc. etc. Mettendo in una specie di frullatore metaforico tutto questo, come posso essere io empatico con una persona che, per le sue esperienze, per la sua biologia, per i suoi nuclei emotivi sviluppatisi alcuni già durante la gravidanza, potrebbe essere un alieno venuto da Marte? Certo, il fatto di essere persone sociali ha fatto in modo che ci "mettessimo d'accordo" ("accoppiamento strutturale, Maturana e Varela, 1985) su come stare insieme e capirci (sappiamo che un pezzo di carta colorata, nella nostra società vale 10 euro, ma se fossimo andati, ormai, 50-60 anni fa, in qualche tribù della foresta amazzonica, il pezzo di carta se lo sarebbero fumato ed a noi avrebbero proposto un baratto). Naturalmente, ho forzato abbastanza la mano, solo per far comprendere, ma sempre opinione mia e di qualche migliaio di ricercatori (altrettanti la pensano al contrario, chiaramente), che l'empatia, così per come viene "significata" nella nostra società, riprendendone l'etimologia, non ha senso scientifico (a che mi serve cercare di capire un altro, quando mi posso benissimo sbagliare, magari rischiando così la mia sopravvivenza biologica? Non sarebbe Economico in termini energetici, per il sistema: cosa, ques'ultima, che è una delle prime situazioni a cui sta attento). Ciò che ho appena detto, Paula, le dovrebbe servire per non concentrare la sua attenzione e quella di un collega (psicoterapia indicata) tanto sull'empatia o meno, ma sul suo sviluppo emotivo-cognitivo, gli stadi evolutivi, crisi o scompensi compresi, attraversati (o no), e tutto ciò che riterrà opportuno il collega in questo caso.
Buona fortuna,
dott. Massimo Bedetti,
Psicologo/Psicoterapeuta,
Costruttivista Postrazionalista-Roma